mouchette regia di Robert Bresson Francia 1967
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mouchette (1967)

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locandina del film MOUCHETTE

Titolo Originale: MOUCHETTE

RegiaRobert Bresson

InterpretiNadine Nortier, Jean-Claude Guilbert, Marie Cardinal

Durata: h 1.20
NazionalitàFrancia 1967
Generedrammatico
Tratto dal libro "La nuova storia di Mouchette" di Georges Bernanos
Al cinema nel Maggio 1967

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Trama del film Mouchette

Mouchette ha quattordici anni, è molto povera e maltrattata dal padre. Come se la sua situazione non fosse già abbastanza disperata, un bracconiere la violenta. Lei è una vittima, ma per la gente del villaggio l'episodio rappresenta la vergogna e tutti si abbandonano ai più biechi pettegolezzi. Mouchette si avvicina al fiume, che l'accoglie tra le sue acque.

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Voto Visitatori:   8,65 / 10 (10 voti)8,65Grafico
Voto Recensore:   9,50 / 10  9,50
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Voti e commenti su Mouchette, 10 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

stratoZ  @  15/10/2024 12:27:29
   8½ / 10
ATTENZIONE POSSIBILI SPOILER

"Mouchette" è un'opera che ha tante caratteristiche in comune con la precedente opera di Bresson "Au Hasard Balthazar", ma anche con "Diario di un curato di campagna", difatti tematicamente parlando affrontano in maniera estremamente efficace e pessimista il contesto di una realtà sempre più nera, questa volta non c'è più l'asinello, ne il prete a subire le angherie e la cattiveria del mondo esterno ma è il turno di Mouchette, ragazzina di appena 15 anni con la madre gravemente malata e costretta a letto, il padre alcolista e violento, un fratellino appena nato non sopportato neanche dalla madre e il fratello maggiore fondamentalmente indifferente agli avvenimenti, il procedere della sceneggiatura è una discesa nel menefreghismo e nella cattiveria umana, l'innocente animo di Mouchette viene messo a dura prova, anche frainteso a volte, la ragazzina a differenza dei precedenti personaggi bressoniani ha un ghigno di disapprovazione, è perennemente corrucciata, il contesto sembra avere già avuto un grande effetto su di lei, che in parte prova a ribellarsi, come si può vedere nel rapporto con le compagne di classe a cui tira il fango, ma è un'anima fondamentalmente buona che proprio per questo ci rimetterà.

Bresson ci concede un solo momento di gioia in tutto il film, la sequenza alle giostre, con Mouchette nell'autoscontro, unico momento di libertà in cui la si vede anche sorridere, scambiare qualche sguardo con un ragazzino che ha attirato il suo interesse e sembra ricambiare, ma il tutto viene stroncato pochi minuti dopo dalla figura autoritaria e violenta del padre che nega a Mouchette il divertimento, riportandola alla sofferente vita reale.

Ma il calvario di Mouchette si realizza in quel fine giornata mentre torna da scuola, prendendo la strada del bosco, quando incontra il bracconiere che aveva avuto una colluttazione con un altro per la contesa di una donna - il che già dice molto - con la bontà di Mouchette nell'aiutarlo nel momento di maggiore difficoltà che non verrà ricambiata, anzi ne approfitterà per violentare la ragazzina, un momento emotivamente terribile che trascina lo spettatore nello sconforto, come al solito appena accennato da Bresson che lascia l'orrore al non visto, all'appena suggerito, come era già successo nella violenza di gruppo su Marie nel film precedente, il problema è che se la violenza del bracconiere sembra il punto più basso in realtà non lo è, il mattino dopo è addirittura peggio, la morte della madre e la voce che si è andata diffondendo di Mouchette che ha passato la notte col bracconiere causerà anche un forte biasimo nella bigotta popolazione locale, come nei precedenti film del regista sembra che al peggio non ci possa essere mai fine, a allora, questa volta per volontà propria, Mouchette compie l'atto liberativo per eccellenza, con la stessa silenziosità di Balthazar, in maniera più scenica, e probabilmente anche metaforica, in quel fiume che sembra voglia risciacquare tutto il male assorbito dalla ragazzina, ponendo fine alle sue tremende sofferenze dopo qualche tentativo.

