Recensione tre colori - film blu regia di Krzysztof Kieslowski Francia, Polonia, Svizzera, Gran Bretagna 1993
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Recensione tre colori - film blu (1993)

Voto Visitatori:   8,19 / 10 (76 voti)8,19Grafico
Voto Recensore:   10,00 / 10  10,00
Miglior attrice protagonista (Juliette Binoche)Miglior montaggioMiglior sonoro
VINCITORE DI 3 PREMI CÉSAR:
Miglior attrice protagonista (Juliette Binoche), Miglior montaggio, Miglior sonoro
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locandina del film TRE COLORI - FILM BLU
 

"Film blu" è il primo della più importante serie (beninteso, oltre al "Decalogo") di Kieslowski. Essi sono film blu, bianco e rosso, con evidenti richiami ai tre colori della bandiera francese, colori che a loro volta rimandano ai principi della rivoluzione francese, e cioè libertà, uguaglianza e fratellanza. Chiaramente sarebbe abbastanza arduo il fare un film impregnato unicamente su uno di questi concetti; piuttosto si può parlare di componente più preponderante. Se nel "Decalogo" i 10 comandamenti venivano filtrati dalle gesta e vicissitudini di gente senza relazione fra loro e abitanti in un unico condominio, "tre colori" si prefigge di indagare in che modo i tre concetti espressi dalla bandiera francese inflazionino il modo di relazionarsi in un contesto più sociale o affettivo che filosofico.
Chiaro, sempre di Kieslowsi stiamo parlando, e, per definizione, il suo nome non può essere scisso da una certa "poetica della filosofia"; ma questi tre film sono molto più intimistici che razionali; le conclusioni universali che si possono trarre passano necessariamente attraverso un'esperienza vissuta dai protagonisti, non sono retaggio di chissà quale teoria che Kieslowski si premura di illustrarci; il regista non ci spiega come va il mondo, ma come va secondo le figure principali che sono costretti a vivere tali storie. Non c'è niente di pretenzioso, niente di egoistico. Se, alla fine, ci dovessimo sentire d'accordo con quanto da lui enunciato, allora tanto meglio.

Il blu simboleggia la libertà. Non la libertà comunemente intesa, cioè la possibilità di fare tutto ciò che ci aggrada; bensì della libertà dai sentimenti. Fino a che punto si può prescindere da essi, vivere la propria vita imparando a non ascoltare la loro voce? In fin dei conti, per quando l'uomo sia un essere razionale, le sue gesta dipendono in gran parte da un sentire che egli ha nei confronti degli eventi a cui la vita lo sottopone. Si può vivere in uno stato che si potrebbe definire di apatia, di passività nei confronti del "sentire" il fluire della vita stessa?
E' esattamente quello che si prefigge di fare Julie. Subito, nella prima inquadratura, vediamo viaggiare una macchina per strada, in montaggio alternato con il dettaglio della mano di un ragazzo che cerca di far stare in equilibrio una pallina legata ad un bastoncino. Quando ci riesce, sentiamo un botto, che è quello prodotto dall'impatto della macchina contro un albero. Un incidente quindi; l'incidente che avvierà la storia. E qui, assistiamo probabilmente ad una delle più belle immagini che il cinema ci abbia mai donato: Kieslowsi ci introduce il suo personaggio con un dettaglio molto ravvicinato della sua pupilla, nel quale vediamo riflessa la figura di un dottore che le sta comunicando che suo marito e sua figlia sono purtroppo decedute nell'incidente.
E' un'immagine di straordinaria bellezza quanto di forte evocatività; in questo modo abbiamo la possibilità di entrare nel corpo di Julie, ma di percepire comunque le cose mantenendo la nostra identità di spettatore. Il nostro punto di vista (o meglio quello dell'istanza narrante), non il suo. Con questa inquadratura, Kieslowski discredita la soggettiva, mettendosi dalla parte dello spettatore. E' una dichiarazione (importante) di oggettività, di volontà di analisi oggettiva nei confronti di ciò che sta per accadere. Una volta uscita dall'ospedale, Julie cerca di attuare il suo piano. Sfuggire al dolore per la perdita cercando di non provare più nulla, non sentire più nulla. Di soffocare qualunque sentimento sul nascere. Ciò provoca spaesamento nei domestici della villa in cui abita. Vediamo Julie avvicinarsi alla governante che sta piangendo. "perché piangi?", le chiede. E la governante: "perché lei non piange". Appare quindi evidente che il tentativo di Julie abbia buone probabilità di successo, dal momento in cui le persone che la circondano non riescono a capacitarsi della sua pressoché totale apatia. Compie addirittura un ulteriore passo, cioè quello di sbarazzarsi di tutte le sue proprietà e trasferendosi in un più modesto appartamento. Ma se lei sembra aver dimenticato la figlia e suo marito, per il resto della nazione (e forse del mondo) non è così. Suo marito era infatti un noto compositore dalla fama mondiale, morto lasciando un'opera incompiuta, opera che stava Julie man mano rivedeva e impreziosiva, a giudicare da tutte le sue correzioni apportate allo spartito. Il film ci lascia col dubbio che sia lei in realtà la vera mente dietro alle composizioni del marito.

