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L'esordio di Jewison è una commediola di stampo estremamente infantile, che risulta innocua specialmente per via di una comicità un po' stantia che era parecchio indietro per i tempi anche quando uscì, parla di questo direttore di un casinò con hotel e ristorante adiacenti, uomo estremamente impegnato che gira come una palla pazza per i locali che gestisce e sembra non avere tempo per nulla, la sua esistenza sarà stravolta sia dall'arrivo della nipote del proprietario che di questa bambina lasciata lì dal padre, generando delle gag con una comicità molto soft, basata perlopiù sull'acume della bambina e dai continui capricci a cui spesso il protagonista deve dare conto e incorporando anche la sottotrama sentimentale, prevedibile fin dall'inizio.
Stilisticamente poca roba, quasi tutto basato su dialoghi abbastanza infantili per tutta la prima parte, varia un po' sulle battute finali in quella lunga sequenza a Disneyland che prende le fattezze stilistiche delle commedia slapstick del muto, col protagonista inseguito dalla polizia, probabilmente è un rimando voluto anche per via dell'uso di accelerazioni che possono ricordare alcuni corti del muto, in particolare Chaplin e Keaton di opere così ne avranno fatte parecchie, si arriva al solito finale riconciliante e colmo di buoni sentimenti.
Una storiella cucita per gli occhi di un pubblico americano borghese, con un tipo di comicità birbantella e sciocchina ed un tipo di romanticismo con la puzza sotto al naso: FORTY POUNDS OF TROUBLE è un film che se fosse uscito negli anni 50 sarebbe risultato insopportabile ugualmente ma che almeno sarebbe nato dal suo naturale grembo temporale. L'esordio di Norman Jewison non dimostra che il regista sia indissolubilmente legato al passato ma sicuramente dimostra la sua propensione all'accondiscendenza del gusto del pubblico e ad un'arte contrattata che non cerca di spingere mai alcuna porta ma che, guardinga, aspetta che qualcun altro gliela apra per lui, pronto ad avanzare come chiudifila. Poco ci rimane del film, a meno di rimanere coinvolti da questa buffa storia a dir poco family-friendly con affabili plurimilionari, donzelle cotte e bambini che fanno i capricci. Non vengono trasmessi messaggi equivoci o poco etici, ma dalla retorica americana più povera ci si aspetterebbe almeno una qualche morale educativa e pedagogica di fondo.
Commedia gradevole, senza troppi eccessi sentimentali, nonostante una tenera bimbetta e una Pleshette fascinosa. Non male il ritmo narrativo, qualche scenetta simpatica in quel di Disneyland e una storiella innocua che sa quali tasti premere per risultare simpatica.
Commediola per famiglie un po’ troppo zuccherosa ma non totalmente da buttare. Curtis e la Pleshette se la cavano egregiamente e la parentesi sentimentale tra i due è piacevole.
Il film è un remake che verrà a sua volta rifatto negli anni '80 col titolo "E io mi gioco la bambina". La storia è gradevole ma il film è privo di smalto e verve e Curtis, senza una spalla adeguata gira a vuoto. La bimba poi è particolarmente leziosa. Insomma, non tra le cose migliori di Jewison.