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Prende il via, domani 6 Giugno, la terza edizione di “Contest – Il Documentario in sala”, presso il Nuovo Cinema Aquila, a Roma. Pellicole in concorso e fuori concorso si alterneranno ogni giorno sul grande schermo dalle 18.30 in poi, fino a Domenica 9 Giugno.
Questa terza edizione, dopo le esperienze precedenti dedicate al tema delle
nuove generazioni e a quello delle
Memorie, si soffermerà sui
Territori e i meccanismi di resistenza messi in atto per difenderli, ma anche dei territori della mente e della condizione umana, e si caratterizzerà come un vero e proprio festival di cinema italiano. Saranno infatti sette i documentari in concorso che, valutati da una giuria del pubblico, concorreranno al premio
AQUILA Doc, ossia una settimana di programmazione in sala.
Per conoscere i titoli delle pellicole che verranno proiettate o per qualsiasi altro approfondimento, è possibile visitare il
sito ufficiale dell'iniziativa.
Ed anche la sesta stagione di “Californication” è andata. I soliti 12 episodi da poco meno di mezz'ora ciascuno che lasciano sempre quel sapore amaro del troppo poco. Ogni stagione va via come niente, con una leggerezza tale che si potrebbe tranquillamente vedersela d'un fiato. Ammetto di averla criticata all'inizio, con un fare anche po' idiota, per un protagonista che al netto del contesto generale appare poco credibile e troppo costruito. Peccato però che tutto il resto, il contesto appunto, sia esattamente identico, puntando su un'esagerazione continua che non si preoccupa mai di rendersi credibile. E, anzi, se sto spendendo queste due righe è proprio per quel carattere fuori di testa che non viene mai meno, e non nell'arco di un'intera stagione ma anche nell'arco della singola puntata. Non è un capolavoro, o una roba che verrà ricordata, né vuole esserlo, tuttavia gli sceneggiatori meritano più di qualche elogio per la capacità di scrivere situazioni sempre allucinanti e provocatorie, proporre dialoghi serrati e ricercati ma sempre indecenti, dare un ritmo alla narrazione che non conosce mai momenti di stanca. Certo, al ritmo contribuiscono fortemente, come è giusto che sia, anche regia e montaggio, di stampo chiaramente videoclipparo, ed hanno quindi i loro meriti, ma ciò che merita più di quanto possa sembrare resta l'inventiva nella scrittura del prodotto. Potrebbe infatti apparire semplice o comunque non meritevole quanto realmente è, perdendosi nel tutto durante la visione e dando per scontata la realtà un po' fuori dagli schemi, tuttavia a mente fredda non si può fare a meno di riflettere sul fatto che ogni singolo personaggio, ogni singola parentesi, ogni singola dinamica è per l'appunto fuori di testa, ma mai esagerata fino ad apparire banale o forzata. Giusto il tempo di abituarsi un attimo alla dimensione proposta, che scorre tutto via così, come se fosse normale. Ideatore della serie e principale sceneggiatore è Tom Kapinos, che ha lavorato incredibilmente come produttore esecutivo e sceneggiatore di “Dawson's Creek”, cosa che se per certi versi, considerata la quantità di indecenza, sesso, droghe ed esagerazioni varie in “Californication”, sembra quanto meno strana, per altri appare giustificata dagli anni di clausura e correttezza adolescenziale nella quale Kapinos sarà stato costretto per anni, dietro i pianti di Dawson sul pontile (e diciamocelo, pure dei nostri)
Bravissimi gli attori, ottime le musiche, funzionali come si scriveva regia e montaggio, ma non ho sinceramente alcuna voglia di parlare di questi aspetti, volevo scrivere giusto queste due stronzate per complimentarmi con l'ideatore della serie e gli sceneggiatori che gli girano attorno. Speriamo duri il più possibile, riesce ad alleggerire 30 minuti della tua giornata come pochi prodotti sanno fare.
4° FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA PATOLOGICO
10 - 14 aprile 2013, Teatro Patologico di Roma (Via Cassia 472)
- Ingresso: 10 euro a serata -
“Apertura Shock”
Teatro terapia o neurochirurgia? Chi salverà i matti? Questo il tema del documentario shock “Marat Sade” di Dario D’Ambrosi prodotto da Rai Cinema che aprirà la IV edizione del Festival Internazionale del Cinema Patologico. La sfida-provocazione tra un artista (D’Ambrosi) e un neurochirurgo (Prof. Enzo Esposito). D’Ambrosi sostiene che per curare la malattia mentale il Teatro è più efficace dello psicofarmaco e la neurochirurgia mentre il famoso neurochirurgo afferma che gli unici risultati certi li dà la chirurgia.
