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«Quis custodiet ipsos custodes?»
(Giovenale, VI Satira, "Contro le donne", 60–127 d.C circa)
«Who watches the Watchmen?»
(chi controlla i controllori?)
Nel capolavoro fumettistico di Alan Moore questo interrogativo era graffitato su molti palazzi di NY, ed esprimeva il malcontento del popolo nei confronti dei vigilantes mascherati che si arrogavano il diritto di mantenere l'ordine pubblico in una società, quella americana, nella quale gli aspetti socio-politici sono differenti da quelli che la storia accademica ci ha insegnato: siamo nel 1985, sull'orlo di una catastrofe nucleare dovuta alla guerra fredda tra USA e URSS, Nixon è ancora al potere conquistando il terzo mandato (dopo aver cancellato l'articolo della costituzione che vieta ad un presidente di ricandidarsi oltre due volte) e la guerra del Vietnam è stata vinta grazie al Dr. Manhattan (l'unico vero supereroe del fumetto).
Quando nel 1986 uscì "Watchmen", fu da subito considerata un'opera fondamentale nel campo dei fumetti; basti considerare che si tratta dell'unica graphic novel ad aver vinto un Premio Hugo e ad essere inserita nella lista di TIME Magazine dei "100 migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi".
Moore era riuscito a rileggere in modo egregio tutta una serie di personaggi legati al mondo della DC comics, rilegandoli in un futuro disilluso e demolendo l'archetipo del supereroe mostrandone principalmente l'aspetto umano. In effetti, nel fumetto l'accezione supereroe potrebbe essere usata solo per il Dr. Manhattan (e ad essere sinceri a tale personaggio sta anche stretta, essendo un fisico che dopo un incidente nucleare è diventato una sorta di semidio immortale e indistruttibile), mentre tutti gli altri protagonisti sono solo dei vigilantes mascherati o come spesso usano chiamarsi "avventurieri in costume" (la parola supereroe non è mai usata nel fumetto).
La storia è un capolavoro in stile multipersonaggio, con un'intricata serie di trame e sottotrame che raccontano l'epoca dei vigilantes mascherati (gli anni '70), la loro messa al bando da parte del governo tramite la legge Keene (la fine degli anni '70) e il declino di molti di loro (il presente, 1985). L'omicidio di uno di loro che collaborava col governo (Edward Blake, detto "il comico"), sarà l'evento catalizzatore che porterà nuovamente alcuni di loro a rincontrarsi per scoprire cosa si nasconde dietro quella morte.
Il film ripercorre a grandi linee lo scheletro narrativo del fumetto, fatto di un'intricata serie di trame e una lunga serie di flashback nei quali si ricostruisce parte della storia dei personaggi, senza purtroppo riuscire a ricreare il medesimo coinvolgimento emotivo né tanto meno la stessa credibilità negli stessi personaggi che racconta.
Proprio il senso di disillusione che tanto aveva arricchito la graphic novel sembra scomparso del tutto ,per lasciare spazio ad una visione poco convincente e molto incentrata all'azione (che invece nel fumetto è quasi del tutto assente). I vigilantes diventano quasi dei supereroi a metà tra l'eroina di "Kill Bill" e il protagonista di Old Boy. Il regista, per farla breve, va in senso contrario al fumetto creando un film fumetto proprio quando invece Moore aveva creato un fumetto-film.
Il geniale Alan Moore con "The Watchmen" si era allontanato dal fumetto puramente giovanile per creare (come lui stesso ha dichiarato) qualcosa di simile a "Moby Dick", con la stessa densità e lo stesso peso.
Snyder, con questo film, lo riporta crudelmente alla dimensione di fumetto giovanile.
Si noti tra l'altro che nel libro Rorschach - uno dei vigilantes - in una delle prime scene, si rivolge al suo ex compagno Dreiberg dicendo: "Forse qualcuno sta uccidendo gli eroi in costume", mentre nel film la frase diventa: "Forse qualcuno sta uccidendo i supereroi in costume".
Sarebbe dovuto essere un film più vicino ad "America oggi" che non a "Kill Bill".
Il film, dunque non riesce ad avere la stessa intensità dell'opera, ma perché?
Il motivo è molto semplice: perché è un film e non un fumetto. Questa banale espressione, che potrebbe apparire come una ovvia interpretazione del sillogismo aristotelico, pare non essere ancora chiara a tantissimi autori: ogni opera viene scritta per vivere in un ben determinato contesto e quindi con determinate tecniche, perciò non è detto che quello che funziona in un libro possa funzionare al cinema e lo stesso vale per i fumetti. E questo film ne è una prova lampante: pur mantenendo inalterata gran parte della trama, non riesce ad avere lo stesso impatto: i personaggi sono solo abbozzati e l'intero mondo narrato sembra plastificato, finto, non convincente; e la colpa va equamente suddivisa tra sceneggiatori e regista perché non sono stati capaci di entrare nell'animo della storia, ma si sono accontentati di mostrare solo gli aspetti più superficiali.
