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1978: Argentina. E' l'anno dei mondiali, anzi del Mundial, come si imparò a chiamarlo allora, fortemente voluto dal governo dittatoriale del paese sudamericano come propaganda e che vide l'Italia al quarto posto e l'Argentina campione del mondo, con un giovanissimo Maradona ancora non noto ai più.
Ma "Complici del silenzio" non è un film sul calcio, solo per pochi fotogrammi si percepisce che nel paese si sta svolgendo una manifestazione così importante, occasione per portare ai "confini del mondo", come affermò alla sua elevazione a pontefice l'argentino Bergoglio, i due giornalisti sportivi italiani quasi quarantenni protagonisti della vicenda.
I due giornalisti sono scanzonati, interessati al Mundial come da copione e a fare un po' di bisboccia in una città, Buenos Aires, bella e intrigante e inoltre sono ben introdotti grazie a un parente di uno dei due, Maurizio (Alessio Boni), emigrato in Argentina anni prima e ora uomo in vista.
Non riescono sulle prime ad accorgersi del clima di sospetto e paura che si vive nel paese, ma poi un po' per l'enigmatica presenza di Pablo Pere, un responsabile dell'organizzazione del campionato mondiale di calcio, e soprattutto dopo aver conosciuto l'affascinante Ana, ex moglie di un amico, sarà proprio Maurizio a prendere tragicamente coscienza di cosa nasconde il finto benessere del paese sudamericano.
Film di denuncia realizzato senza grossi mezzi e affidato alle valide interpretazioni del cast per metà di madrelingua spagnola, "Complici del silenzio" spiega crudamente come si piega la libertà di coscienza di un popolo, stroncando il minimo spiraglio di disobbedienza con la tortura e la morte violenta e non esitando a distruggere una famiglia perbene, nonostante sia legata in qualche modo a chi fa parte dei poteri forti.
A metà tra dramma e thriller, la pellicola enfatizza la progressiva crescita spirituale del giornalista Maurizio che, solo perché infatuato della bella Ana, si ritrova nelle manovre della dittatura del paese, per poi prendere consapevolezza e superare la sua iniziale superficialità. Lo testimonia il ritorno in Argentina dell'uomo, anni dopo a dittatura ormai finita, non più come cronista sportivo ma come giornalista politico.
Una storia semplice, con un impianto quasi teatrale, affidato più che ad azioni, a dialoghi e a scene in interni che comunque sono di grosso impatto emotivo e simbolico.
Lo spettatore, come il giornalista protagonista della vicenda, lentamente è testimone della tragedia vissuta nel Paese perché tutto è accennato e non chiarito, il dramma delle madri di Plaza de Mayo è simboleggiato dal fazzoletto bianco che la zia del giornalista Maurizio indossa dopo la scomparsa di suo figlio, ma nessuno parla compiutamente di questo movimento di protesta.
Un film minore, che si inserisce nel filone delle pellicole d'inchiesta, sicuramente consigliato.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 03/04/2014 17.06.00
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