Bresson agli apici del suo pessimismo, in un film senza un minimo di speranza, nero come la pece, mostra una natura umana senza via d'uscita, una cattiveria che fa regredire l'uomo alle sue più basse pulsioni, con la sua splendida regia spoglia ed essenziale, scende senza fronzoli e senza fermate in uno dei punti più neri dell'animo umano, terribile, ma con accezione positiva.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  24/09/2021 14:08:16
   7½ / 10
Come nel "diario di un curato di campagna" Bresson si occupa di un anima innocente all'interno di un villaggio poco incline all'amore per il prossimo.
L'egoismo colpisce perfino la madre malata che non riesce ad essere utile alla famiglia gia' disastrata.
L'epilogo è drammatico ma anche l'unica via d'uscita probabilmente e viene mostrata a sorpresa dal credente Bresson che poi spieghera' essere anche questa una forma di redenzione.
Bresson maestro dell' essenziale come sempre, ma in questo caso forse ci sono troppo pochi avvenimenti, uno solo in pratica, per ritenere il film un capolavoro.
La seconda metafora con l'animale braccato e ucciso non era necessaria a mio avviso dopo aver visto il prologo, sappiamo gia' come andra' a finire.

topsecret  @  18/08/2018 14:05:42
   7 / 10
La trama racconta qualcosa di leggermente diverso da quello che poi accade nel film: molte cose non vengono approfondite e lo stile di Bresson sembra piuttosto essenziale e più portato a lasciare al pubblico il compito di ragionare su ciò che vedono.
MOUCHETTE lascia un po' spiazzati nell'epilogo, ma a mio avviso non ha una grande forza interpretativa tale da colpire nel profondo. La caratterizzazione della protagonista è abbastanza riuscita, il ritmo degli eventi è piuttosto cadenzato e l'aspetto emozionale della storia man mano viene fuori, nonostante alcune piccole sterzate che non conducono a nulla o quasi.
Nel complesso, un buon film ma, a mio avviso, non quel capolavoro che la media suggerisce.

Vax87  @  04/02/2016 13:36:18
   10 / 10
Capolavoro è un espressione che ben rispecchia quest'opera. Bresson è tra i miei registi preferiti e per me questo Mouchette è forse il più riuscito di tutti. Meraviglioso.

joker4479  @  07/08/2015 16:12:40
   10 / 10
Tra i migliori di Bresson, nonché tra le pellicole più toccanti della storia del Cinema.
Tratto da un romanzo di Bernanos, uno splendido Capolavoro.

pinhead88  @  08/05/2010 17:42:58
   7½ / 10
Secondo film di Bresson che vedo,pur apprezzandolo devo riconoscere una caratteristica negativa che ho notato anche con il suo "Au hasard balthazar".i temi che vengono trattati sono affascinanti e riflessivi,ma è appunto lo stile con cui vengono raccontati che non mi convince a pieno.quello di Bresson è uno stile troppo etereo,delicato che forse si riallaccia ai canoni della nouvelle vague e al cinema francese in generale,ma che non riesce mai a colpire in modo significativo,pur trattando tematiche molto forti.un po' come il cinema asiatico,dove i personaggi non accentuano mai in modo rilevante i loro stati d'animo,ma c'è solo un accenno di quello che può essere un sentimento di felicità,rabbia,tristezza.una sorta di passività che annienta qualsiasi emozione nello spettatore,facendolo quindi sprofondare in una spirale soporifera.sta allo spettatore quindi riuscire ad amplificare i sentimenti così da rendersi partecipe al massimo.anche se sulle stesse linee tematiche,diciamo che l'ho preferito,anche se di poco,alla sua opera precedente del '66.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  24/12/2009 00:54:42
   9½ / 10
Si può restare amaramente spiazzati da un epilogo tanto inevitabile? Eppure è così.
Vorresti uscire da quel piccolo villaggio della provenza, da quel contesto doloroso in cui è rinchiusa la non-vita di Mouchette, riflettere ideologicamente su una realtà che è già stata scritta senza che nessuno provi a modificarla (a brutalizzarla, a violentarla, a ferirla ulteriormente è più facile sì).
Mouchette ride solo una volta, quando ritrova la sua spensieratezza preadolescenziale in un giro di giostra... il volto dimentica le lacrime e si illumina di vita.
Poi tutto riprende come prima, peggio di prima. La disperata notte sotto la pioggia, la brutalità, la litanica sofferenza della madre.
Un'ostilità che ha un'impronta comune a tante opere recenti (l'epilogo finale ricorda tanto Garage, un delizioso film indie uscito quest'anno).
Il disprezzo per la vita (e sofferenza) altrui, l'indifferenza della morte.
Un film assolutamente splendido.

