Recensione concorso di colpa regia di Claudio Fragasso Italia 2005
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Recensione concorso di colpa (2005)

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locandina del film CONCORSO DI COLPA

Immagine tratta dal film CONCORSO DI COLPA

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Immagine tratta dal film CONCORSO DI COLPA

Immagine tratta dal film CONCORSO DI COLPA
 

"Concorso di colpa" fa il suo debutto sulla scena cinematografica italiana in questi giorni di fine estate. Vorrebbe essere, ma forse sarebbe più idoneo dire passare per, un thriller storico-politico. Per capirci, lo stile vorrebbe evocare quello di "Piazza delle Cinque Lune" di Martinelli, un genere cinematografico in cui una storia e dei personaggi puramente inventati, vanno ad intrecciarsi con un pezzo della memoria, un po’ dolorosa, degli ultimi decenni della nostra penisola. Tuttavia, in questo caso, il risultato è assai deludente e, per certi versi, un po’ inquietante e deprimente.

La trama si sviluppa nei nostri giorni, ma affonda le sue radici nelle sofferte reminiscenze degli anni della contestazione. A questo periodo infatti, risale l’antefatto che diventa poi il motore di tutta la vicenda: l’assassinio, da parte di cinque giovani militanti di estrema sinistra, di un giovane oppositore politico di estrema destra.

Appena visto l’antefatto, si suppone che voglia trattarsi di un film di denuncia verso l’estremismo politico militante, ma si capisce dopo pochissimo che la tematica viene trattata con scontatezza, pochezza di idee (dal punto di vista cinematografico), soluzioni banali e soprattutto al limite dell’inverosimile. Il tutto viene poi condito, ma questo si capisce solo in seguito, con un pizzico di furbizia politica e ottusa demagogia. Ma procediamo poco alla volta.
Il commissario Francesco De Bernardi (interpretato da un pessimo pessimo Francesco Nuti, la cui partecipazione emotiva, tra l’altro non minore a quella degli altri attori, potrebbe essere paragonata a quella di un portasaponetta) viene incaricato da un magistrato di indagare sulla morte, un presunto suicidio, di uno dei cinque militanti che avevano commesso l’omicidio, 25 anni prima.

Il film diventa poi tutto un susseguirsi di colpi di scena, che hanno però come risultato solo quello di svelare l’inverosimiglianza della trama. Inoltre i personaggi mancano totalmente di analisi introspettiva e sono completamente disumani: macchine mostruose senza un minimo di coscienza. La sceneggiatura adotta il linguaggio tipico dei polizieschi di infimo rango, senza contare il ricorso a metafore visive di dubbio gusto estetico, come quella della partita di scacchi come metafora di quella che dovrebbe essere una fine sfida intellettiva.
Ma non è soltanto questo l’aspetto che determina il mio dissenso. Finora infatti ho parlato unicamente della qualità del film, accennando solo di sfuggita al cuore della questione, all’aspetto che tramuta il mio dissenso in disgusto: confesso che sono rimasto praticamente senza parole soffermandomi a riflettere sul messaggio filmico della pellicola, nonché su certe sfumature e allusioni che emergono da un’analisi un po’ più profonda. I quattro famigerati compagni infatti, rimasti nascosti nell’ombra per oltre 25 anni, sapete che professione svolgevano?
Il primo, un professore universitario di Lettere e Filosofia, molto vicino ad autori come Flaiano e Pasolini. Il secondo, un giornalista di prima linea, di quelli che si spingono fino al cuore degli eventi sociali, come gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, di quelli che mi sento di definire senza mezzi termini eroi dell’informazione, a cui dobbiamo coraggiosissime testimonianze di sana e incensurata informazione (si pensi alla troupe capeggiata da Freccero sguinzagliata al G8 di Genova). Il terzo, un imprenditore redento. L’ultimo, un commissario di polizia, ovvero una carica che dovrebbe farsi incarico di assicurare l’equilibrio sociale.

Ma dite un po’, che razza di messaggio ci volete mandare? Ognuno tragga le conclusioni che vuole.
Io ritengo che questi aspetti contribuiscano a trasformare la pellicola da un film di denuncia verso l’estremismo politico militante, causa che mi sento di abbracciare pienamente, a un processo per niente obiettivo ad eventi storici (gli anni della contestazione, non certo gli eccidi politici) che credo vadano analizzati in maniera un po’ più approfondita.
Insomma, una monumento di mediocrità analitica e artistica.

Ma non è mica finita qui.
Durante i titoli di coda viene trasmesso un testo in cui si informano gli spettatori che il film è realizzato con la collaborazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Quali saranno gli obiettivi educativi del Ministero?

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Recensione a cura di echec_fou - aggiornata al 12/09/2005

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