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La coppia Albanese-Manfredonia, che aveva realizzato con successo "Qualunquemente", torna in "Tutto tutto niente niente" portando sullo schermo, insieme all'ormai famigerato Cetto Laqualunque (dubbio personaggio di chiare origini calabresi), altri due personaggi altrettanto "alternativi": il pugliese Frengo Stoppato, consumatore e adoratore di "erba" e il veneto Rodolfo, detto Olfo, Favaretto che sogna di far annettere all'Austria il suo paesello.
Se con il primo film l'attore Albanese era riuscito a sposare positivamente una satira costruttiva con una comicità non volgare e "intelligente" in questa seconda pellicola l'obiettivo non riesce a fare altrettanto.
La scenografia e i costumi kitsch della prima storia sono portati all'ennesima potenza e la Roma descritta dalla vicenda ricorda molto da vicino la capitale di "Hunger Games", sia per l'accostamento alla decadenza imperiale - abilmente raccontata dal celeberrimo Petronio Arbitro - sia per le improbabili e grandiose dimore e gli altrettanto improbabili indumenti indossati da tutti: impiegati e commessi parlamentari, deputati e uomini di chiesa. Spicca il diabolico "sottosegretario" interpretato da Fabrizio Bentivoglio, caratterizzato dal volto incipriato e da un buffo ciuffo color latte che, con i suoi modi melliflui, muove le fila della politica della nazione.
Manfredonia sceglie come primo ministro Paolo Villaggio, ma la sua presenza è praticamente inavvertita nel corso della storia.
L'aver scelto di triplicare il personaggio toglie ritmo producendo noia e disorientamento perché nessuno dei tre riesce né a far sorridere né a imporsi nel corso della storia. Così l'effetto è quello di creare nello spettatore tedio, fastidio, mentre le risate, quelle tanto attese, praticamente non arrivano. Cetto è ridotto a una maschera alle prese con una sua personalissima crisi d'identità; Lorenza Indovina, con una pettinatura a mò di matrona romana, è poco più che una comparsa mentre Lunetta Savino, nel ruolo della psicopatica madre di Frengo, una donna che vive la sua religiosità ben oltre il fanatismo, riesce "credibile" pur nell'assurdità del suo personaggio.
Il film di Albanese inserisce l'intento satirico in un film di fantapolitica ai confini del grottesco. Il risultato è sicuramente forte: lo stato italiano è dipinto come una nazione decadente con parlamentari ridotti a macchiette per aspetto e modo di fare e gli uomini di chiesa sono dei vecchi fantocci conniventi con la politica e facili a lasciarsi corrompere dalle mondane sirene. In questo contesto angosciante le figure di Cetto, Frengo ed Olfo, deputati per caso, sono comunque stonate perché non allineate pur nella loro concezione di vita non consona.
Pellicola riuscita a metà quindi, perché colpisce ma non fa affatto ridere. Peccato per Cetto che sembra destinato a morte sicura e peccato per Albanese che riporta un piccolo neo nella sua carriera a causa della scarsa riuscita dei suoi personaggi. Deludente.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 04/01/2013 15.24.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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