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A Bergamo, in una giornata di primavera, un noto giornalista televisivo, Alessandro Marchi (Giancarlo Sbragia), offre un passaggio in automobile alla bella studentessa francese Françoise Pigaut (Carole Andrè), di 17 anni, che cammina di fretta mentre piove. Il giornalista accompagna la ragazza al parco, dove ha un appuntamento con un uomo.
I due arrivano sul luogo con un certo anticipo, Marchi, desideroso di conoscere meglio Francois, coglie l'occasione per proporle una passeggiata.
In seguito la ragazza verrà trovata uccisa nel parco: sul corpo, rotolato lungo un breve pendio, verranno riscontrate diverse lacerazioni, tagli profondi inferti con un coltello a serramanico.
Alessandro Marchi sarà l'unico imputato dell'omicidio; è privo di un alibi e durante la fuga dal luogo del delitto è stato visto in volto da una donna che sostava in automobile con l'amante nella stradina interna al parco.
Marchi viene condannato all'ergastolo, nonostante l'arguta difesa di Giulio (Gunther Stoll), ottimo avvocato, suo amico.
Giulio, in realtà, è convinto della colpevolezza del giornalista ed è contento di aver perduto la causa poiché è l'amante di Maria (Ida Galli), moglie di Alessandro, con la quale potrà finalmente vedersi alla luce del sole.
La giovane figlia di Maria, Sarah (Wendy D'Olive), si sente attratta da un giovane contestatore, Giorgio (Helmut Berger). La donna ha avuto il primo approccio con Giorgio per caso, tra i vicoli di Bergamo, a seguito di una brusca frenata della sua automobile che stava per investirla: dopo la paura provata i due hanno sorriso e deciso di rivedersi.
Maria conosce Giorgio fin dall'adolescenza, trascorsa insieme a Bergamo, ma non ha avuto una vera occasione per fare amicizia. Giorgio in tribunale darà una testimonianza a favore dell'imputato, dicendo di aver visto, il giorno dell'omicidio, un uomo in fuga dal parco, nei pressi dell'uscita, il cui aspetto non corrispondeva affatto a quello di Alessandro Marchi. Forse Giorgio ha mentito, per scagionare il padre di Sarah.
I due giovani finiscono per iniziare una relazione ma senza una passione duratura; Giorgio dopo l'atto d'amore con Sarah appare nervoso, turbato, tanto da proporre alla donna di non vedersi per un po' di tempo.
A sorpresa, due delitti analoghi al primo, di una prostituta e una bambinaia, sempre con un coltello a serramanico, nel parco, riaprono in Corte d'Appello il caso. I giudici sospettano che Marchi possa essere vittima di un errore giudiziario, seppur i moventi del secondo e terzo omicidio appaiano indecifrabili, formulabili solo per ipotesi, strani, misteriosi.
In Appello si presenta come testimone l'amante di Marchi, Marta Clerici (Lorella de Luca), affetta da una forma non grave di alcolismo, assente nel precedente processo perché si trovava fuori dall'Italia.
la donna sostiene che il venerdì del 26 Aprile, giorno del primo delitto, ha trascorso l'intera giornata in una delle case del giornalista, facendo l'amore con lui e patendo un incidente che risulterà significativo per gli atti giudiziari: Marta si era tagliata una mano cadendo, inciampando su un tappeto con un bicchiere tra le dita. Marchi nel soccorrere Marta si sporca di sangue la camicia, la stessa conservata poi dalla moglie e resa disponibile per la perizia giudiziaria, la prova regina della colpevolezza del Marchi nel primo omicidio perché il sangue era risultato dello stesso gruppo sanguigno della vittima francese.
Ma anche il sangue di Marta è dello stesso gruppo di Francois e questa circostanza fortuita, insieme ai successivi omicidi nel parco avvenuti quando il Marchi era già in galera, scagioneranno del tutto il giornalista.
Chi è allora il vero omicida, oppure chi sono i diversi assassini delle donne?
Tredicesimo film di Duccio Tessari, regista molto versatile che ha iniziato con il genere mitologico, nel film "Arrivano i Titani" (1962), proseguendo con la serie di "Ringo" (1964-1965), poi con lo spionaggio nella famosa pellicola "Kiss kiss... bang bang" (1966), per proseguire con il musicale "Per amore... per magia" (1967) presente anche il noto cantante Gianni Morandi, approdando agli inizi degli anni ‘70 al giallo con "La morte risale a ieri sera" (1970) e "La farfalla dalle ali insanguinate" (1971), per continuare fino all'inizio degli '90 con altri numerosi film, alcuni di genere già sperimentato, altri nuovi alternati ai vecchi.