Nel documentario “Marat-Sade” mentre D’Ambrosi assieme ai ragazzi disabili psichici è impegnato nella messa in scena dell’omonima opera di Peter Weiss, nella sala operatoria dell’ospedale “Neuromed”, il Prof. Esposito sta eseguendo un difficilissimo e delicatissimo intervento al cervello…
In occasione della prossima ricorrenza del 35° anno dall’ emissione della legge 180, dal 10 al 14 aprile 2013 si terrà a Roma la 4a Edizione del Festival Internazionale del Cinema Patologico presso il Teatro Patologico di Via Cassia, 472. Elemento innovativo dal punto di vista artistico e sociale di questo Festival unico al mondo è la giuria: composta da ragazzi disabili psichici.
Dario D'ambrosi, creatore del movimento teatrale 'Teatro patologico'
Quest’anno il Festival apre all’Europa con la partecipazione del Goethe Institut e il patrocinio dell’Accademia di Spagna a Roma. In programma il docu-film “Berg Fidel” della regista tedesca Hella Wenders e la performance “Corpo in Divenire” della coreografa spagnola Marisa Brugarolas, la proiezione del video di danza integrata “Un dìa qualquiera” della regista Lola De Pablos oltre al documentario “Café La MaMa E.T.C.: the house is open” di Fabrizio Croce, Antonio Messia e Donatella Querici prodotto da UIL TV.
Non mancheranno appuntamenti musicali e dibattiti che affronteranno tematiche legate alla disabilità ai quali prenderanno parte rappresentanti delle istituzioni e del mondo della medicina.
Dopo la visione di oltre 200 film arrivati da tutto il mondo ne sono stati scelti 20 che saranno proiettati durante le giornate del Festival.
L’Evento Cinematografico culminerà con la premiazione del lungometraggio e del cortometraggio vincitore, selezionati dalla giuria in un periodo di formazione precedente al Festival.
Insomma un Festival da non perdere!
Festival Internazionale del Teatro Patologico 10/14 Aprile 2013-03-25
Presso il Teatro Patologico di via Cassia 472, 00182 Roma
Tel. 06 334.34.087 - Cell. 389 42.90.799
teatropatologico@gmail.com
www.teatropatologico.it
Un blog gestito ed alimentato da appassionati, così come il sito di cui fa parte, non può decidere di non pubblicizzare iniziative che a loro volta cercano di promuovere la passione verso un'arte nei cui circuiti è spesso difficile penetrare. Una passione che troppo spesso, quindi, è costretta a spegnersi perché non in grado di ricevere la visibilità che meriterebbe, del riscontro necessario ad un progetto che di quel riscontro vive.
CineIndie è una di queste iniziative. Nato nel 2012, ma capace di vantare già un ottimo bacino d'utenza, si prefigge di dare voce e visibilità a tutti i produttori indipendenti italiani. A questo scopo è stato creato un circuito di distribuzione web (www.cineindie.it) che possa raccogliere e rendere fruibile all’interno di un unico canale lungometraggi, cortometraggi, documentari e videoclip Made in Italy che non hanno una diffusione mainstream.
Il progetto, inoltre, prevede una rassegna (in due tranche) all’interno delle sale cinematografiche di Padova durante la quale verranno presentate le opere scelte da una commissione esaminatrice e sottoposte al giudizio del pubblico. Saranno proprio gli spettatori presenti in sala e gli utenti del sito www.cineindie.it a votare le opere della rassegna e permettere loro di essere selezionate per il
festival finale.
Le prime due opere più votate, per ciascuna categoria (cortometraggio, documentario, videoclip), parteciperanno al Festival CineIndie, previsto quest’anno per il 10, 11 e 12 maggio 2013 a Padova.
Un’occasione ulteriore per i produttori di far apprezzare il valore artistico e culturale delle loro opere. Il vincitore unico di categoria del festival riceverà un premio in denaro e la coproduzione di Officina Immagini www.officinaimmagini.com per un nuovo progetto.
Si spera l'iniziativa possa interessare ed aiutare più di qualche lettore, perché di progetti simili non ve ne sono mai troppi. Specie in un Paese che mostra sempre più di qualche difficoltà quando si tratta di tirar fuori qualsivoglia qualità artistica.
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Interessante, “
House of Cards”, non solo per il prodotto in sé ma anche per la scelta da parte di Netflix – società statunitense che da qualche anno propone un servizio streaming dietro abbonamento – di lanciare un prodotto seriale senza costringere lo spettatore ad attendere i tempi di programmazione. Sì, strano a dirsi, la Netflix ha pubblicato in rete l'intera prima stagione di
HoC in una sola volta. Molti saranno entusiasti di questa scelta, io personalmente ne farei l'ottava meraviglia del creato. Da appassionato di serie televisive ho sempre odiato e ritenuto davvero troppo riduttiva la programmazione settimanale. Non aiuta a godere del prodotto completo, si guardano circa 40 minuti ogni settimana, ossia il tempo di entrare all'interno di quanto raccontato che già ci si trova ad uscirne e a dover aspettare altri sette giorni. Non è un caso che abbia sempre optato per l'attesa della fine della stagione, e per la visione della stessa solo successivamente, secondo tempi scelti unicamente da me.
