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Una vecchia signora incofanata, intenta a consumare pacatamente la sua colazione, sgrida il marito goloso che imburra troppo i suoi toast. Lei è l'ormai ottantenne Margaret Thatcher (Meryl Streep), ex Primo Ministro inglese dal '79 al '90, prima donna d'occidente a ricoprire una simile carica nella storia dell'ultimo secolo, uno dei personaggi più discussi, influenti, odiati e idolatrati non solo in ambito politico ma anche nel sociale e nella cultura dell'età contemporanea; lui è Denis (Jim Broadbent), il compagno di una vita morto già da anni.
Nel labirinto straniante di una demenza senile implacabilmente progredita fino al delirio, si ripercorrono le tappe fondamentali di una ascesa al potere caparbia ed inarrestabile: da semplice figlia di un droghiere, Maggie scala con determinazione la montagna del pregiudizio, sfidando generi e classi sociali ed imponendosi nel 1970 come Ministro dell'Istruzione, in un universo politico fino ad allora dominato dagli uomini.
Ma è con il triplice mandato di Primo Ministro britannico che la Thatcher stravolgerà assetti ed istituzioni, in nome di un conservatorismo votato al capitalismo più selvaggio che produrrà violenti dissensi e clamorose approvazioni. In oltre dieci anni di potere, passerà alla storia come la "lady di ferro". E in quel di Chester Square a Londra, oggi, rimane una vecchia stanca e svanita, in lotta con i suoi demoni.
Fenomenologia (inutile girarci intorno) scopertamente femminista di un'icona spettrale di fine secolo, capace di stimolare gli ingegni pop e, al contempo, di affossare ogni germoglio di novità, di creare una beatifica ammirazione e, di contro, un infernale linciaggio.
Figura assai complessa, la Thatcher, che la sceneggiatura di Abi Morgan (la stessa dello scandaloso "Shame") preferisce raccontare meno dal versante politico e istituzionale e più dal punto di vista intimo e umano.
Ne viene fuori un ritratto di signora indomita, un'eroina dei suoi tempi fin troppo linda e pinta tanto da sfiorare l'apologia, ma altrettanto ben caratterizzata nella sua monodimensionalità pubblica, con spreco di frecciatine al veleno verso un entourage tutto al maschile incapace di reggere il passo da battaglia di una lady cresciuta a suon di bottega e campagne elettorali, e privata, fatta di fermezza e praticità casalinga e di abbandono inevitabile ad una psiche provata dal tempo.
Tutto ciò permette al film di scorrere senza noia e senza intoppi ma non senza una punta di codardia che, imperdonabilmente, appiana i tanti (tantissimi) chiaroscuri legati all'"Era Thatcher" e con essi ogni possibile riflessione critica su un operato politico che fece tremare il mondo.
Successi e contestazioni, guerre e vittorie, colpe e assoluzioni lasciano il tempo che trovano se confrontati con uno studio psicologico del personaggio decisamente più approfondito e sincero, seppur a tratti manicheo.
Ciò non toglie che il film, diretto con sorprendente mestiere dalla Lloyd di "Mamma mia!", risulti un'appassionante macchina spettacolare sull'ascesa e la caduta e sul prezzo/compromesso del potere, in cui un mostro sacro come Meryl Streep ha a disposizione l'ennesima occasione per stupire e lasciare tutti senza fiato con una performance mirabolante, di impressionante mimetismo (tic e vezzi da filibustiera ma anche un make-up a dir poco perfetto) e di travolgente intensità emotiva: arriverà finalmente il terzo, strameritato Oscar? Ingiusto non considerare la prova magnifica di Jim Broadbent, il marito nell'ombra sia in vita che in morte.
Chi si aspetta un biopic filologicamente e storicamente accurato rimarrà deluso, chi si accontenta di un'analisi sul potere al femminile e di un tratteggio di toccante vaneggiamento senile apprezzerà molto. Di certo con la Streep-itosa in scena è difficile annoiarsi.
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Recensione a cura di atticus - aggiornata al 02/02/2012 17.26.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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