Duccio Tessari è un regista molto dotato sul piano dell'originalità e creatività del linguaggio visivo e mette la sua firma, tra le diverse specificità espressive del cinema, soprattutto sul piano della fotografia in movimento e del montaggio. Ne è un'ulteriore prova questo film "La farfalla dalle ali insanguinate", del 1971, indubbiamente sperimentale per certi aspetti, ma indubbiamente riuscito, pur con qualche lacuna recitativa, sul versante comunicativo soprattutto per quanto riguarda ciò che il regista ha voluto dire e far provare agli spettatori come gioco di immagini.
Le numerose frammentazioni visive sullo scorrere principale delle scene, con brevi flashback dalle proprietà di pregnanti pensieri o ricordi, rafforzano la drammatizzazione di alcuni punti chiavi della narrazione dando inoltre al film, nell'insieme, un facile apprendimento degli eventi narrati. Essi portano lo spettatore, nei punti a sorpresa del racconto, ben caldo, pronto per ricevere un tuffo al cuore. La tecnica della frammentazione del racconto era diffusa negli anni '70, ma Tessari ha il coraggio di esasperarla raggiungendo risultati più incisivi sul piano degli effetti emozionali.
Duccio Tessari difetta però gravemente nella direzione espressiva degli sguardi degli attori, poco credibili nelle scene dei delitti e delle passioni d'amore, asettici in quasi tutti quelli eventi che richiedevano la costruzione di un altro pathos, più lirico, maggiormente emozionale; sono credibili solo le interpretazioni del commissario Berardi (Silvano Tranquilli) e del suo assistente Peter Shepherd.
Helmut Berger, che nel film interpreta il personaggio di Giorgio, è completamente fuori parte, non riesce a dare un'idea al pubblico di ciò che sta provando nei momenti più cruenti del film, momento in cui è coinvolto in un gioco vita morte.
Alessandro Marchi, il giornalista televisivo che intervista Chinaglia, centravanti della Lazio negli anni '70, usa espressioni visive e vocali di freddo cinismo, assolutamente fuori luogo in famiglia e in tribunale, in un contesto dove era necessario modulare molto le espressioni del volto.
I personaggi femminili funzionano bene sul piano della comunicazione di un desiderio erotico ma non sulla formulazione visiva di una passione più complessa così come era richiesta dal copione, dunque non c'è armonia tra i riusciti flashback montati da Duccio Tessari e i comportamenti recitativi delle attrici.
Questo film rappresenta dunque una dura lezione per Duccio Tessari, un severo esame sulle recitazioni degli attori che risulta non superato, assolutamente insufficiente; il regista forse avrebbe dovuto chiedere, nel dirigere gli attori, un'assistenza qualificata, specifica sui volti, qualcuno in grado di intervenire sui visi degli interpreti, un po' come accadeva, fatte le debite proporzioni di qualità oggi del tutto irraggiungibili, nel lavoro di Bergman basato sullo sguardo dei primi piani.
Per Tessari era forse necessario, al fine di migliorare la qualità della pellicola, accontentarsi di dirigere il film solo sul piano fotografico.
Anche il contenuto del giallo narrativo è poco concreto, non si riesce proprio a credere che nella realtà sia in qualche modo potuto accadere qualcosa di simile o che potrebbe accadere nel futuro.
C'è sorpresa nel finale della pellicola esclusivamente per l'inverosimiglianza della storia, per l'esito paradossale di una combinazione improbabile di passioni.
Il resto nel film è convenzione, false piste interpretative, omissioni di certi passaggi per confondere un po' le idee a tutti spettatori e commissari, ellissi insistite per far scorrere meglio la storia.
Ma perché nonostante i difetti il film merita un'ampia sufficienza? Perché per fortuna per Tessari il cinema rimane soprattutto un'arte visiva, e tutto il resto è secondario, dalla sceneggiatura all'interpretazione, dal dialogo agli intrecci. Questo film ha una struttura narrativa per immagini molto apprezzabile, raffinata, elegante, con scene assai ricercate nell'inquadratura, a volte addirittura più del necessario. Le principali regole auree della composizione fotografica vengono rigorosamente rispettate, triangoli visivi nei luoghi d'arte, curve nei centri storici, rettangoli di palazzi di valore, cromia armoniosa, profondità della scena ben allusa con i colori caldi e freddi che avanzano o arretrano opportunamente combinati, regola dei terzi, aspetti che fanno si che l'occhio trovi spesso un gran giovamento estetico.
Ottima la colonna sonora di Gianni Ferrio, e i suoi riferimenti alla musica classica assai nota.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 18/11/2011 13.28.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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