i fantasmi del cappellaio regia di Claude Chabrol Francia 1982
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i fantasmi del cappellaio (1982)

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locandina del film I FANTASMI DEL CAPPELLAIO

Titolo Originale: LES FANTÔMES DU CHAPELIER

RegiaClaude Chabrol

InterpretiFrançois Cluzet, Monique Chaumette, Charles Aznavour, Michel Serrault

Durata: h 2.00
NazionalitàFrancia 1982
Generedrammatico
Tratto dal libro "I fantasmi del cappellaio" di Georges Simenon
Al cinema nel Luglio 1982

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Trama del film I fantasmi del cappellaio

Dopo aver assassinato la moglie, un cappellaio di una cittadina bretone fa credere che è solo malata, mettendo un manichino seduto su una poltrona alla finestra. Per coprire il primo delitto, però, deve commetterne altri…

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Voto Visitatori:   7,93 / 10 (7 voti)7,93Grafico
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Voti e commenti su I fantasmi del cappellaio, 7 opinioni inserite

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topsecret  @  06/02/2024 14:13:40
   7 / 10
Molto buona la prova di Serrault, un po' dimesso invece Aznavour, per un film discretamente tratteggiato nel quadro psicologico di un insospettabile serial killer. Anche la regia mi è sembrata buona, nonostante un montaggio che però appare un po' confuso nel finale. Dialoghi e sceneggiatura mi sono sembrati discreti, anche se la ripetitività, forse inevitabile, della storia rende la narrazione, a tratti, un po' statica.
Buon film, abbastanza coinvolgente.

DankoCardi  @  16/02/2020 21:24:54
   8½ / 10
Qui siamo a livelli immensi; solo un regista come Chabrol poteva rendere in maniera così eccellente uno dei romanzi più particolari di uno dei più grandi scrittori del mondo come Simenon e solo un attore come Michel Serrault, con una interpretazione che mette più inquietudine di quella di Anthony Perkins in Psycho (il riferimento non è affatto casuale) poteva rendere così bene la follia lucida che può colpire una persona. Il cappellaio era già un assassino dentro di se, oppure sono stati gli eventi della vita a farlo diventare così? E la figura del piccolo sarto armeno (un Aznavour in un ruolo che sembra stato scritto per lui), l'unico che aveva capito qualcosa, con il suo sacrificio vano, cosa rappresenta davvero? Enigmi che non avranno una risposta, perchè non siamo davanti ad un vero e proprio giallo, ma ad una storia triste, di solitudine, di una amicizia...quella tra il sarto ed il cappellaio...che in realtà non esiste, di amore che non esiste. Forse non esistono nemmeno le piccole anziane vittime, che non mancano a nessuno. Un film che cattura, che ci fa immedesimare sia come vittime che come carnefici, dove i protagonisti si muovo in un teatrino di squallidi notabili di paese che non riescono a fare altro che parlare e pontificare. La lentezza della pellicola, anzichè un difetto, risulta un pregio come se venissimo presi per mano e portati a fare un lungo viaggio...ma con calma..tanto prima o poi la morte ci raggiunge.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  26/10/2013 22:07:10
   8 / 10
Formidabile ritratto di un serial killer, del tutto antispetticolarizzato. Chabrol più Simenon: lo scavo psicologico è mirabile, lo stile cosi minimale e quasi documentarista nei primi quaranta minuti è ipnotico cosi come la paralizzante vita cittadina in cui una borghesia assopita, il cui unico ritrovo e centro di interesse risultano essere bar e giochi di carte, sembra subìre i delitti con passività mostruosa.
Al centro di tutta la vicenda quindi, nei rapporti violenti con una moglie assente e nella patologia disturbante, c'è quindi un protagonista che Chabrol ancora una volta, in modo mirabile, ritrae come un escluso, solo suo malgrado, a suo modo addirittura per nulla repellente ma anzi penoso. Per uno spettatore diviene davvero impossibile odiarlo o volergli male.
Assurda l'interpretazione di Serrault, piena di tic e strani infantilismi. Grottesco pienamente centrato e non so quanto ce ne sia invece nel romanzo, mi dicono molto bello, di Simenon.

