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L'esordio di Tinto Brass è anche il suo lavoro migliore, prima di perdersi nel grande impazzimento erotico che gli darà fama e successo in Italia e in giro per il mondo. Pesantemente influenzato dalla Nouvelle Vague e da un certo ribellismo di ingenua e spontanea anarchia, questa pellicola disegna il disagio di un giovane veneziano, che non si rassegna all'idea di avere un lavoro, una famiglia e una rispettabilità piccolo borghese, insomma, un posto nel mondo; così, comincia a passeggiare per una Venezia assolata, in preda a ricordi, sogni e pensieri vari. Un ottimo ritratto della gioventù italiana pre-'68. Essendo recitato in veneziano, risulta difficilmente comprensibile a quanti non abbiano conoscenza della lingua dialettale veneta. Selezionato tra i "100 film italiani da salvare".
Sul ciglio del baratro del conformismo, questo concetto secondo me è il cruccio del protagonista che ci accompagna per tutta la pellicola, dove Brass al suo esordio esprime in forma libera e un po' influenzata dalla nouvelle vague francese, i vantaggi e gli svantaggi di una possibile vita lavorativa. Viene passata in rassegna la vita del protagonista, i suoi rapporti con la famiglia, con la chiesa e con i suoi stessi ideali. Brass ha un tono scanzonato ma allo stesso caustico e corrosivo. Estremamente provocatorio il finale che insieme ad altri elementi del film gli fecero avere non pochi problemi con la censura.
Splendido titolo per uno dei primi film di Brass, ancora lontano dallo pseudo-erotismo della sua produzione più recente e famosa. Si tratta di un film che ancor'oggi può essere attuale; il protagonista deve decidere se accettare o no un posto di lavoro, e vaga per Venezia cercando di capire se è meglio sottomettersi ai dettami sociali o restare libero… Il lavoro, il posto fisso, è considerato dal protagonista un mezzo con cui la società ci ingabbia, ci priva della libertà, ci schiavizza; il lavoro è conformismo, è morte dell'individualità, è non-vita. Oltre alla retorica del lavoro, anche l'orribile triade religione-patria-famiglia viene presa di mira e sbeffeggiata. Per i tempi molto originale non solo nei contenuti ma anche stilisticamente, con influenze godardiane. Unico difetto è la scelta del dialetto, per cui molti passaggi sono poco comprensibili per i non-veneti (magari sarebbero stati utili dei sottotitoli in Italiano!) e il film diventa un po' confuso. Ai tempi fu nel mirino della censura (tra l'altro si parla anche di aborto), il regista fu costretto a cambiare il titolo con il più banale "In capo al mondo".
Il Tinto fa un bell'esordio mettendo in scena una percezione tutta sua della vita lavorativa, ironica o no che fosse. Originale l'idea dell'incalzante voce narrativa, che riporta freneticamente i pensieri del protagonista. Un'idea che si rivela allo stesso tempo anche un aspetto odioso, dato che l'accento (veneziano ?) non sono riuscito a seguirlo. Non certo un gran film, ma perlomeno una dimostrazione tangibile delle grandi potenzialità del nostro Tinto il quale preferì successivamente imboccare una strada diversa seguendo un processo alla lunga involutivo. Come in Così fan tutte, coprotagonista è Venezia.
Discreto esordio per Brass, con un film un pò confuso, originale, un pò troppo esplicativo e dimostrativo, ben recitato.
Alla fin fine credo che il messaggio sia il rappresentare il lavoro come una sorta di indiretta omologazione, ossia che una persona, per poter contare almeno qualcosa, deve per forza di cose lavorare, per forza di cose inserirsi nella società. Quindi è un film di critica sociale abbastanza ben riuscito, che scade un pò nel finale leggermente esploitativo, come quando si cita la scritta Arbeit nacht frei del nazismo, che ho trovato un pò facilone come rimando.
Tutto sommato vedibile, piacevole e consigliabile.