Recensione proprieta' privata regia di Joachim LaFosse Belgio, Lussemburgo, Francia 2006
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Recensione proprieta' privata (2006)

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locandina del film PROPRIETA' PRIVATA

Immagine tratta dal film PROPRIETA' PRIVATA

Immagine tratta dal film PROPRIETA' PRIVATA

Immagine tratta dal film PROPRIETA' PRIVATA

Immagine tratta dal film PROPRIETA' PRIVATA

Immagine tratta dal film PROPRIETA' PRIVATA
 

Quello di Joachim LaFosse non è semplicemente un film, è più che altro una riflessione sulla famiglia e sulle conseguenze che possono scaturire dalla separazione di due coniugi con figli - situazione questa identificabile con quella della storia, ma con la possibilità di allargare il campo.
Attenzione: non siamo nel campo della critica all'istituto del divorzio; semplicemente viene mostrato quali conseuenze ne possano derivare, a causa di scelte affrettate e poco ragionate, oltre ai complicati passaggi che bisogna sostenere per avere una "proprietà privata". Una proprietà che può essere materiale o immateriale, ma che in entrambi i casi genera reazioni differenti e difficili da gestire, in quanto avere un proprio spazio significa modificare, cambiare qualcosa che fa parte di altri, influire più o meno negativamente sulle vite altrui.

Nella storia una madre, Pascale, vive con i due figli Thierry e Francois (rispettivamente gli attori Isabelle Huppert, Jérémie Renier e Yannick Renier) in una enorme casa di campagna; il padre è sposato con un'altra donna, ma trova sempre il tempo di andare a vedere i suoi ragazzi e dare loro del denaro, mentre con l'ex moglie i rapporti sono oramai deteriorati.
L'apparente serenità tra Pascale e figli (gemelli eterozigoti, così come il regista e suo fratello nella realtà) viene incrinata da un desiderio di una nuova vita da parte di lei insieme al suo vicino di casa. Sotto consiglio di quest'ultimo, decide di vendere il casale trasformandolo in una sorta di albergo, per poi trasferirsi nella casa del compagno. La cosa però non sta bene a Thierry, che dà inizio ad una ribellione crudele contro la madre finché questa, esasperata, se ne andrà abbandonando i figli.

La regia è estremamente essenziale; questo permette di esaminare con attenzione piccoli particolari quotidiani, l'isolata vita in campagna, le consuetudini ripetute, finché qualche parola o un silenzio di troppo possono diventare motivo di scontro e rottura all'interno della "proprietà privata" comune.
La madre sembra egoista nella decisione di vendere il casale, uno dei due figli sembra egoista nelle posizioni che prende contro la madre ed anche il padre appare egoista, pur mascherando il proprio egoismo con sporadico affetto "comprato" attraverso il denaro: il messaggio del film risiede proprio nell'esporre le varie reazioni egoistiche che agiscono sulle vite dei protagonisti, interagendo continuamente.

Strano è il rapporto tra i due fratelli più che ventenni: quasi isolati dal mondo, i due mantengono tratti adolescenziali; si può comprendere quindi la loro difficoltà nell'accettare situazioni nuove, che li porterebbero a dover modificare quella triste vita a cui sono ormai abituati e rassegnati (efficace il regista nel mostrare un tempo asettico, quasi immobile, immutabile, così come i fratelli che non sono soggetti a nessun tipo di evoluzione), si troverebbero, da un momento all'altro, a doversela cavare senza la madre, cosa insostenibile per ragazzi ancora così immaturi. La tensione tra questi inseparabili fratelli diventa talmente grande da essere ingestibile, conducendoli inevitabilmente a farsi male a vicenda, sia sul piano fisico che su quello spirituale.

Per quasi tutta la durata del film non ci sono musiche, i dialoghi sono minimi ma essenziali e questo, insieme alla bravura degli attori, fornisce al pubblico una tensione sempre crescente, che diventa insopportabile ed insostenibile soprattutto quando proprio la musica entra a sottolineare la scena finale, provocando emozioni distinte ed intense.

La sintesi di tutta la storia può essere individuata in una scena: padre e madre che, accovacciati per terra, raccolgono i vetri rotti di un tavolino, a significare il raccattare i pezzi di una storia e di una vita andate in frantumi, il ritorno di una consapevolezza genitoriale, l'assimilare gli errori fatti, digerirli e trovare nuovamente un proprio spazio ed un proprio ruolo ben definito.

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Recensione a cura di dionysos - aggiornata al 09/11/2007

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