Una discesa (simil)fisica nelle viscere della Terra come metafora dei conflitti del mondo interiore.
Dopo la straordinaria scoperta di cinque enormi crateri su di uno sconfinato altopiano sudamericano, il professor Georges Lebrun (Mathieu Amalric) deve partire a capo della spedizione per studiare quelle profondità ancora inesplorate. La cornice.
Viene accompagnato dalla moglie, (un'intensa Nathalie Boutefeu), che si rivela subito una donna fragile e apprensiva e vivrà in un solitario hotel, dove attende il ritorno del marito, le ansie della vicinanza con il "vuoto", con I "vuoti". Il quadro.
Madame Lebrun, inserita in un ambiente straniante e circondata da personaggi inconsueti, prova lo spettacolo che a breve porterà in scena: la Turandot di Puccini. Fondamentale il ruolo che la moglie interpreta nell'opera, quello di Liù: Liù incarna la dedizione, la dolcezza, lo spirito di abnegazione, l'amore altruistico fino alla totale rinuncia a sé stessa.
Ma Liù è soprattutto una schiava. Una schiava incatenata senza autonomia né libertà che subisce e sopporta qualsiasi tipo di tortura.
Madame Lebrun/Liù è prigioniera di sé stessa.
Una catàbasi, un movimento inarrestabile verso il basso, dunque un abbandono della dimensione terrena che non viene compiuta da nessun Eracle, Enea o Dante, ma che inevitabilmente rimanda la memoria a Miti ancestrali, agli inferi, alle origini. La protagonista si cala all'interno della voragine in cerca del marito del quale non ha più notizie (cornice) e nel contempo sprofonda nelle angosce del sua instabilità emotiva (quadro con qualche sbavatura).
Che importa della spedizione, dell'altopiano, della geografia, di un probabile lago... i terremoti sono le scosse dell'anima, gli altri attori i fantasmi dell'Io e ci ritroviamo insieme a Liù davanti allo specchio, con le nostre paure, a recitare il copione della parte che ci è stata assegnata.
Antoine Barraud scava (per quanto si possa fare in 65').
La fotografia è giustamente ricercata, l'uso della luce ovviamente contrastante, a momenti veniamo abbagliati anche fastidiosamente, in altri ci è permesso di intravedere appena le espressioni dei volti.
Le emozioni si impennano, si cambia marcia e figurativamente si sale per la prima volta solo verso il finale che è davvero carico: sogno o realtà. Inizio o fine. Flashback che sia.
Paradossale il senso di soddisfazione che può lasciare un finale aperto, d'altronde Les Gouffres sono gli abissi della mente.
Commenta la recensione di LES GOUFFRES sul forum
Condividi recensione su Facebook
Recensione a cura di Aenima - aggiornata al 05/11/2012 15.04.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
Ordine elenco: Data Media voti Commenti Alfabetico
in sala
archivio