il ventre dell'architetto regia di Peter Greenaway Gran Bretagna 1987
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il ventre dell'architetto (1987)

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locandina del film IL VENTRE DELL'ARCHITETTO

Titolo Originale: THE BELLY OF AN ARCHITECT

RegiaPeter Greenaway

InterpretiBrian Dennehy, Chloe Webb, Lambert Wilson, Sergio Fantoni, Vanni Corbellini, Stefania Casini, Alfredo Varelli, Francesco Carnelutti, Geoffrey Coppleston, Rate Furlan

Durata: h 1.58
NazionalitàGran Bretagna 1987
Generedrammatico
Al cinema nell'Aprile 1987

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Trama del film Il ventre dell'architetto

Un architetto americano cinquantenne, Stourley Kracklite, più teorico che realizzatore, viene a Roma, accompagnato dalla giovane moglie Louisa per allestire la mostra celebrativa di "Etienne-Louis Boullée, uno degli architetti utopisti dell'illuminismo francese del '700, verso il quale nutre un'enorme ammirazione. Tra le persone che lo aiuteranno nel lavoro c'è Casparian Speckler, un bel giovane, pure lui architetto, ma di scarso talento. Mentre i preparativi hanno inizio e l'entusiasmo di Kracklite è grande, questi incomincia a soffrire di forti dolori al ventre...

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Voto Visitatori:   8,23 / 10 (26 voti)8,23Grafico
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Voti e commenti su Il ventre dell'architetto, 26 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

_Hollow_  @  18/02/2014 07:15:48
   10 / 10
Molto bella la recensione al film.

Non mi piace particolarmente Greenaway da un punto di vista emotivo; i suoi film per il 90% del tempo mi indurrebbero al sonno, se non fosse che si ha come l'impressione che perdersi anche un solo secondo di un suo film possa non solo essere un insulto al Cinema, dove bisogna apprezzare anche il singolo fotogramma senza distrazioni, ma compromettere del tutto la ricerca di un senso di ciò che si vede (tant'è criptico ed elitista).

Il suo stile, soprattutto quì, è stranissimo, fatto di movimenti di macchina magistrali che si spengono in inquadrature statiche, plastiche e quasi monumentali come la stessa città di Roma. Verrebbe da poter distogliere lo sguardo a tratti, concentrandosi solo su i dialoghi avendo ormai la scenografia fissa nella retina, ma ci si chiede se magari in uno stile da cinema narrativo non sia tutto voluto per cogliere ancora qualche particolare dello sfondo (alla von Stroheim); oppure se non sia una trappola per far perdere di vista il gesto decisivo, la chiave di volta della scena; oppure se semplicemente da buon cinema dello sguardo il tempo non sia semplicemente eccessivo e adatto farsi una propria idea su quello che sta succedendo, sul significato di quello che si sta osservando.

La musica fa da commento a molte stranezze; a volte è chiaramente opera di Wim Mertens, altre volte sembra quasi diegetica (come se ci fosse un pianoforte a suonare dietro l'angolo, appena al di fuori dell'inquadratura e che aspetta solo di essere ripreso) ma non lo è, altre volte lo è effettivamente (quì un violino, il bambino ne "Il cuoco ecc").

Come in quello si trovano elementi ricorrenti: la fisicità e realtà carnale dei corpi (che danno la vita e marciscono allo stesso tempo) contrapposti a tutto ciò che è invece etereo e spirituale; il cibo ed il suo rapporto fisico e mentale col corpo; un cromatismo zeppo di verdi e di rossi.


