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La vicenda prende le mosse da un appalto per la rimozione dell'amianto da un fatiscente manicomio; lo ottiene un gruppo di operai guidato da Gordon (uno strepitoso Peter Mullan).
Mentre lavorano alacremente per staccar via da pareti e pavimenti una delle più cancerogene sostanze conosciute, uno di loro si fa catturare dalla curiosità, e comincia a raschiare anche le memorie dell'edificio a forma di pipistrello. Facciamo così conoscenza della povera Mary, rinchiusa sin da ragazzina nell'ospedale psichiatrico a causa di un evento orribile sepolto nel suo passato.
Sarà attraverso l'ascolto dei vari nastri rinvenuti in un polveroso archivio che Mike (Steven Gevedon, co-sceneggiatore insieme ad Anderson) conoscerà, gradualmente, la storia di Mary e del Male che portava nascosto con sé, rivelato drammaticamente nell'ultima session di ipnosi, la numero 9, appunto.
È proprio questa doppia faccia del Male a dare efficacia alla narrazione e distinguere questo prodotto dagli altri di genere. Il Male non è uno dei tanti mostri splatter, ciononostante si respira, sono spore che si agitano nell'aria come un pulviscolo invisibile, ma reale. La minaccia è materiale anche se impalpabile, come l'amianto.
Il luogo è il vero protagonista del film, secondo l'assunto arcaico in base al quale fatti profondamente drammatici segnano il posto in cui sono accaduti, vi depositano il loro carico di negatività, che da fisico diventa metafisico, attraversa il tempo, si reitera, consolidandosi.
Ciò che colpisce, l'originalità di "Session 9", è nella costruzione attenta e dedita dell'humus umano su cui deve depositarsi il seme della follia. Peter Mullan, l'attore principale, regala a quello che altrimenti sarebbe stato un horror fra i tanti, un carico di umana sofferenza che provoca un'impennata drammaturgica.
Il volto di Gordon è un caleidoscopio di difficoltà e inquietudini mai esplicitate, ma in continuo contrappunto allo snodo degli eventi. Gordon ha una famiglia, gli è appena nata una figlia e questo sembra causare in lui preoccupazione. Non brillano mai i suoi occhi, del monocorde lampo di felicità che molti protagonisti di film simili hanno sempre stampato in faccia. L'affetto appare sempre smorzato dall'incapacità di saper accettare il suo ruolo di marito e padre per quello che è, o dovrebbe essere.
Gordon è tormentato, sembra per problemi economici. In realtà aggiudicarsi l'appalto del manicomio significa per lui affrontare una sfida ai limiti delle proprie capacità e propone tempi impossibili, pur di entrare in quel luogo. Ma ci sono risentimenti e inimicizie che si agitano tra i suoi membri e il Male, risvegliato, non tarderà a conflittualizzarle.
Il regista Anderson (autore anche del successivo e meno riuscito "L'uomo senza sonno") deve aver voluto bene alla squadra di pulizie che ha creato, perché nessuno dei suoi componenti è tratteggiato in maniera sbrigativa.
Con l'ausilio degli strumenti basilari del fare cinema, la sceneggiatura e la direzione degli attori, egli si priva, coraggiosamente, dell'ausilio di trucchi digitali e ci regala un raro esempio di horror d'autore.
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Recensione a cura di maremare - aggiornata al 27/02/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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