the tracker - la guida (2002)

Abbastanza semplice per come costruito ma efficace nel trasmettere sensazioni di vario genere, merito di uno script solido nella sua semplicità e di una prova attoriale di tutto rispetto.
Un po' ripetitivo e narrativamente non sempre fluidissimo ma film che si fa apprezzare facilmente.

Rivedo sempre con piacere questa pellicola ambientata nel selvaggio outback australiano che , nonostante una innegabile lentezza ed uno script molto scarno , trovo piuttosto piacevole . La trama ed il cast sono ridotti all'osso , ma gli affascinanti scenari desertici ed alcune originali soluzioni narrative ne rendono interessante la visione . Alludo principalmente alla colonna sonora composta da orecchiabili ballate collegate alla vicenda e ai quadretti naif ( in stile aborigeno ) che sostituiscono le scene più cruente . Il cast è semisconosciuto ma risulta ugualmente molto efficace . David Gulpilil è il più noto attore aborigeno e rende molto bene l' umana simpatia che ispira il personaggio . Bravi pure i tre poliziotti , in particolare il carognone Gary Sweet . Buona la regia di De Heer e assai efficace anche la fotografia , che valorizza l' ostile paesaggio australiano .

4 uomini si mettono alla ricerca di un fuggitivo nell'Outback australiano. Soggetto semplicissimo e super-inflazionato. Eppure c'è qualcosa in questo film che lo rende molto particolare e decisamente interessante. Saranno i ritmi lentissimi, quasi come un respiro calmo e profondo; saranno le progressive inesorabili prese di coscienza dei personaggi, che durante il viaggio evolvono, maturano, come spesso accade quando si intraprendono esperienze simili... Oppure sarà la splendida colonna sonora, che grazie alla felice scelta di sottotitolare i testi, ci permette di empatizzare con le varie personalità rappresentate. O infine sarà la caratterizzazione della guida aborigena, un concentrato di serenità, di calma interiore, di sicurezza e di positività. Diversi elementi quindi che mi hanno fatto apprezzare questo film. E per completezza citerei anche l'originale scelta registica, che mi è molto piaciuta, di sostituire le scene più violente con delle raffigurazioni pittoriche delle stesse, e il bel finale.
Forse un 7,5 sarebbe più adatto, ma un qualcosa che non riesco bene a mettere a fuoco, mi spinge ad arrotondare.

Una specie di western, di natura australe, che racconta l'avvincente storia di una guida aborigena al servizio della sbirranza bianca ed alle prese con essa durante la ricerca di un latitante anch'esso aborigeno. Soggetto originale, buona trama, buon ritmo, buona regia e buona interpretazione. Addirittura notevole per un paio di trovate come l'idea di accompagnare la storia con canzoni narranti che aiutano a veicolare il messaggio. Intendiamoci, non è un musical e nemmeno un film cantato; semplicemente il commento musicale è costituito da ballate sottotitolate e quindi "parlanti". Azzeccatissima anche quella di ribadire le scene salienti facendole puntualmente seguire da alcuni secondi di immagine fissa di veri e propri quadri di volta in volta raffiguranti esattamente la scena stessa. Nel complesso direi che si tratta di un film come minimo tranquillamente godibile per chiunque, se non di più. Consigliato.

Non male, potrebbe essere migliore

E' un piacere ritrovare David Gullpill-pelle di rame, l'attore aborigeno piu' famoso del mondo. Il tempo non è passato invano sul suo volto, ma resta un attore straordinario.
A me "tracker" è piaciuto, e per molte ragioni.
- De Heer tributa il western citando film come "alba fatale" o "balla coi lupi", ha sicuramente amato "dead man" di Jarmush e ne ha colto il suo fine realismo.
- Vanta una colonna sonora pregevole che ricorda Dylan e Robbie Robertson, Phil Ochs e Ritchie Havens insieme, e curiosamente il brano portante del film ricorda l'inno antirazziale "a change is gonna come" di Sam Cooke
- L'interpretazione di Gullpill, fiero e carismatico capo.guida
- Lo stile asciutto, rigoroso (qualcuno direbbe "statico", puo' darsi ma...) e la sottile ironia che lo pervade

Peccato che alla lunga il film sia un po' debole come metafora antirazziale liberista, troppo semplicistico per toccare le giuste corde, troppo convenzionale come pamphlet storico-sociale), ed è in questa fase che il film rischia di diventare, da volonteroso atto d'accusa alla sopraffazione umana, un'opera poco sincera, poichè falsa è la nostra predisposizione verso una cultura diversa e sconosciuta.
Va detto che De Heer non è (ancora) Herzog e si vede.

Pero' restano un paio di memorabili sequenze: l'impiccagione di un'ufficiale bianco che implora pietà ostentando una tardiva, ipocrita tolleranza, e l'ennesimo omaggio a "l'atalante" di Vigo.

Luci e ombre, certo, di un film che comunque merita di essere segnalato: per questo il mio 6.5 si trasforma in un 7

Armatevi di santa pazienza perchè è un po' lentino (anche se non lungo). Complessivamente però non mi è dispiaciuto.

bellissimo e profondo. semplice, ma molto ben fatto