Leggere il nome di
J.J. Abrams affianco ad un prodotto televisivo, ad oggi, scatena necessariamente una crisi di panico. Il fu grande (per una serie di coincidenze) JJ, infatti, dopo essersi proposto per il ruolo di Re Mida e averlo quasi ottenuto, non ha più potuto nascondere ulteriormente i suoi limiti e ha mostrato il volto meno affascinante della sua creatività. Dalla terza stagione di “
Lost ” in poi, al nuovo prodotto presentato in pompa magna, “
Fringe”, fino al più recente “
Alcatraz”, che incredibilmente annoia già nel corso della prima puntata e che non riesce infatti a riconfermarsi nemmeno per una seconda stagione. Quando, pertanto, viene annunciato “
Person of Interest”, nuovo prodotto con il suo nome tra gli ideatori, lo sconforto è grande e le difese vengono potenziate fino al loro livello più alto. E stando ai primissimi minuti sembra che l'atteggiamento sia pienamente giustificato, salvo scoprire più avanti che forse Jonathan Nolan (co-sceneggiatore della serie) ha capito come imbrigliare la creatività di JJ al punto di evitarne quel tipico sfarfallamento che fino a prima di “
POI” rovinava quanto di buono partoriva inizialmente. Sembra, ad onor del vero, riuscirci davvero bene. Sì, perché i presupposti per una sciocchezza caciarona alla Abrams c'erano tutti – il potere occulto, LA macchina, gente che sa, Ben Linus – e la struttura potenzialmente molto pericolosa degli episodi autoconclusivi non faceva sperare in nulla di buono, ma solo in un'infinità di puntate strutturate con colpi di scena continui e improbabili. E invece no, fortunatamente accade l'esatto contrario. Tutto appare curato nel dettaglio. Ancor prima che nella resa tecnica e scenica, nella sceneggiatura. Nelle prime battute si ha sempre infatti la sensazione che il colpo di scena da serie b possa sbucare da un momento all'altro con la faccia di JJ che ti ischerza dicendoti che sei un deficiente e che ci sei cascato di nuovo, ciononostante non arriva mai, o perlomeno non in maniera eccessiva, al massimo con il giusto compromesso tra credibilità e spettacolo. Dopo un certo numero di puntate, anzi, diviene chiaro che “
POI” sa perfettamente come restare sui binari della qualità senza deragliare verso quei luoghi di villeggiatura in cui Bishop Jr. beve cocktail con simpatici ombrellini tutto il giorno, Hauser prende il sole ogni mattina sul lettino e Jacob fuma continuamente sigari dal fumo nero, respirandoli, perché è notoriamente scemo. Questa volta si preferisce fare sul serio e i risultati sono lampanti. Anche dal punto di vista scenico, si scriveva. La fotografia, mai troppo accesa e spesso livida ricrea una sorta di vena malinconica che nei flashback svela tutta la sua potenza, conferendo di riflesso anche al presente narrato un animo del tutto simile; insieme ad una colonna sonora eufemisticamente indovinata che, un esempio su tutti, rende con “
Lonely soul” degli
Unkle (feat. Richard Ashcroft) il finale della ventesima puntata di questa prima stagione davvero notevole.
E degli attori vogliamo parlarne? Sì, vogliamo farlo. Perché se Emerson in prodotti televisivi si era già visto e aveva dimostrato di sapere come si interpreta un personaggio,
Caviezel si presenta semplicemente smettendo di essere Caviezel e diventando John Reese. La sua prova è perfetta, non ci sono “ma” che tengano. Fa del magnetismo la caratteristica principale del suo personaggio ed è impossibile non farselo piacere; se si ha qualche dubbio qua e là, lui entra in scena da non si sa dove con una frase (ancor prima di comparire fisicamente) tipo “your coffee is gettin' cold, detective”, con quel suo tono quanto meno basso e quel timbro ormai riconoscibilissimo, e lo spazza via, facendo tornare lo spettatore ad amarlo. Nelle prime battute sembra invero un personaggio un po' troppo caricato, eccessivamente gigione, poi però ci si rende conto che ad essere calibrate sono anche le sue espressioni, quel tanto che basta per mantenerlo figo-ma-non-troppo. Anche i dialoghi, ovvio, giocano in questo senso un ruolo di primo piano, essendo a loro volta assai validi e aderenti ad un ritmo serrato che tiene incollati allo schermo.
Certo, “
Lost” ha mostrato le sue abissali lacune solo dopo la terza stagione, e qui siamo appena alla prima, tuttavia è lecito sperare, anche grazie alla puntata conclusiva, che di sorprese ne promette abbastanza. Forse troppo caricato il colpo di scena? Sticazzi, è il finale di stagione.
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