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Dopo un lungo silenzio, Charles Chaplin torna sugli schermi cambiato. Se ne "Il grande dittatore" il personaggio che lo aveva reso riconoscibile prima, noto poi, celeberrimo e immortale in seguito, continua ad esistere sia pur trasfigurato e parlante, ora questo personaggio, il buffo Charlot dal baffo comico ma un po' inquietante, è scomparso anche se nella mimica, negli atteggiamento e nello sguardo biricchino lo spettatore più attento lo riconosce.
Ora Chaplin indossa i panni di un gentiluomo di mezz'età dal capello brizzolato e impomatato e il baffetto (baffi anche qui ma più alla moda) da conquistatore, porta un fiore all'occhiello che di tanto in tanto annusa con voluttà ed è garbato ma cinico. Un amorale insospettabile emulo di Landru e Barbablu ma non animato come questi due personaggi da un demone che spinge inesorabilmente a uccidere, bensì guidato dalla necessità di sopravvivere e di far sopravvivere gli esseri che ama.
Verdoux vive tra le due guerre, periodo quanto mai compromesso, epoca che non dà spazio alla poesia nè alla bellezza della vita, ma che è invece portavoce di tutte le nefandezze di cui un essere umano può essere capace.
Dopo essere stato licenziato, con una moglie malata ed un figlio piccolo a carico, Verdoux non esita a sposare donne ricche e anziane e a ucciderle sviluppando una doppia crudele personalità da consapevole Dott. Jekyll e Mr. Hyde.
Impossibile affidare questo ruolo al tenero vagabondo Charlot; la guerra e tutti gli avvenimenti da essa scaturiti lo hanno ucciso. Impossibile poi mostrare ancora Charlot quando un uomo simile a lui (se non altro nel buffo baffetto unico) ha seminato ovunque dolore e morte.
Verdoux è una maschera impassibile, simbolo di quella società borghese pronta a scavalcare qualsiasi cosa per il proprio tornaconto fosse anche almeno alla base buono (la necessità di mantenere una famiglia dopo la perdita del proprio lavoro).
Il film è quindi l'occasione per criticare l'atteggiamento ipocrita dei borghesi, capaci di azioni orribili e nel contempo abili dissimulatori, ma è anche e soprattutto l'occasione per accusare tutta la società del tempo, alla deriva e persa, senza più valori né poesia.
Chaplin condanna l'amoralità della classe borghese e la descriva con occhio distaccato e pertanto ancora più spietato, perché dietro la sottile ironia si nasconde la sua acuta denuncia. La fine di Verdoux, consegnatosi da solo alla giustizia, è un ulteriore accusa verso il mondo: un morto fa l'assassino, milioni un eroe. Il numero santifica: Frase lapidaria e drammatica.
Per la prima volta nella sua cinematografia la parol, che era già presente nel precedente "Il grande dittatore" pur se ancora relegata ad un ruolo marginale, diventa quindi grande protagonista: Verdoux sulla ghigliottina fa un discorso, lancia accuse, parla lungamente. Chaplin si è finalmente convinto che il sonoro ha una sua utilità nel mezzo cinematografico e lo usa da par suo. Fino a pochi anni prima questa conversione alla necessità della parola pareva quasi impossibile per Chaplin, ma dopo la guerra è necessario dire per far capire il proprio pensiero dopo tanto disorientamento, parlare per esprimere il proprio scoramento e forse per tentare di salvare chi ancora può farlo.
Commedia amara questo "Monsieur Verdoux", a metà tra il dramma e il thriller, storia inusuale per l'artista inglese e che porterà l'attore e regista ad avere guai con la puritana America.
Anche se il film non passa quasi mai sul circuito televisivo è sicuramente da vedere, un tassello imperdibile per chi apprezza il grande Chaplin ed un'occasione per conoscerlo per tutti gli altri.
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Recensione a cura di peucezia - aggiornata al 24/04/2008
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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