Il film ripercorre, con una serie di flashback, la vita di Pu-Yi, l'ultimo imperatore della Cina: da fanciullo cui tutto era dovuto, essendo figlio del Cielo, a re fantoccio del ""Manciukuo"" in mano ai giapponesi, a prigioniero dei campi di rieducazione politica ai tempi di Mao, dopo un periodo passato in Siberia ostaggio dei russi. Fino alla anonima morte, avvenuta durante la rivoluzione culturale.
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Altro filmone di Bertolucci, pomposo e pretenzioso. Altra valanga di premi e di consensi da critica e pubblico. Altra, per le mie aspettative, grande delusione. Biografico e al contempo storico, il regista prova a raccontare in questo film la vita straordinaria d’un imperatore-uomo, attraverso lo stupore, la sontuosità, la coreografia, i costumi, le scenografie che hanno lo splendore dell’oro ma senza valore, e che trasfigurano completamente la mistica e delicata grazia ornamentale dell’arte orientale (stessa tendenza che, tra l’altro, ho riscontrato addirittura in alcuni registi contemporanei che orientali lo sono per anagrafe), dando alla rappresentazione troppe arie e poca sostanza. Bertolucci insiste a voler mancare di sintesi. D’una penetrazione psicologica e di significati nell’esteriorità dei suoi tessuti sfarzosi. E a pretendere di raccontare un secolo di storia senza la volontà di approfondirne un aspetto in particolare. Ma se è ciò che piace a critica e pubblico, allora…