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"Air doll", cuore di plastica.
Chi dice che le fiabe sono passate di moda si goda la visione di "Air doll" del giapponese Koreeda, uno dei massimi rappresentanti del cinema del Sol Levante contemporaneo.
Tratto da un popolare manga, la storia è solo apparentemente banale e inverosimile: un uomo vive con una bambola gonfiabile, la quale si anima e inizia a vagare per una Tokyo algida e meravigliosa alla ricerca del senso della vita, ecco tutto.
Per la cultura giapponese così rigidamente strutturata, che mal tollera gli scatti di individualismo, l'ossessione dell'automa è nota e, nella più classica delle tradizioni cyberpunk, ha trattato spesso la tematica del simulacro bio meccanico con sensibilità e intelligenza (basti pensare alla saga di anime "Ghost in the shell").
Il film, all'altezza delle migliori aspettative, ci racconta di Nozomi e del suo percorso di crescita alla ricerca del senso profondo delle cose, una favola filosofica degna di uno Stanley Kubrick e figlia degli universi mentali di Philiph Dick e Brian Aldiss (oltre che di Collodi, ovviamente). L'ennesima rivisitazione di un automa che si scopre umano, dopo le ben note interpretazioni di Scott ("Blade Runner"), Spielberg (Regista nominale di "AI" per l'appunto), e lo stesso Sordi ("Io e Caterina") si carica qui di sfumature poetiche e straordinaria sensibilità: commovente e melò quanto basta, il racconto procede tra morbidi carrelli e una recitazione equilibrata e sofferta, non facile per il tipo di ruolo che la coreana Doona Bae ha dovuto interpretare.
L'allegoria è l'unica chiave di lettura possibile con la vicenda strumentale e iniziatica, che impegna il regista nel pedinamento di una bambola trattata dal suo possessore come oggetto passivo, principalmente sessuale e solo in parte affettivo, una bambola che scopre la sua natura "umana" esplorando una città più empatica di quanto non appaia. Ed ecco la scoperta del gioco, del lavoro, delle amicizie e dei primi turbamenti amorosi. La consapevolezza graduale di "un cuore" la rende felice nelle sue "stazioni"ma la sua energia positiva verrà ben presto soppiantata da angosce e carenze affettive.
Profondamente toccanti alcune sequenze: dalla sua prima illusione di libertà (un volo tra i pianeti di carta appesi sul soffitto di casa) alla scoperta della sua "trasparenza" quando si espone alla luce (Nozomi è pura come il vetro delle bottiglie che raccoglie e soprattutto preziosa come il diamante del suo anello) alla sua personale ricerca del suo Dio-demiurgo direttamente ispirato al giocattolaio di "Blade Runner". E ancora, dalla scoperta dell'erotismo (quando un collega la eccita rigonfiandola con la bocca e non con una fredda pompetta di plastica) fino alla melodrammatica sequenza finale, chiusura estetizzata e teatrale di una parabola a orologeria complessivamente perfetta.
Anche le ambientazioni e ogni singolo dettaglio sono pertinenti e funzionali: la videoteca è la sua scuola, e i titoli dei film citati (oltre a definire una personalissima top ten del regista) entrano a far parte del suo bagaglio culturale come esperienze di vita alla stregua di ricordi impiantati nei cyborg tipici nei racconti di genere. I pupazzi e i poster che la circondano sono doppi evidenti del suo personaggio (Pinocchio, la creatura di Frankenstein e l'immagine dell'eterea Masina-Gelsomina, ingenua e fumettistica icona felliniana) e la bottega che l'ha vista nascere trasuda simboli di vita e di morte, tra tubi che gocciolano lattice-seme, cadaveri dei suoi simili "rottamati" e simulacri inquietanti che descrivono la molteplicità dell'essere con rara, potente efficacia.
La ricerca ad oltranza del proprio "koine" da parte di Nozomi porterà un privilegio raro alla coraggiosa protagonista. Non è da tutti conoscere il proprio creatore e il luogo preciso in cui finiremo dopo la morte, ma scoprire che il proprio Walalla è una discarica per rifiuti "non combustibili" non si può certo definire consolatorio e la nostra eroina riuscirà a ritagliarsi un limbo che la allontanerà ancora per un po' di Tempo dalla distruzione. E chissà che il genere umano, alla stregua di una massa di pupazzi gonfiabili, inventandosi religioni così fantasiose e diverse tra loro, ma sempre premianti e rassicuranti, non abbia scelto semplicemente il male minore.
Nozomi non si accontenta e si affida alla sua curiosità, al suo intelletto ed al suo coraggio: questo, più che la sua solitudine, la rende eroica, oltre alla sua stessa natura di bambola, un esempio che l'umanità stessa, per progredire, dovrebbe saper perseguire.
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Recensione a cura di fabrizio dividi - aggiornata al 24/09/2012 11.57.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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