Recensione il caso spotlight regia di Tom McCarthy USA 2015
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Recensione il caso spotlight (2015)

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Miglior filmMigliore sceneggiatura originale (Tom McCarthy e Josh Singer)
VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR:
Miglior film, Migliore sceneggiatura originale (Tom McCarthy e Josh Singer)
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locandina del film IL CASO SPOTLIGHT

Immagine tratta dal film IL CASO SPOTLIGHT

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Immagine tratta dal film IL CASO SPOTLIGHT
 

Recentemente il cinema americano ha ricominciato a prendere confidenza con un genere, se così lo vogliamo chiamare, del cinema di denuncia che si era affievolito nel tempo. Lontani sono i tempi d'oro degli anni settanta, quando pellicole come "I tre giorni del Condor" e "Tutti gli uomini del presidente" avevano suscitato molto clamore, oltre ad un successo commerciale meritato. Queste due pellicole sono solo la punta di un iceberg che registi come lo stesso Pakula, per esempio, hanno portato a livelli di eccellenza assoluta, attraverso un'eredità cinematografica a cui altri cineasti, volenti o nolenti, devono sempre rendere conto.
Un cinema che porta sullo schermo forte tematiche sociali, ma che con l'andare degli anni si è affievolito a vantaggio del documentario. Questo spostamento da una parte non ha avuto conseguenze negative a livello qualitativo, tanto che il documentario stesso negli Stati Uniti riveste un ruolo molto più importante rispetto a quello di casa nostra, per fare un esempio, ma ha pagato molto a livello di pubblico.
Il documentario pur nella sua eccellenza qualitativa non riesce a raggiungere fette di pubblico vaste come la fiction e film come "La regola del silenzio di Redford", pur non essendo una pellicola pienamente riuscita, era comunque un tentativo di riproporre un certo tipo di cinema che era stato accantonato forse un po' troppo frettolosamente.
Un appello, quello di Redford, figlio di quella generazione che metteva sul tavolo tematiche importanti, che idealmente non è passato inosservato e che ha generato nell'ultimo periodo un certo risveglio con film come "Kill the messanger" e lo stesso "Spotlight" che si inseriscono in quel solco dando buoni frutti sia a livello tematico, sia anche come riscontro del pubblico e della critica.

Spotlight racconta la storia del team di giornalisti investigativi del Boston Globe, che nel 2002 ha sconvolto la città con le sue rivelazioni sulla copertura sistematica da parte della Chiesa Cattolica degli abusi sessuali commessi su minori da quasi 90 sacerdoti locali, in un'inchiesta premiata col Premio Pulitzer.

McCarthy pone una certa attenzione al contesto della città: dai sobborghi poveri, ai quartieri della middle class, fino ad arrivare alla crema sociale nei grandi palazzi e grattacieli. Aldilà delle differenze sociali si denota un forte senso di appartenenza alla città in cui è inserito a pieno titolo il Boston Globe, il giornale cittadino con una forte impronta alla cronaca locale. L'arrivo del nuovo direttore della testata, di origine ebrea e non di Boston, nota subito questa particolarità del giornale. Gli stessi giornalisti, o almeno la maggior parte di essi sono nativi della città o almeno ci sono cresciuti. Marty Baron, il nuovo direttore è un "esterno" alla realtà bostoniana. Non conosce la città, non ama particolarmente il baseball. Inoltre non è cattolico.
Sostanzialmente è un alieno in una città che non conosce, ma al tempo stesso sarà proprio questa caratteristica a dare l'impulso necessario, oltre naturalmente il sostegno, ad una delle inchieste più importanti di questo inizio secolo che riuscirà a travalicare i confini cittadini per diventare di risonanza mondiale. Il suo ruolo semplicemente è quello di risollevare le sorti di un giornale in crisi, facendo leva sul team di giornalisti di punta del Boston Globe. I quattro giornalisti che si occupano di inchieste importanti dopo lunghi lavori di investigazione. Il loro primo lavoro sarà un approfondimento su una storia di un prete pedofilo la cui denuncia è stata insabbiata con un accordo extragiudiziale dalla Chiesa Cattolica e soprattutto il lavoro di un avvocato di Boston, Mitchell Garabedian interpretato impeccabilmente da Stanley Tucci, che sta mettendo insieme un dossier riguardante abusi su minori da parte di preti cattolici.

In una città come Boston denunciare la Chiesa Cattolica è un passo estremamente pericoloso, perché significa attaccare il tessuto connettivo della città stessa, perlomeno in uno degli elementi più importanti e vitali, data la fortissima percentuali di cattolici della città, oltre ovviamente al suo profondo radicamento nel territorio.
C'è un'immagine abbastanza esemplificativa che McCarthy inserisce in maniera apparentemente neutra di una grande cattedrale che si staglia sullo sfondo dei sobborghi poveri della città. Un'immagine che acquisirà sempre più potenza nello sviluppo delle indagini fino ad avere connotazioni sinistre, perché l'inchiesta non è soltanto l'individuazione di qualche mela marcia, nemmeno quando la quantità di mele marce è numericamente molto più rilevante, ma soprattutto la scoperta di un sistema di insabbiamento operato dalla chiesa cattolica in primis, con la complicità di avvocati che si metteranno dietro il fragile quanto grottesco scudo dell'etica professionale quando in gioco ci sono reati che vanno aldilà di ogni etica possibile. Una volontà pervicace nel nascondere dentro l'armadio anni, anche decenni, di atti ignobili.