Si potrebbe pensare, abituati alla normale programmazione, che una scelta simile nasconda un prodotto magari non in grado di competere con i grandi. Non si butta lì una gallina dalle uova d'oro come se niente fosse. E in realtà, invece, è proprio così, perché
HoC si rivela già dopo la prima puntata un prodotto che non solo ai grandi non ha nulla da invidiare, ma che è capace di farne vacillare più d'uno.
La narrazione segue le vicende di un classico politico senza scrupoli, Frank Underwood. Si è costruito giorno dopo giorno il suo posto al fianco del presidente degli Stati Uniti neoeletto, sì da ottenere l'ambito posto di Segretario di Stato. Dopo la vittoria gli viene comunicato che si è scelto di dare quella poltrona ad un'altra persona, e questo ad Underwood non piacerà affatto, né tanto meno ci passerà su come se nulla fosse. Lo si legge in una maniera alquanto chiara nello sguardo di
Kevin Spacey
, che smette per l'occasione di essere Kevin Spacey e diviene Underwood. Chiariamo immediatamente, infatti, che la sua prova è straordinaria. Certo, la bravura dell'attore è nota, ma ciò non vieta di meravigliarsene ogni volta. Il personaggio è suo dopo poco più di 60 secondi, ossia quando rivolgendosi allo spettatore dice: “
I have no patience for useless things”. Già,
HoC tra le altre cose si distingue anche per le esternazioni che il protagonista rivolge a chi guarda (senza che vi sia alcun cambiamento nell'ambientazione), spesso spiegando in maniera tagliente cosa sta accadendo, cosa accadrà e perché. E diciamocelo francamente, in un intreccio politico non del tutto semplice, e anche abbastanza veloce, serve abbastanza, altro che critiche sulle varie forme di spiegone. Qui è decisamente utile. E poi Spacey, enorme, lo fa in modo magnetico, quindi va benissimo così.
Altro nome interessante: Beau Willimon. Co-sceneggiatore de “Le Idi di Marzo”, anch'esso un thriller politico, è colui che si è occupato di concretizzare l'intenzione della Netflix di proporre questo rifacimento della serie originale. Dà al prodotto lo stesso volto del film diretto da
Clooney, quell'espressione disillusa, quella fotografia livida e quel portamento assai elegante. Se nel caso de “
Le idi di Marzo”, tuttavia, qualcosa nella sceneggiatura zoppicava, qui invece la velocità di crociera si assesta su valori ben più alti, senza intenzione alcuna di discostarsene, se non verso l'alto. Ancora:
David Fincher. Produttore esecutivo, tra gli altri, e regista dei primi due episodi. Ora, basta tenere a mente cosa ha combinato in “
The Social Network”, rendendo una storia che minacciava le palle a km di distanza, una storia al contrario quanto mai scorrevole e dal ritmo insospettabile. Qui propone grosso modo la stessa regia, dettando tempi e modi ai quali si adatterà la regia degli episodi successivi. Chiara, supportata da un montaggio fluido, veloce quanto basta, pulita e concentrata sui personaggi, sì da non farsi sfuggire espressione alcuna. Del resto sono loro la serie, in questo caso più che in altri; loro e il loro pantano di dinamiche melmose e maleodoranti, ma vestite di tutto punto.
Tra modi attenti, immagine curata e fascino di facciata, infatti, si nascondono ragnatele intessute in maniera non semplicemente cinica, ma spregevole, solo apparentemente magnetica ma realmente nauseante, illuminate da una luce fredda minacciata solo a tratti da sorgenti calde in grado di resistere giusto il tempo di spegnersi sotto i colpi del gelo circostante. Massima espressione di ciò è il rapporto tra Frank e sua moglie, che non a causa mostra a tratti segni di cedimento più o meno contenuto, conseguenza di un malessere che minaccia di esplodere alla minima crepa, serpeggiando tra gli innumerevoli e spesso velenosi scambi. Colonne portanti, quest'ultimi, di dialoghi onnipresenti, attributo principale dell'intero prodotto. Ad essi il compito, anche, di calpestare ogni aspetto umano che cerca di farsi strada durante il racconto, seppur, è ovvio, non riusciranno a farlo a lungo. Non è possibile nella vita reale, né qui. Ed è questo che suggerirà la direzione da seguire alla seconda stagione.
La Netflix si presenta quindi in grande stile, con un prodotto che come si scriveva poc'anzi non ha nulla da invidiare a nessuno – salvo forse qualche caduta di stile, piccola ma evidente se confrontata con la gestione impeccabile di tutto il resto. Mostra inoltre, la Netflix, gusto ulteriore ufficializzando l'intenzione di sviluppare, dopo 7 anni, una quarta stagione di “
Arrested Development”, sit-com inspiegabilmente sottovalutata. Ed è anche il caso a questo punto di tener d'occhio la nuova serie televisiva che proporrà ad Aprile, “
Hemlock Grove”, horror/thriller con
Eli Roth come produttore esecutivo.