Un villaggio protestante della Germania del Nord. 1913/1914. Alla vigilia della prima guerra mondiale. La storia dei bambini e degli adolescenti di un coro diretto dal maestro del villaggio, le loro famiglie: il barone, l’intendente, il pastore, il medico, la levatrice, i contadini. Si verificano strani avvenimenti che prendono un poco alla volta l’aspetto di un rituale punitivo. Cosa si nasconde dietro tutto ciò?
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Mentre guardavo il film di Haneke, mi tornavano alla mente alcune considerazioni di Nietzsche, lette anni orsono su un vecchio testo universitario.Tra le molte osservazioni, una mi restò particolarmente impressa: “l’uomo è più malato, più insicuro, più indeterminato di qualsiasi altro animale, non vi è dubbio: è l’animale malato. Una definizione all’epoca suggestivamente anticipatrice delle nuove inquietudini novecentesce, a mio avviso, non ancora superate. Ecco, Il nastro bianco mi ha trasmesso la stessa inquietudine, lo stesso orrore, perché è facile allargare le dinamiche di quel microcosmo malato di ieri ad una dimensione universale attuale; il male radicato e diffuso senza limiti temporali, senza speranza alcuna di redenzione, un affondo lacerante da parte del regista che ci concede rari barlumi di luce unicamente in alcuni quadri di splendida fotografia, il resto è Buio totale.