2 risposte al commento
Ultima risposta 01/11/2013 12.12.11
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Neurotico  @  26/09/2013 15:42:29
   7½ / 10
Chabrol era un grande amante dei film di Hitchcock e in questo bellissimo "I fantasmi del cappellaio" lo omaggia spudoratamente citando Psycho, ma anche come struttura Frenzy (dove sappiamo già da subito chi è l'assassino ). Un giallo, questo di Chabrol, che sembra immerso in una atmosfera sospesa e ipnotica, lenta e seducente. I primi 40 minuti mi hanno tenuto incollato allo schermo grazie alla capacità del regista di raccontare con la perfetta dose di mistero una storia di uno psicopatico strangolatore di donne. Gran film.

Goldust  @  12/06/2013 12:01:27
   8 / 10
A Chabrol, si sa, piace ritrarre il quotidiano; questo film, uno dei migliori che ho visto da lui diretti, non fa differenza, e con il suo solito stile asciutto e rigoroso ci introduce i fatti di sange che sconvolgono la vita di un non meglio precisato e tranquillo paesino di provincia. Qui la vita scorre placida ( proprio come il ritmo del film ), tutti conoscono tutti, il bar è il naturale ritrovo dei vari personaggi e questo è l'ideale habitat per questa storia ( tratta, va detto, da Simenon ) di tragica normalità: che la messinscena sia di grande livello non v'è dubbio, e mi piace pensare che il sorriso beffardo che a volte compare sul volto del cappellaio Serrault sia quello del regista, conscio e compiaciuto del fatto di riuscire a raccontare situazioni brutali con una leggerezza di tocco da commedia grottesca. Il rapporto poi che si instaura tra Kachoudas e Labbé, e che si trasforma dal voyerismo iniziale a quella sorta di patto di sangue finale è emozione pura.
Non mi ha invece completamente soddisfatto il finale, a metà strada tra sogno e realtà. Resta comunque un grandissimo film.

Crimson  @  03/03/2013 17:54:26
   8½ / 10
Spoiler presenti.

