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Pubblicato il 01/02/2013 11:23:38 da
The Gaunt
Storicamente l'Academy ha la tendenza a premiare la stessa opera per i premi più importanti, cioè l'Oscar al miglior film e alla miglior regia sono spesso andati ad un unico film. Non sono mancate eccezioni, tuttavia, e l'ultimo caso di premio "disgiunto" risale al 2006, quando l'oscar al miglior film andò a
Crash di
Paul Haggis, mentre quello alla miglior regia ad
Ang Lee per
Brokeback Mountain. Prima del 2006 era accaduto due volte, se consideriamo solo il primo decennio di questo secolo: nel 2001 con "Il Gladiatore" (film) e
Soderbergh (regista di "Traffic") e nel 2003 con
Chicago (film) e
Polanski ( regia per Il pianista). Dopo il 2006, non più, avendo l'Academy ripreso la tendenza ad attribuire le principali statuette alla stessa opera.
Potrebbe essere l'anno buono per riproporre un premio disgiunto?
Vediamo le rose dei candidati:
MIGLIOR FILM
"Zero Dark Thirty"
"Amour"
"Vita di Pi"
"Lincoln"
"Django Unchained"
"Argo"
"Beasts of the Southern Wild"
"Silver Linings Playbook"
"Les Misérables"
MIGLIOR REGIA
Michael Haneke per "Amour"
Benh Zeitlin per "Beasts of Southern Wild"
Ang Lee per "Vita di Pi"
Steven Spielberg per "Lincoln"
David O. Russell per "Silver Linings Playbook"
Se il premio rimanesse congiunto bisognerebbe quindi escludere a priori
Django Unchained,
Argo,
Les Miserables e
Zero dark thirty.
C'è lo Spielberg di
Lincoln che di oscar però ne ha già vinti. Ang Lee con
Vita di Pi è sulla falsariga di Spielberg, non tanto per i numeri quanto per l'aver ha già vinto l'oscar come miglior regista e come miglior film, sia pure straniero, con
La tigre e il dragone.
Da tenere conto che solo
Eastwood ha saputo fare per due volte l'accoppiata film/regia dagli anni novanta ad oggi (
Gli spietati e
Million dollar baby). E potevano essere tre, se
Gran torino non fosse stato escluso dalle cinquine dopo aver fatto incetta ai Golden Globe.
In gara anche gli outsider.
Haneke su tutti. Il cineasta austriaco si trova nelle stesse condizioni di Benigni con
La vita è bella come nomination, perlomeno quelle più importanti. Difficile quindi che torni a mani vuote e L'oscar come miglior film straniero dovrebbe essere in teoria una formalità. Meno facile il discorso delle categorie assolute, perché premiare
Amour significherebbe sfatare un tabù, l'ultimo dell'Academy, cioè quello di premiare come miglior film una pellicola straniera.
The artist l'ha sfatato in parte, essendo un film muto, ma per Haneke la storia è ben diversa: un film straniero, non parlato in lingua inglese; una vittoria del genere sarebbe un miracolo e in fondo queste nomination sono una sorta di riparazione al fatto che un capolavoro come
Il nastro bianco rimase scandalosamente a bocca asciutta.
Il lato positivo e
Re della terra selvaggia sono delle vere incognite, e costituirebbero una gran bella sorpresa in caso di vittoria.
Certamente nel caso di due pellicole differenti per miglior film e regia i giochi si complicherebbero ulteriormente, perché le carte andrebbero a mischiarsi con combinazioni imprevedibili. Ma per vostra fortuna io qui mi fermo, ma se volete esprimere la vostra, fate pure.
“
Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore” cantava negli anni ’70 Francesco De Gregori.
Un timore che da sempre attanaglia i nostri produttori e registi, i quali, rarissimi casi a parte, quando c’è da andare in campo, non sono mai riusciti a cogliere la vera essenza dello sport nazionale, ovvero il calcio.