Ma tornando alla domanda iniziale, è davvero possibile vivere a prescindere dai sentimenti? Per un po' Julie sembra farcela, ma il film è disseminato da miriadi di piccoli segnali, moniti, avvertimenti. Che sia un frammento di lampadario (blu, certamente e non a caso uno dei colori dominanti nella pellicola) proveniente dalla camera della figlia, che siano le note che un barbone suona per strada con un flauto, somiglianti in maniera inquietante al tema del l'opera incompiuta, che sia il ricordo del suo terrore per i topi, venuto a galla col ritrovamento di una nidata in casa; o che sia per la scoperta dell'amante del marito. Julie sta combattendo una battaglia persa in partenza; chi volesse rinunciare a vivere senza ascoltare le urla dei sentimenti, quali essi siano, si troverebbe in uno stato di negazione del proprio io. Brutta e futile cosa, cercare di dar battaglia al nostro ego; L'io è un'entità che più si cerca di smarrire, di confondere, e più si afferma, gridando alla nostra volontà apatica la sua esistenza e inevitabilmente la fagocita. Si tratta, né più né meno, di fare i conti con quell'entità invincibile che è il nostro passato. Lo si può cercare di capire, di assecondare, ma certamente non fingere non sia mai esistito. Julie si trova ora proprio in questa condizione; non riesce più a celare quell'insopportabile ansia e forse frustrazione che l'ha sempre accompagnata nella vita, e il suo io che cerca di riaffermarsi trascina con sé la consapevolezza che probabilmente non è mai stata una donna felice. Ha vissuto quello che potrebbe definirsi col marito uno stato di quiete, di non infelicità, che non necessariamente corrisponde alla felicità. Si ha il sospetto di ciò quando decide di cambiare tattica, e di ridimensionare la figura del marito, per il mondo sommo compositore, per lei uno la cui fama si basava sulle sue intuizioni; piuttosto rivelatrice la sequenza che la vede parlare col ragazzo che ha assistito all'incidente. Dice: "mio marito faceva parte di quelle persone che raccontano due volte il finale di una barzelletta". Che persona è uno che racconta due volte il finale di una barzelletta? E, soprattutto, che persona è uno che aspetta un figlio da una giovane ragazza, avvocato in un'aula di giustizia? Julie decide di incontrarla. Non è arrabbiata, non chiede spiegazioni. Semplicemente si limita ad osservare il suo pancione con dentro il figlio di suo marito e le dona la villa dove prima abitava. Lei la ringrazia, dicendole che, come suo marito le aveva detto, è una donna buona su cuoi tutti possono contare. Perfino lei. Ma la ragazza non ha capito, ha frainteso; non è un filantropico dono dai risvolti umani, bensì il gesto con cui Julie si libera definitivamente del ricordo del marito. Ci è quindi riuscita, ma non con il metodo che si era prefissata, non con la cancellazione dei sentimenti, ma con la presa di coscienza di aver vissuto una vita in maniera non libera come avrebbe sempre desiderato. Si ha il sospetto che non abbia mai amato realmente il marito, e che la vera forza innata in questa donna sia la musica, estremo atto di amore e passione, che decisamente risulta incompatibile con la rinuncia ai sentimenti. Julie cerca di annullare il suo sentire, ma l'amore per la musica si fonde all'orgoglio del suo io e prepotentemente si riafferma. Decide di terminare l'opera, e forse di presentarla al mondo col suo nome, non con quello del marito.
Julie, una donna che cercava la sospensione dal dolore attraverso l'esercizio della negazione del proprio io; paradossale che abbia raggiunto la tanto agognata libertà con l'affermazione della sua più grande passione, l'amore per la musica.

Domanda iniziale: è possibile essere liberi dai sentimenti? Forse no, dal momento che sono proprio i nostri sentimenti a renderci liberi dal pesante fardello del raziocinio più estremo.

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Recensione a cura di cash - aggiornata al 05/07/2004

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