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3 risposte al commento
Ultima risposta 01/10/2011 01.44.03
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Invia una mail all'autore del commento wega  @  03/09/2009 18:08:55
   9 / 10
L' anno successivo a "Au Hasard Balthazar", nel 1967, Robert Bresson si presta a trasporre la storia di Mouchette da un romanzo di Georges Bernanos. Mouchette è una adolescente che vive col fratellino in fasce cui tocca accudire, coi genitori tra malattia e alcool in un paesino della Provenza; umiliata, derisa, tra angherie e pettegolezzi. Come l' asino, per Bresson, la sua protagonista non è in grado di reagire, e la farà morire - questa volta con un suicidio - sulla riva di un fiume. Personaggio ambiguamente bressoniano, buono, dolce e tenero, ma col grugno, nemmeno tanto fotogenica, sembrerebbe anzi, cattiva anche lei. Ma sono solo deboli tentativi di reagire. L' incipit di questo film è straordinario, in pochissimi minuti viene tracciato tutto ciò che si andrà a vedere: vengono presentati i personaggi principali, il bracconiere, il guardiacaccia e una pernice che verrà subito liberata; metafora della Grazia che riceverà Mouchette alla fine. Manca Mouchette stessa però, che entra nella sequenza successiva, da destra verso sinistra, come uscirà di scena - rotolando da destra verso sinistra - negli ultimi secondi della pellicola, sorretta dall' unico contrappunto musicale concesso dall' autore. Di estrema coerenza per quanto riguarda il pessimismo del suo Mondo, nel disegno Divino di Bresson, in tutte le sequenze in cui la protagonista riceve violenze fisiche manca la scelta del campo/controcampo, interpretabile come una sorta di negazione del suo punto di vista (e se c'è, mentre riceve le sberle dall' insegnante, Mouchette nemmeno sta guardando, il controcampo è solo per lo spettatore), un Progetto assoluto che non si interessa dell' "altro". Stilisticamente è puro Bresson, rigore - forse troppo -, essenzialità, pochissimi dialoghi (senza accorgersene si arriva a metà film prima di sentire la voce di Mouchette), ancora più disadorno rispetto al Capolavoro precedente, e forse solo un pochino meno scorrevole. Comunque sia, un' altra eccellente opera del Poeta francese delle immagini Robert Bresson.


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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Ciumi  @  16/08/2009 20:13:14
   9 / 10
Nell’opera di Bresson, più che in altri autori, si ha la coscienza che la sua arte stia seguendo un determinato percorso; mistico e penitente. Un sentiero sassoso, spoglio, in salita, che traversa greti e cespugli spinosi; che ha momenti di grande sconforto, ma anche radure illuminate dalla fede.

Si ha la percezione che i suoi personaggi (la vicenda è sempre individuale) non nascano e muoiano al termine d’ogni pellicola. Ma s’evolvano, spiritualmente. E’ come se nell’ultimo, la giovane Mouchette in questo caso, rivivesse l’anima di quelli che lo hanno proceduto: il curato, l’evaso, il ladro, l’asinello.

Ma man mano che cammina, il suo passo si fa più lieve. Oh dove sta l’elevazione spirituale a cui dovrebbe condurre l’ascetismo? Non c’è redenzione. Attorno a Mouchette, invece di risanarsi, il male s’aggrava, insiste la malattia, la violenza, il pregiudizio, il pettegolezzo. L’astensione all’emozione, è emozione. La rinuncia a pregare, preghiera essa stessa. La privazione è la più ingente delle ricchezze. Ma dopo tanto cammino, Bresson si volta e non vede il paesaggio fiorire. L’asciutto è divenuto arido; quello spiraglio di luce, una fessura che si cicatrizza. E dunque cos’è questo paradiso, che non dà salvezza né redenzione? Esso non si trova aldilà della vita, ma è l’attimo stesso della morte, affrontato col pudore, la modestia, la purezza, il silenzio medesimi con i quali si è vissuto.

I giorni scorrono come l’acque d’un solitario torrente; e per chi ha speso l’esistenza costeggiando in pazienza le rive d’un greto senza fine, lasciarvisi cadere, nella pace dei boschi, e nella musica rispettosa di Bresson, diventa leggero come un gioco puerile…

5 risposte al commento
Ultima risposta 24/08/2009 19.45.34
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Dies Irae  @  20/06/2007 14:38:39
   8½ / 10
come è strana la separazione tra la rabbia e la rassegnazione, com'è strano che tra sensazioni così diverse non ci siano stati intermedi. quando ci si rende conto della propria condizione, il limite è stato non precisamente superato ma nel limite si è compreso che non si poteva persistere e di conseguenza ci si riduce all'eccesso della propria condizione psichicamente sopportabile al momento....la rabbia e la rassegnazione sono semplicemente mouchette, figura angelica, che mai avrebbe tollerato altra violenza. un bianco e nero che amo definirlo terreno, per la sua ambientazione rurale che amplifica a dismisura il vuoto e la disperazione della bambina. ci sono immagini che hanno fatto la storia del Cinema.

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