Il primo dimenticabile tentativo risale alla fine degli anni ’40 con il misconosciuto “Undici uomini e un pallone”, cui fanno seguito una decade dopo "
Gambe d'oro" (con special guest il mitico
Totò) e “Gli eroi della domenica”, passato non proprio in sordina per la presenza del plurivittorioso c.t. della nazionale Vittorio Pozzo e alcuni giocatori del Milan.
Nel 1970 l’indimenticato
Alberto Sordi è protagonista de "
Il presidente del Borgoroso Footbal Club", pellicola sopravvalutata e forse acclamata più per la fame nazionalpopolare di pellicole sull’argomento.
Risale agli anni ’80 una dei migliori film mai realizzati da queste parti,
Pupi Avati coadiuvato da un grande
Ugo Tognazzi fa centro con "
Ultimo minuto", malinconico ritratto di un presidente che si sporca le mani e si rovina la vita per ottenere il successo.
Da quel momento qualcuno comincia a pensare che non sarebbe male buttarla in farsa, ed ecco allora apparire sugli schermi "
L'arbitro" con
Lando Buzzanca, buon successo di pubblico e discreto di critica.
La massa viene così attratta da filmetti comici senza troppe pretese, in cui la demitizzazione del sacro rito domenicale diventa fenomeno di costume per raccontare di allenatori, calciatori e dirigenti con storie spesso al limite della demenzialità.
Precursori del genere due esperti della parodia, ovvero
Franco Franchi e
Ciccio Ingrassia con "
I due maghi del pallone".
Assurge a vero cult della categoria "
L'allenatore nel pallone" con
Lino Banfi, cui aveva fatto da apripista un paio di anni prima l’altrettanto celebre "
Eccezzziunale...veramente" con
Diego Abatantuono, entrambi oggetto negli anni 2000 di seguiti francamente penosi.
E’ soprattutto negli anni ’80 che pallone di cuoio e risate grossolane vanno a braccetto: "
Paulo Roberto Cotechino-Centravanti di sfondamento", "
Mezzo destro, mezzo sinistro: due calciatori senza pallone" e "
Il tifoso, l'arbitro e il calciatore" ,sono solo i più famosi esempi di pellicole in cui la cornice sportiva è spesso solo pretesto per metter sul piatto battute grevi e torridi nudi delle starlette di turno.
Dopo Avati qualche tentativo di unire la denuncia sociale e pratica sportiva si è intravisto nuovamente sul finire degli anni ’80, con risultati però dimenticabili.
Impossibile non citare lo scult con
Nino D'Angelo avverso alla camorra ne "
Quel ragazzo della curva B".
Non mancano le peripezie dei supporter ad offrire parecchio materiale, "
Ultrà" resta l’esempio più interessante, mentre "
Tifosi" si ricollega al filone demenziale.
Negli ultimi anni il calcio sul grande schermo ha seguito il decadentismo cui il cinema popolare è stato soggetto, con filmacci di incredibile pochezza tipo "
Piede di Dio", "
4-4-2 Il gioco più bello del mondo", "
Ultimo stadio" o "
Tutti all'attacco", pellicole in alcuni casi dirette da registi poco conosciuti e con cast formati da gente che sguazza nel mondo del cinema e della tv senza aver mai mostrato alcun talento.
Singolare notare come la cinematografia italica non abbia mai saputo generare un vero e proprio capolavoro su un argomento vissuto così visceralmente da moltissimi, oggetto di infiniti dibattiti e da sempre in grado di affascinare qualsiasi ceto sociale.
Infine menzione a parte merita "
L'uomo in più" di
Sorrentino con il sempre maiuscolo
Toni Servillo, che pur non polarizzandosi esclusivamente sugli aspetti agonistici riesce per la prima volta a raccontare le dinamiche più spietate di un mondo fino ad allora trattato con poco coraggio e obiettività.