Recensione tokyo sonata regia di Kiyoshi Kurosawa Giappone 2009
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Recensione tokyo sonata (2009)

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locandina del film TOKYO SONATA

Immagine tratta dal film TOKYO SONATA

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Immagine tratta dal film TOKYO SONATA
 

Ryûhei Sasaki perde di colpo il lavoro e decide di non parlarne a sua moglie. Quindi ogni mattina esce come al solito e, mentre cerca un nuovo lavoro, si trova a condividere il destino con altri che, come lui, hanno taciuto la realtà alle loro famiglie.
Nel frattempo sua moglie Megumi si trova a dover gestire contemporaneamente il figlio maggiore, che vuole arruolarsi nell'esercito americano, e quello minore che prende lezioni di piano contro il volere di suo padre.

Kurosawa Kiyoshi ci ha regalato molti bei film il cui centro è spesso una storia soprannaturale. Il suo stile di regia ha reso potenti le espressioni più incredibili dell'Oltre riuscendo sempre a evitare che esse potessero esser messe in dubbio dallo spettatore il quale, rapito dalla rappresentazione, finisce comunque per affidarsi al narratore, la cui mano abile gli farà facilmente accettare qualsiasi volo.
I contenuti della sua opera sono spesso complessi e la deriva dello spirito è sempre stata al centro delle riuscite rappresentazioni del regista che, complice una grandissima capacità di manipolare le immagini, è risultata ogni volta più avvincente della precedente, fino al picco di un capolavoro del genere horror, che in definitiva di horror ha veramente poco, "Retribution"("Sakebi" - 2006).

A questo punto sarebbe stato difficile per chiunque, nella situazione di Kurosawa, provare a dire ancora qualcosa nei binari del cosiddetto cinema di genere, e forse per questo il regista ha deciso per una storia totalmente realistica, così quotidiana da mettere i brividi, molto più di qualsiasi fantasma o mostro si possa immaginare.
Stavolta la deriva è reale, non si respira neanche un soffio di altri lidi. Non accade nulla che non sia possibile in qualsiasi momento nella Tokio attuale, che vive la crisi economica come e più di qualunque altra città in questi anni.
Quello che però non può accadere facilmente altrove è che una decisione presa da un solo membro di una famiglia, per mascherare quella che si percepisce come una mancanza sociale, diventi il fulcro di una serie di avvenimenti che con questa alla fine non hanno nessuna relazione.

Ryûhei è un padre autoritario che perde il lavoro e in un sol colpo anche il prestigio sociale ad esso collegato, come capita a chiunque in Giappone, dal momento che la società ha regole ben definite una delle quali è l'obbligo della chiarezza circa la propria appartenenza sociale.
E' impensabile per chiunque in tale ordinamento non avere un ruolo sociale ben definito, e questo è spesso fonte di incredibili tragedie, innescate più dalla paura di perdere la faccia che dalla reale difficoltà di trovare un nuovo lavoro. Diventa quindi molto più facile fingere una normalità, che accollarsi le conseguenze di un declassamento sociale e la successiva perdita di prestigio.
La scelta di Ryûhei è condivisa da altri, e all'interno di quella che è la situazione in cui si trovano le persone che mentono alle proprie famiglie, ciascuno gestisce come può le proprie emozioni. Ci sarà chi si uccide e porta con se anche la moglie, piuttosto che dirle la verità, o chi si adatta a fare lavori umili fingendo di continuare ad andare in ufficio.
Ryûhei invece perde la calma, e inizia a comportarsi in maniera molto più autoritaria, spingendo i figli alla fuga e sua moglie a una reazione impensabile per una donna giapponese: contrastare il marito e passare una notte fuori casa con uno sconosciuto.

La famiglia così faticosamente tenuta insieme dal lavoro incessante di Megumi di colpo si sfalda e la casa, che era il cuore e il riferimento di tutti i membri, improvvisamente si svuota.
Il figlio maggiore Takashi si fa portavoce di un incredibile preoccupazione per i mali del mondo e dichiara di voler difendere il Giappone e la sua famiglia arruolandosi nelle forze armate statunitensi. E questa per la verità pare più la reazione di un adolescente messo di fronte al rischio di sfaldamento dato dalla perdita dei riferimenti familiari. In assenza di un timone, Takashi si rifugia sotto l'ala autoritaria di una carriera militare.
Kenji decide invece di contrastare suo padre e prende di nascosto lezioni di piano, sottraendo i soldi alla retta per i pasti a scuola. Sua madre prova a coprirlo, ma la reazione di Ryûhei alla scoperta sarà ancora una volta eccessiva, accelerando in questo modo lo sfilacciarsi dei labili legami familiari.

Kurosawa segue impietoso la distruzione del fallace equilibrio della famiglia e, con occhio privo di ambiguità, mostra le derive esistenziali abilmente mascherate dietro la facciata sociale.
Megumi è ostaggio simbolico e nel contempo reale della situazione, e curiosamente il tutto rimane fino alla fine nelle sue mani, che rimetteranno insieme i cocci solo dopo aver accettato il ruolo attivo di ciascuno nella distruzione.

La regia è minimale, gli attori perfetti nel loro anonimato e nella loro quotidianità, con una menzione speciale per l'irrinunciabile Kôji Yakusho, attore feticcio del Maestro, che delinea con grande maestria un ladro impazzito a causa della propria incapacità.

E alla fine della storia la macchina da presa ci mostra la lunga notte dell'anima di tutti i membri della famiglia, fino ad allora filmati in esterni impietosamente luminosi, quasi a voler negare ogni ombra o possibilità di riparo.
E sarà solo dopo l'alba del nuovo giorno di consapevolezza che aspetta tutti, che vedremo il ricomporsi in nuove forme di quello che resta dopo l'uragano, che ha fatto scempio di tutte le sovrastrutture riducendo il tutto all'essenziale.
Ed è proprio qua, di fronte all'essenziale denudato con violenza che Kurosawa ci lascia soli.
Soli a fare i conti con tutto quello che crediamo ci sia necessario, ma che alla fine sgretolandosi ci distrugge insieme alle fallaci certezze di cui la materia spesso si fa portatrice.

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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 14/09/2009

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