“
Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore” cantava negli anni ’70 Francesco De Gregori.
Un timore che da sempre attanaglia i nostri produttori e registi, i quali, rarissimi casi a parte, quando c’è da andare in campo, non sono mai riusciti a cogliere la vera essenza dello sport nazionale, ovvero il calcio.
Il primo dimenticabile tentativo risale alla fine degli anni ’40 con il misconosciuto “Undici uomini e un pallone”, cui fanno seguito una decade dopo "
Gambe d'oro" (con special guest il mitico
Totò) e “Gli eroi della domenica”, passato non proprio in sordina per la presenza del plurivittorioso c.t. della nazionale Vittorio Pozzo e alcuni giocatori del Milan.
Nel 1970 l’indimenticato
Alberto Sordi è protagonista de "
Il presidente del Borgoroso Footbal Club", pellicola sopravvalutata e forse acclamata più per la fame nazionalpopolare di pellicole sull’argomento.
Risale agli anni ’80 una dei migliori film mai realizzati da queste parti,
Pupi Avati coadiuvato da un grande
Ugo Tognazzi fa centro con "
Ultimo minuto", malinconico ritratto di un presidente che si sporca le mani e si rovina la vita per ottenere il successo.
Da quel momento qualcuno comincia a pensare che non sarebbe male buttarla in farsa, ed ecco allora apparire sugli schermi "
L'arbitro" con
Lando Buzzanca, buon successo di pubblico e discreto di critica.
La massa viene così attratta da filmetti comici senza troppe pretese, in cui la demitizzazione del sacro rito domenicale diventa fenomeno di costume per raccontare di allenatori, calciatori e dirigenti con storie spesso al limite della demenzialità.
Precursori del genere due esperti della parodia, ovvero
Franco Franchi e
Ciccio Ingrassia con "
I due maghi del pallone".
Assurge a vero cult della categoria "
L'allenatore nel pallone" con
Lino Banfi, cui aveva fatto da apripista un paio di anni prima l’altrettanto celebre "
Eccezzziunale...veramente" con
Diego Abatantuono, entrambi oggetto negli anni 2000 di seguiti francamente penosi.
E’ soprattutto negli anni ’80 che pallone di cuoio e risate grossolane vanno a braccetto: "
Paulo Roberto Cotechino-Centravanti di sfondamento", "
Mezzo destro, mezzo sinistro: due calciatori senza pallone" e "
Il tifoso, l'arbitro e il calciatore" ,sono solo i più famosi esempi di pellicole in cui la cornice sportiva è spesso solo pretesto per metter sul piatto battute grevi e torridi nudi delle starlette di turno.
Dopo Avati qualche tentativo di unire la denuncia sociale e pratica sportiva si è intravisto nuovamente sul finire degli anni ’80, con risultati però dimenticabili.
Impossibile non citare lo scult con
Nino D'Angelo avverso alla camorra ne "
Quel ragazzo della curva B".
Non mancano le peripezie dei supporter ad offrire parecchio materiale, "
Ultrà" resta l’esempio più interessante, mentre "
Tifosi" si ricollega al filone demenziale.
Negli ultimi anni il calcio sul grande schermo ha seguito il decadentismo cui il cinema popolare è stato soggetto, con filmacci di incredibile pochezza tipo "
Piede di Dio", "
4-4-2 Il gioco più bello del mondo", "
Ultimo stadio" o "
Tutti all'attacco", pellicole in alcuni casi dirette da registi poco conosciuti e con cast formati da gente che sguazza nel mondo del cinema e della tv senza aver mai mostrato alcun talento.
Singolare notare come la cinematografia italica non abbia mai saputo generare un vero e proprio capolavoro su un argomento vissuto così visceralmente da moltissimi, oggetto di infiniti dibattiti e da sempre in grado di affascinare qualsiasi ceto sociale.
Infine menzione a parte merita "
L'uomo in più" di
Sorrentino con il sempre maiuscolo
Toni Servillo, che pur non polarizzandosi esclusivamente sugli aspetti agonistici riesce per la prima volta a raccontare le dinamiche più spietate di un mondo fino ad allora trattato con poco coraggio e obiettività.
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