A metà degli anni 90, Alan Moore e Terry Gilliam lavorarono insieme per un adattamento cinematografico di "The Watchmen". Scrissero molte sceneggiature, ma nessuna di esse riusciva ad essere convincente. L'unica che sembrò soddisfare entrambi purtroppo non era producibile: si trattava di una sceneggiatura per cinque puntate (di due ore ciascuna) per la televisione americana. Il progetto era troppo costoso e quindi fu archiviato. Sia Gilliam che Moore lasciarono pertanto perdere l'idea.
La sceneggiatura attuale di David Hayter e Alex Tse manca delle progressioni necessarie a strutturare i personaggi. Pur mantenendo molte delle svolte della trama originaria, non mantiene la stessa crescita all'interno delle sequenze come ad esempio la parte tra Rorschach e l'analista. La tranquilla vita borghese dell'analista veniva sconvolta dalle rivelazioni di Rorschach e ciò dava un peso maggiore alla storia del vigilantes. Ignorando completamente questa parte della trama, anche il personaggio di Rorschach ha meno spessore.
Molti dettagli che contribuivano a creare il carattere dei personaggi sono stati poi omessi, penalizzando soprattutto i personaggi di Dreiberg e di Veidt.
Il primo non assume minimamente il ruolo da fallito e insoddisfatto, e il secondo è ridotto a mero dandy metropolitano. Il problema è che trama e personaggi erano sviluppati anche grazie a piccole scene e brevi spezzoni di dialogo, particolari che sono sembrati inutili a chi ha scritto la sceneggiatura e che invece erano fondamentali. Ad esempio è venuto meno il discorso sul nodo gordiano che dava importanza alla scelta finale di Veidt, così come il contrappunto narrativo dettato dai "Racconti del vessillo nero", completamente ignorato nel film.
Risultando debole il personaggio di Dreiberg, risulta anche meno interessante Rorschach, perché nella narrazione l'uno rafforzava l'altro, erano entrambi due facce della desolazione, due modi di vivere contrapposti e proprio grazie a questa contrapposizione molte scelte dell'uno o dell'altro venivano evidenziate.
Un'altra grande mancanza risiede nell'assenza di una costruzione forte del passato (quando i vigilantes erano famosi e accettati dalla popolazione) perché la decostruzione deve avere una base da demolire per mettere in evidenza tutti quei difetti che porteranno la gente ad odiare coloro che una volta erano considerati eroi. Il diffondersi dei graffiti sui palazzi con la frase "Who watches the watchmen?" era il chiaro messaggio del cambiamento dell'opinione pubblica nei loro confronti. La frase già di per sé scuote le coscienze, ma nel film tutto ciò non si avverte, proprio per quanto detto sopra.
Come è intuibile, le trame del fumetto erano tutte perfettamente incastrate e si bilanciavano/rafforzavano l'un l'altra. L'equilibrio era perfetto e alterandolo tutta la costruzione è venuta meno.
Infine non c'è molto neanche sulla fanta-politica (tranne un paio di scene e un richiamo al "Dottor Stranamore") e il mondo descritto appare molto artefatto e finto come il trucco posticcio e grossolano del naso di Nixon.
Si è cercato di porre rimedio costruendo nei dialoghi ciò che non si poteva mettere per immagini, ma ciò non ha fatto altro che appesantire i dialoghi stessi con una retorica troppo scontata, e una gratuita esposizione spesso fuori luogo e non drammatizzata.
Insomma, pur mantenendo lo scheletro del racconto, mancano troppi dettagli che non erano solo di contorno, ma creavano l'atmosfera e il mondo in cui i personaggi operavano. Venuto meno questo, è venuto a mancare il setting e senza quello la storia è troppo debole. E in quest'ottica anche il finale perde di importanza. Pur mantenendo l'idea di base (ossia la necessità di creare un nemico e che in perfetta logica machiavelliana, il fine giustifica i mezzi), nel film il finale non ha la stessa forza che ha nel fumetto. E ciò non è dovuto alla variazione apportata alla trama nel finale (variazione obbligata avendo eliminato una sottotrama del fumetto), ma alla incapacità di creare le progressioni che rendessero importante quel finale.
La regia di Snyder è da bocciare, senza appello alcuno. Attinge a piene mani dal campionario visivo del fumetto e di altri noti film d'azione, mancando totalmente di originalità con inquadrature ed effetti ormai abusati.