Labbè ha ucciso e continua ad uccidere "per necessità", come egli stesso scrive. L'escalation è iniziata da quel giorno in cui non ce l'ha fatta più a subire le vessazioni della moglie paralitica.
Uccide secondo un piano che segue rigorosamente un inizio ed una fine prestabilita. Tutto è tenuto minuziosamente sotto controllo. Fa circolare una carrozzina con cautela, conscio dell'osservazione del "buon" vicino. Stessi orari, stesse modalità. "La signora ha chiamato?". Un meccanismo geniale viene fatto scattare dall'interno di un armadio. Una stanza chiusa a chiave cela un segreto. Solo lui ne ha l'accesso. E di buon conto, a nessuno importa varcarne la soglia. Eccetto forse a quelle donne che si riuniscono per celebrare una ricorrenza annuale.
Un'ombra dietro una tendina, che Kachoudas osserva maliardo. Allo spettatore viene in mente Psycho, e considerando la venerazione di Chabrol per Hitchcock come non dargli torto. Ma il romanzo di Simenon 'I fantasmi del cappellaio' è del 1949 e anche se in quest'ultimo non viene mai menzionato un manichino, è enunciato con chiarezza lo sguardo continuamente volto da una palazzina all'altra adiacente. I due protagonisti si scrutano attentamente, ripetitivamente, maniacalmente, fino a confondersi. A pensarci bene è uno dei tanti doppi del duo Simenon-Chabrol, che sarebbe proseguito dieci anni più tardi con il bellissimo Betty (uno dei miei romanzi-film preferiti), fino all'omaggio conclusivo dell'ispettore Bellamy-Maigret.
Chabrol stesso, che è quasi un doppio cinematografico dello scrittore svizzero, ricalca perfettamente l'atmosfera del romanzo di riferimento, realizzando un fine ritratto psicologico dei protagonisti e rendendo con audacia e spessore l'indifferente anonimato di un paesino di quella "provincia" in senso ampio che tanto gli sta a cuore descrivere con acrimonia e insolenza.
Un dettaglio, una minuscola lettera ritagliata da un giornale rimasta in un risvolto del vestito, e il meccanismo tra padrone e servo si innesca con una violenza non verbale dilatata allo spasmo. Nel romanzo sono addirittura inferiori i momenti di contatto tra Labbè e Kachoudas (ad esempio mentre quest'ultimo è in fin di vita, il cappellaio non gli fa visita contrariamente alla continua tentazione).
Labbè ha bisogno di confidarsi con qualcuno: nel romanzo è più volte riportato come egli progetti di recarsi dal medico per confessare i delitti. Avrebbe mai potuto capirlo? Ecco perchè ha bisogno di Kachoudas. L'essere stato scoperto da una persona che "non può" correre alla polizia "perchè consapevole che non sarebbe stato creduto" gli ingenera una sorta di onnipotenza e liberazione della sua colpa che una parte di sé avrebbe bisogno di confessare. Ecco perchè con la scomparsa di Kachoudas per Labbè muore quasi un "amico", qualcuno che, patologicamente, gli è stato vicino e con cui ha potuto condividere l'orrore inizialmente non voluto, ma "necessario", dell'abominio. Alla fine c'è sempre qualcosa nella sua lotta intestina a prevalere decretando l'impossibilità di uscita. Solo colto sul fatto, assopito dinanzi al corpo di Berthe, confessa come un bambino colto nel suo peggior dispetto, supplicando di non essere picchiato.
Chi meglio di Charles Aznavour per interpretare l'armeno Kachoudas? Esile, malaticcio, abitudinario, isolato. Egli è un immigrato. Desidera solo una vita tranquilla con la propria famiglia. Nel romanzo prevale la descrizione archetipica, con quella sua perenne puzza d'aglio addosso che allontana ogni forma di inesistente contatto. Nel film è egli stesso ad ammettere i motivi per cui non corre alla polizia, nel bagno della locanda, in una scena inserita appositamente da Chabrol per rendere esplicite le decine di implicazioni non verbali del romanzo, così come certi flashback del cappellaio.
Michel Serrault lascia senza fiato con i suoi sguardi spiritati, manie e grotteschi siparietti nell'ombra delle strade poco illuminate con il "povero" sarto a farli da "spalla".
Gli interni sono riprodotti fedelmente: le partite a carte, la vaghezza degli accenni allo strangolatore, quell'impasto di luoghi comuni che ben si addicono a chi in fondo non desidera altro che non venga intaccata la propria routine. Il pericolo tanto lo corrono le donne. Sia il romanzo che il film raccontano una meschinità virile prevalente. La donna è la vittima di una sopraffazione evidente anche nell'anonimato di una giornata-tipo.
Poi improvvisamente dopo la visita al vescovado, infruttuosa, qualcosa si interrompe nel meccanismo perverso e dettagliato del cappellaio. Egli avverte come se quella realtà controllata gli sfuggisse per la prima volta di mano. Non ha più la "necessità" di uccidere, ma nella sua mente si sprigiona una sensazione nuova altrettanto necessaria e difficile se non impossibile da allontanare. Il gusto per il pericolo, come per ogni omicida seriale che si rispetti. Eppure egli rigetta categoricamente di far parte di questa schiera. E allora Louise, repellente e degna di odio e disgusto, è la vittima designata di questo emergente, irrefrenabile desiderio di uccidere. E così Berthe.
Labbè è un omicida di donne sole, deboli e dimenticate. La loro solitudine è la sua, così come il rifiuto morboso per la sua vita viene catalizzato nella negazione della loro vita.
Uno dei numerosi capolavori di Chabrol, un noir teso e raffinato in cui oltre alla verve dei protagonisti e al consueto ritratto ineffabile di una provincia vittima della sua routine, funzionano il ritmo e lo smascheramento dell'apparenza. Un grandissimo gioco di luci e ombre fa da collante in un quadro ricco di doppi non solo di caratteri, ma anche di genere. Chabrol arricchisce la profondità psichica dello scavo di Simenon col suo taglio a metà tra il dramma e il grottesco, con una stratificazione cinematografica degna della sua miglior classe.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  25/07/2009 11:48:05
   8 / 10
Vedo che nessuno ancora ha commentato questo film. Peccato, perché è a mio avviso uno dei migliori di Chabrol.
La raffinatezza, la misura, la sottigliezza psicologica con cui s’esplorano gli animi dei personaggi, ingredienti che hanno fatto del regista francese uno dei migliori interpreti in assoluto del genere thriller, qui vi si trovano tutti, intatti nel loro rigore.
Grandi i personaggi - il cappellaio assassino, il dimesso sarto suo vicino di casa e di bottega - e meravigliose le atmosfere che avviluppano il bar del dopolavoro, le cupe vie paesane, il negozio dove si consuma lentamente l’orrore. Ed orrore chiamerà dietro a sé altro orrore.
Tutto bellissimo, a parte la soluzione onirica e frammentata del finale, dove avrei preferito, piuttosto, una conclusione più in linea col resto del racconto. Ma è solo una piccolezza, resta un film consigliatissimo.

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