Regia e sceneggiatura vanno di pari passo, con lo scopo di fornire, riuscendoci, una base solida per sostenere la storia. Infatti è proprio la storia con contenuti così forti a dover essere evidenziata senza bisogno di particolari orpelli registici o di sceneggiatura. Non c'è assolutamente bisogno di creare flashback per ricostruire le scene degli abusi sulle vittime. Basta soltanto sentire le parole dei loro racconti, il modo in cui venivano circuiti, l'abuso fisico e soprattutto mentale che distruggevano lo spirito delle vittime, le quali portano ancora sulla pelle e nell'animo le conseguenze di quegli atti anche a distanza di anni. Una semplicità agghiacciante che colpisce sia i giornalisti che ascoltano il racconto e di conseguenza lo spettatore con loro.
"Spotlight", malgrado la sua apparente asciuttezza espositiva, non è solamente il racconto di un'inchiesta scottante, ma possiede anche un altro aspetto non meno importante. Il film può essere visto anche come un percorso di redenzione che ha come fine ultimo il riappropriarsi del ruolo di giornalista. Raccontare verità scomode anche quando queste verità possono causare o spezzare equilibri consolidati o rovinare il quieto vivere di un'intera comunità. Non importa se il prezzo da pagare è alto, se vengono distrutti baluardi ritenuti aldifuori da ogni scandalo e custodi della morale pubblica. L'inchiesta di "Spotlight" serve a smascherare le ipocrisie di un'istituzione, la chiesa cattolica, e la complicità di un sistema che aveva lo scopo di tenere gli scheletri nell'armadio. Complicità che si attivavano ogni volta che lo scandalo era sul punto di emergere. Allo stesso tempo c'è un altro tipo di complicità, molto più sfumato e che coinvolge in primo luogo il Boston Globe stesso: l'ignavia e superficialità del giornale stesso.

Molti hanno accostato "Spotlight" a "Tutti gli uomini del presidente" di Pakula. In effetti la pellicola di McCarthy oltre ad omaggiare un fiore all'occhiello di questo genere, possiede un incedere narrativo molto simile. Ci sono anche delle coincidenze come la presenza di Ben Bradlee Jr. supervisore della squadra "Spotlight" e figlio di quel Ben Bradlee, caporedattore del Washington Post ai tempi dello scandalo Watergate. Inoltre non meno importante, benchè una voce senza volto, quello di Richard Sipe, ex prete e studioso dei problemi del celibato nei preti che riesce ad indirizzare nella direzione giusta le indagini del team di giornalisti. E' questa voce senza volto, la "gola profonda" del film, che mostra l'ampiezza di un problema fino a quel momento sottovalutato e relegato alle classiche poche mele marce.
Queste sono le indubbie similitudini tra questi due film, ma se la pellicola di Pakula poneva Woodward e Bernstein verso una dimensione completamente sconosciuta, cioé riuscire ad entrare nelle stanza del potere e mettere a nudo i misfatti di una classe politica di fronte al proprio popolo, in "Spotlight" l'indagine si snoda verso due binari: uno verso l'esterno, l'altro all'interno del giornale stesso.
Ci sono due scene che caratterizzano la differenza fra queste due pellicole. In "Tutti gli uomini del presidente", Woodward e Bernstein si recano alla Biblioteca del Congresso, consultando migliaia di ricevute alla ricerca di indizi, ribadendo la vocazione di questo film di andare verso l'esterno del giornale stesso. Andare in territori sconosciuti. In "Spotlight" non ci sono biblioteche del congresso da consultare, ma gli immensi archivi interni del giornale stesso. Negli archivi vengono recuperati decine e decine di vecchi ritagli, articoli di poca importanza mai approfonditi, denunce di lettori non prese in considerazione. Il retrogusto amaro di questo film è che l'inchiesta poteva partire anni prima. Il giornale stesso aveva gli elementi per farlo. Si trattava soltanto di ricomporre un puzzle frantumato in tanti rivoli.
Se viene evidenziata la complicità attiva di avvocati ad insabbiare in un contesto extragiudiziale gli abusi sui minori, non meno colpevole è la complicità passiva del Boston Globe, nel non fare e non insistere malgrado la presenza di elementi che potevano giustificare l'inizio di un inchiesta che avrebbe in qualche modo smascherato Tutti gli uomini del cardinale Law. Uomini che erano a conoscenza di un problema e della sua gravità, ma invece di risolverlo, si limitavano a "spotarlo" senza risolvere nulla, anzi creando le condizione affinchè tale problema si perpetrasse nel tempo, inosservato dal pubblico.

Gli attori compiono il loro dovere fino in fondo. Estremamente misurate le loro interpretazioni, al servizio della storia. Solamente Mark Ruffalo viaggia a ruota libera rispetto agli altri. D'altronde il suo personaggio è quello che esprime più degli altri l'emotività e la passione del mestiere di giornalista, unita ad una determinazione fuori del comune. L'unico carattere a cui è consentito di andare fuori le righe, ma rimanendo tuttavia sempre ben saldo nel contesto del film.
Inoltre pur nella centralità che "Spotlight" pone alla storia raccontata, emergono sfumature non indifferenti. Personaggi come il Garabedian di Tucci, il Mcleish di Billy Crudup, Jim Sullivan di Jamie Sheridan sono tutt'altro che marginali, ma che nella loro professione di avvocati esprimono più degli stessi protagonisti un altro elemento importante di questo film: l'eterno conflitto fra etica e morale. Conflitto che ha anestetizzato per anni, forse decenni, l'intera coscienza di una città come Boston.

"You were right, Robbie. We all knew somethin' was going on. So were we you?"

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Recensione a cura di The Gaunt - aggiornata al 18/02/2016 15.33.00

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