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Philippe Winter (Rudiger Vogler), è un giornalista tedesco in cerca di un'occasione editoriale in grado di fargli esprimere la sua poetica più profonda. Il suo giornale gli dà questa opportunità: entro quattro settimane deve consegnare un libro alla redazione di New York, ambientato negli Stati Uniti, sul tema del paesaggio americano.
Il giornalista però, dopo essersi allontanato da New York e aver visitato altre città degli Stati Uniti, scopre che non gli riesce proprio di scrivere, nonostante il suo sguardo esplorativo sia sempre attento e vigile nel ricercare cose significative o suggestive.
Nel paesaggio che Philippe vede manca un vero e proprio soggetto ispiratore, qualcosa in grado di procurargli delle visioni poetiche. Philippe preferisce allora scrivere il racconto in una modalità iconica, attraverso la fotografia, facendo sì che la riproduzione visiva di ciò che lo colpisce venga fatta da uno strumento terzo, meccanico, qual è la sua vecchia Polaroid.
Finito il lavoro e ritornato a New York, nella sede distaccata del suo giornale per consegnare le fotografie, Philippe si vede respingere il reportage fotografico perché non corrisponde all'accordo fatto; il contratto prevedeva una storia scritta, da consegnare in breve tempo alla redazione.
Philippe, deluso, decide di ritornare in Europa ma all'aeroporto di New York incontra una connazionale di nome Liza (Lisa Kreuzer) con la figlia Alice (Yella Rottlander) di nove anni che cambieranno profondamente il suo stato esistenziale.
A causa di uno sciopero del personale di bordo, i tre a New York non trovano un aereo disponibile per la Germania e sono quindi costretti a prenotare un volo di ripiego su un aereo che parte il giorno dopo per Amsterdam. Philippe viene invitato da Liza nel suo appartamento dove trascorrerà la notte dormendo con lei.
Al mattino la donna lascia un biglietto scritto per Philippe, nella portineria dell'albergo, raccomandandolo di tenere la bambina perché lei deve raggiungere il suo ex amante Hans in crisi; l'impegno è di incontrarsi tutti e tre all'aeroporto di Amsterdam due giorni dopo.
Ma Liza non parte per Amsterdam, preferisce rimanere negli Stati Uniti con il suo ex fidanzato che è disperato, incapace di darsi una ragione dell'allontanamento della donna. Liza, che non vuole far soffrire Hans di cui è ancora innamorata e ritorna da lui senza Alice, immaginando che la presenza della figlia potrebbe turbare nuovamente la loro relazione; Hans non è il vero padre della bambina.
Philippe rimasto solo con Alice dapprima si sente oppresso dalla sua nuova responsabilità, incapace di darsi ragione di ciò che gli sta accadendo, ma lungo la prosecuzione del viaggio si affezionerà molto alla bambina, fino al punto di amarla segretamente come un padre.
Dopo numerosi girovagare tra le città, alla ricerca della nonna cui affidare la bambina, la polizia contatta Philippe proprio sul traghetto che sta portando il giornalista e la bambina dalla madre del giornalista, quando ormai entrambi avevano rinunciato alle ricerche della nonna. Philippe viene informato dalla polizia che sono stati individuate la madre e la nonna di Alice e che la bambina potrà essere affidata a una delle due donne.
I due, dopo diverse giornate passate insieme alla ricerca di una soluzione al problema del crudele abbandono, si lasciano a malincuore; il loro breve ma intenso rapporto li ha infatti trasformati.
Philippe ha trovato con la vicenda vissuta il soggetto che cercava per la sua storia, Alice la gioia, fino a quel momento sconosciuta, di comunicare e giocare per lungo tempo con un adulto.
Questo film di Wenders uscito nel 1974 è il primo della "trilogia della strada", che comprende anche "Falso movimento" (1975) e "Nel corso del tempo" (1976). "Alice nelle città" è probabilmente il più riuscito dei tre, sia dal punto di vista poetico e comunicativo sia da quello drammaturgico.
Diversi i temi trattati e le esperienze fotografiche di rilievo: Il tema della strada viene visto come occasione di un viaggio altro, dove non solo si guarda e si commenta ciò che scorre davanti agli occhi ma si partecipa in qualche caso alle realtà più vive che si incontrano, mantenendo sempre uno sguardo attivo, pronto a commuoversi, lasciandosi rapire da certe realtà sociali ed esistenziali più problematiche, coinvolgenti, di grande impatto emotivo.