Passando ad un piano più strettamente filmico, la regia ha sminuito il sistema di immagini basato sul tempo che nel fumetto era onnipresente (c'era spesso qualcosa che ricordasse un orologio vicino alle ore dodici) e non riesce ad emulare neanche una delle tante sottigliezze grafiche che Moore e Gibbons avevano costruito.
Gli autori del fumetto avevano costruito un sistema di immagini molto vario, spesso differente a seconda dei capitoli; per citarne uno si pensi al capitolo V: "Terrificante Simmetria". Esso contiene molti richiami alla simmetria ed è disegnato in modo tale che la prima pagina sia speculare all'ultima (in termini di disposizione dell'immagine), la seconda alla penultima e così via; questo è solo un esempio della geniale veste grafica con cui gli autori del fumetto inducevano in modo subliminale dei concetti. Snyder, da buon regista di massa, ignora completamente questi dettami credendo che basti soltanto la messa in scena passiva per creare un film.
Per non parlare di alcune musiche completamente fuori luogo. "La cavalcata delle valchirie" in Vietnam (citazione di Coppola? Voglia di mettersi in ridicolo?) con il Dr. Manhattan che spunta da una collina e uccide i vietcong è quasi kitsch, anche se il punto più basso, che sfiora il ridicolo, si raggiunge con l'"Alleluja" di Leonard Cohen durante la scena di sesso.
Completamente da bocciare anche gran parte del cast, che ci mette del proprio per non delineare i personaggi. Le interpretazioni sono tutte molto superficiali e gli attori non riescono, se non a brevi tratti, a restituire l'umanità ai personaggi che interpretano. Se si possono salvare le interpretazioni di Jeffrey Dean Morgan (Edward Blake/Il Comico), e di Billy Crudup (Jon Osterman/Dr. Manhattan), anche se quest'ultimo è troppo monoesopressivo, sono decisamente da dimenticare Patrick Wilson (Dreiberg/Gufo Notturno) e Matthew Goode (Veidt/ Ozymandias), che meritano un ex-aequo per il premio come attore più inespressivo dell'anno. Quasi macchiettistica, invece, quella di Carla Gugino (Sally Jupiter/Spettro di Seta 1) quando interpreta Sally Jupiter da vecchia. A non aiutarla ci si mette anche il trucco che non riesce ad invecchiarla. Risultato: una ragazza che fa finta di fare la vecchia.
In un limbo di sufficienza si collocano Malin Akerman (Laurie Juspeczyk/Spettro di Seta 2) che compensa con una presenza fisica notevole, e Jackie Earle Haley (Walter Kovacs/Rorschach), chiamato ad interpretare un ruolo veramente difficile, ossia quello di un personaggio asettico, quasi privo di emozioni; purtroppo vi riesce solo in parte.
Per alleggerire il giudizio critico si possono spendere due parole sui titoli di testa, in cui viene mostrata l'epoca dei "Minutemen" (i primi avventurieri in costume) che è davvero molto bella ed armonizza benissimo con "The times, they are a-changing" di Bob Dylan, così come la prima parte del Dr. Manhattan su Marte (forse questi sono due dei pochi momenti in cui il film riesci in parte ad avvicinarsi leggermente al fumetto). Ma è veramente troppo poco. Chi non ha letto il fumetto si troverà davanti un tentativo di svecchiare i supereroi riuscito solo in parte che probabilmente tenderà ad annoiare e non risulterà molto chiaro in molti passaggi; chi ha letto il fumetto vedrà un patetico e scellerato sforzo di adattamento cinematografico. Sostanzialmente è un filmetto mediocre in entrambi i casi.
Sarebbe stato meglio fare scelte coraggiose e cambiare la storia originale per adattarla meglio al contesto cinematografico (ma Kubrick non ha proprio insegnato niente?), che non realizzare un adattamento tanto sbilenco e confuso.
Ma la volontà della produzione era chiara fin dalla dichiarazione del cast tecnico. Affidare la regia ad un mestierante come Snyder (che già aveva ridicolizzato il fumetto "300") e la sceneggiatura a due autori non sufficientemente esperti, era un'ammissione preventiva dei propri intenti: non essendoci idee meglio arraffare tutto ciò che si può copiare e vendere; dell'aspetto artistico meglio non disquisire.
Non ci resta comunque che sperare che l'"extended version" riservi qualche piccola sorpresa.
Per ora, quindi, non si può che essere solidali con Alan Moore, che per l'ennesima volta si è visto rovinare una sua creazione dall'industria dell'intrattenimento. Non ha voluto neanche essere nominato nei titoli ed infatti non appare, come già accaduto anche per "V per vendetta".
Magra consolazione, ma è giusto che, di tanto in tanto, qualcuno faccia notare che i veri autori non sono solo mercenari attaccati al denaro.
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Recensione a cura di fidelio.78 - aggiornata al 19/03/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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