Marco Vinicio ritorna a Roma dalla Gallia, con le legioni che ha condotto alla vittoria. In casa di un console romano, conosce Licia, fanciulla straniera, tenuta lì in ostaggio, e se ne innamora. Egli ottiene dall'imperatore Nerone che la fanciulla venga affidata a lui; ma mentre viene condotta alla sua casa, Licia, che è cristiana, viene rapita dai cristiani, capitanati da Ursus.
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Io questi film non li ho mai potuti soffrire. Quando ero piccolo non c'era festività in cui io e i miei fratelli non venissimo costretti dai nostri genitori ad assistere impietriti alle imprese di Mosé che apriva il Mar Rosso, alla storia di Ruth, alle miniserie religiose Rai o peggio al Gesù di Zeffirelli! Alcuni li ho totalmente rimossi, altri li ricordo piacevolmente, altri ancora li detesto con tutto il cuore. Per "Quo vadis" provo una sorta di tenerezza mista ad ammirazione: il fatto che mio padre se lo riveda di gusto ogni qual volta la tv lo riproponga è una cosa che non riesce a farmelo odiare. E sì che è tra i più pomposi ed enfatici tra tutti i kilossal dell'epoca, pieno di clamorose scemenze storiche e di fiumi di retorica, quello in cui più è palese la patina dell'industria cienamtografica americana. Indubbiamente tronfio ma non privo di un suo spettacolare fascino, soprattutto nelle sequenze dell'incendio di Roma e dell'eccidio dei cristiani nell'arena, e con un'indimenticabile interpretazione di Peter Ustinov, un Nerone bisbetico e follemente vanesio. Il resto del cast viaggia a briglia sciolta tra sospiri di fede e pose teatraleggianti in un tripudio di costumi e scenografie in technicolor sfrenato; il regista sa contenere tanta (troppa) ricchezza e porta a casa un risultato dignitosamente kitsch da abile professionista qual è. Una testimonianza della Hollywood sul Tevere al suo apogeo, che fa ancora breccia nel cuore degli affezionati.