Il tema del viaggio per strade sconosciute intese come veri e propri luoghi di avventure relazionali viene perciò interpretato come fonte di importanti esperienze culturali, del tutto fuori moda oggi.
Un altro tema proposto è più strettamente artistico, riguarda l'impossibilità per la fotografia e quindi per il cinema tutto di andare oltre la falsità formale del movimento, di riprodurre una realtà vera, poliedrica, protetta dai nostri sguardi voraci, oggettiva e indipendente dalle nostre emozioni. La complessità fisica e luminosa, estetica e visiva della realtà, sembra dire Wenders, mette continuamente in ridicolo le pretese definitorie e totalitarie dell'avida vista umana.
Il giornalista tedesco, dopo aver scattato numerose foto, trova conferma che la fotografia non è mai uguale alla realtà che riproduce - intesa quest'ultima come ciascuno di noi la vede e la sente - ma costruisce un mondo di immagini a sé, con delle tonalità di colori sempre diverse, infinite nelle loro bizzarre combinazioni; un mondo che tende a separarsi da ogni visione vissuta, una sorta di specchio opaco che deforma qualsiasi realtà ritenuta obiettiva ricordandoci la nostra presunzione visiva nel valutare le cose.
La fotografia è incapace di riflettere il senso delle cose esistenti per quello che presumibilmente sono, o come noi le percepiamo, imponendo un proprio modo di vedere assolutamente originale. Le immagini appaiono come ombre della realtà che la vista ci prospetta, simboli oscuri e misteriosi di un mondo estremamente complesso ancora in gran parte sconosciuto, situato al di là dei nostri orizzonti visivi.
Quando sul bordo della strada Alice fotograferà Philippe con la Polaroid gli dirà consegnandogli la foto: "così vedi come sembri".
Interessante nel film anche il tema umano e psicanalitico dei rapporti vissuti fuori da un ruolo istituzionale preciso, straordinari, sovente destinati a rilasciare sorprese trasformatrici importanti, come accade nel rapporto tra Philippe e Alice, un adulto e una bambina già al di fuori della famiglia, una relazione che nel film nasce per caso, in circostanze del tutto fortuite.
Philippe riscopre frequentando Alice parti giovanili di sé che rientrano prepotentemente in gioco nel suo presente in crisi, ritrasformandolo verso nuove aperture esistenziali, nuovi progetti di vita e professionali, allontanandolo da quell'esistenza chiusa e rassegnata che lo tormentava da tempo.
Wenders con questo film ripropone la questione dell'egoismo umano, della crudeltà verso qualcuno cui porta l'amore vissuto fuori dalle istituzioni sociali, un amore non coerente con gli impegni e le scelte fatte a suo tempo, con i doveri e le responsabilità a cui si è stati chiamati dalle leggi in vigore. Ma nello stesso il regista-autore ribadisce la legittimità di ogni forma d'amore, il dovere etico di viverlo, riconoscerlo, coltivarlo fino all'esaurimento della passione.
Quello tra amore e responsabilità verso i terzi che ne subiscono le conseguenze è un conflitto senza soluzioni, una spirale dai risvolti drammatici a volte anche tragici - sembra ribadire Wenders - che nulla concede nel film al sentimentalismo e alla tenerezza, tracciando di tutti i personaggi profili freddi e distaccati, fedeli a qualcosa di spaventoso che sta accadendo nel mentre si indovinano oltre le scene tristi, passioni in gioco vissute da qualcuno, indicibili, forti, incontenibili.
Il film nel suo svolgimento non si avvia strada facendo verso delle soluzioni precise, degli scioglimenti utopici delle questioni in gioco, che nella realtà non possono esistere, ma prospetta dei cambiamenti di stato d'animo nei protagonisti molto importanti, frutto di una esperienza sulla passione e sull'abbandono che lascia il segno.
Traccia così nuove idealità etiche, sorrette in parte dal senso di colpa in parte da un amore per la vita che non si vuole perdere e che proprio per questo porta a una rinascita delle cose a un oblio, a una dimenticanza del brutto e dell'odioso, vissuti come conseguenze provvisorie di un amore per l'altro, che subito è cieco ma che dopo la piacevole tormenta dei sensi è destinato a nobilitarsi, purificarsi con la generosità verso gli altri più sfortunati.
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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 25/02/2010
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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