Vi sono talmente tanti simboli poi che trovo ridicolo anche solo pensare di poter snobbare con un sei marcio un film del genere non trovandoci nulla di che; abbiate il coraggio semplicemente di ammettere che un regista simile, un vero regista di quelli coi contro******** ed una cultura mostruosa, se vuole possa rendere la visione di un film difficile, ma la sua comprensione praticamente impossibile.
E se una cosa simile non vi passa nemmeno per l'anticamera del cervello, beh cicci rendetevi conto di essere piccoli pesci in un oceano enorme.
Se (Greenaway) non se ne fosse uscito tempo fa ammettendo che "Il cuoco il ladro la moglie e l'amante" fosse un'opera profondamente politica, avrei sfidato chiunque a vederci un dipinto macabro della politica tatcheriana. Mi vien da ridere e da piangere a pensare che qualcuno possa sentirsi talmente sveglio da aver bollato magari anche un film come quello come qualcosa di insensato e vuoto, un film in realtà complessissimo e registicamente ineccepibile per cui il regista è arrivato a dire che il titolo dovesse esser scritto senza virgole.

E quì siamo alle solite, la storia, per quel poco che conosco di Greenaway, sembra sempre la stessa: film lenti e monotoni, anche piuttosto noiosi ma dove si deve dare atto di un utilizzo della MdP perfetto, unito alla perfezione dell'intera composizione scenica, musica inclusa.

E dietro a questa perfezione formale risiedono concetti e pensieri anche importanti e meritevoli a volerci fare attenzione, un'emotività nascosta e poco accessibile perché difficilmente empatica. Sia perché è difficile per lo spettatore immedesimarsi in quell'alta borghesia colta e raffinata (che deve comunque sempre avere a che fare con il livello abbietto della corporalità) spesso centrale nella poetica di Greenaway, sia perché volutamente (anche in quel modo) nascosta, filtrata per non apparire ad uno semplice sguardo spettatoriale: come ad attestare l'impossibilità per la MdP di esplorare gli anfratti dell'animo umano, il suo "ventre", che perennemente nascosto anche se continuamente esposto esternamente, imperscrutabile alla vista anche di colui a cui appartiene (e infatti Kracklite non conoscerà mai fino alla fine il suo male pur essendoselo immaginato, anzi pur avendolo praticamente creato con una sorta di autosuggestione; come non si accorgerà mai da solo di suo figlio che nasce nel ventre di sua moglie).

Penso che da questo punto di vista, il dialogo (meglio il monologo) da ubriaco tra i tavoli del ristorante iniziale sia emblematico e centrale per comprendere almeno un po' questa concezione. Come se, secondo saggezza antica, le parole dette da ebbro siano sempre sincere e portatrici di verità.
Viene detto che tutti noi, anche se stranieri, abbiamo una pancia ("scusate dovevo dire addome") simile, riempita con una dieta simile, viene poi urlato e confessato (nell'indifferenza generale e nello sconcerto snob delle donne in primo piano a tavola) di avere il cancro, e il monologo si conclude con l'affermazione "anche Gesù Cristo sarebbe morto di cancro all'addome, se voialtri non l'aveste crocifisso prima!" .
Il "voialtri" può significare l'umanità tutta (quella di cui si parla nella recensione, sorda all'arte e sfruttatrice del lavoro dell'architetto per motivi di lucro), come può riferirsi ai romani in particolare (Pilato, esecutori delle leggi romane sotto il regno di Augusto).

Penso che Greenaway sia un po' come quelle opere di Boullée, possono ricordare l'inferno o il paradiso; io personalmente preferisco di gran lunga altro (e quì torna per la 200° volta la citazione di Wim wenders su Ozu), ma devo ammettere che il suo cinema mi incute un fascino e soprattutto un timore e rispetto assoluti; per cui mi ritrovo mio malgrado a dare il massimo dei voti e a considerare un capolavoro qualcosa che, a pelle, nemmeno mi piacerebbe. Ma non c'è scritto da nessuna parte che l'arte debba piacere, e soprattutto che debba essere accessibile e immediata (e quì mi torna in mente per la seconda volta Stronheim, e la visione che debba essere un martirio tramite cui filtrare gli spettatori più degni).

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