Recensione alien - la clonazione regia di Jean-Pierre Jeunet USA 1997
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Recensione alien - la clonazione (1997)

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locandina del film ALIEN - LA CLONAZIONE

Immagine tratta dal film ALIEN - LA CLONAZIONE

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Immagine tratta dal film ALIEN - LA CLONAZIONE
 

"Alien: la clonazione", di Jean Pierre Jeunet esce dopo "Alien 3", un film quest'ultimo molto dibattuto, diretto da David Fincher e ambientato nel 2525, la cui conclusione sembrava aver posto fine anche alla serie con l'inaspettato suicidio dell'eroina Ellen Ripley (Sigourney Weaver) che, per eliminare definitivamente la prole aliena che teneva in grembo, decideva di buttarsi in una fornace di piombo fuso.
Il giovane regista francese Jean Pierre Jeunet riapre un po' temerariamente la serie degli Alien proponendo con questo film (da considerare per inciso molto più ambizioso degli ultimi due) una tematica di grande e affascinante attualità: La clonazione umana.

L'opera ha un bel ritmo ed è ottimamente sostenuta da una efficace sequenza di immagini-simbolo, ricche di sfumature visive che ne amplificano il senso rendendo la trama meno banale.
Un film di classe, dove la regia assume sempre una parte di primo piano, contribuendo al divertimento narrativo con immagini suggestive, ben dettagliate, animate da particolari visivi molto studiati, originali, capaci nell'insieme di smentire tutti coloro che vedono nei film di serie solo sbrigative fotocopie dell'opera prima.

Jeunet mette al centro del racconto, a volte in modo spettacolare e visionario a volte in una forma più compassata e seriosa, il tema dei rischi derivanti dalla clonazione, come l'abnormità che ne può conseguire per l'impossibilità di controllarne tutte le applicazioni, sopratutto quelle militari, che come è risaputo soggiacciono a procedure segrete.
Il regista francese si muove su un terreno prevalentemente filosofico, dai tratti fortemente moralistici, che conduce lo spettatore a interrogazioni sul bene e sul male di nuova portata storica.
Lo fa abbozzando complessità e inquietudini non proprio avveniristiche, che già esistono e che riguardano il potere tecnologico-genetico dell'oggi, da tempo in forte crescita, allarmante perché pressato ormai da ogni parte da interessi egoistici di varia natura.

"Alien: la clonazione" uscito nel 1997 è una produzione tutta USA. La pellicola pur avvalendosi di noti e complessi meccanismi psicologici e si caratterizza per il grande impatto visivo, dominato dalle raffigurazioni di un orrido commisto all'umano per via di una clonazione militarmente forzata.

Il film svolge, senza dare vere e proprie soluzioni, un enigmatico gioco di rappresentazioni del giusto e dell'immorale poste su un crinale un po' onirico, che non dà tregua allo spettatore costringendolo a prender parte alle varie coniugazioni letterarie del tema proposto dall'autore. Un argomento difficile che a volte ci costringe, per la sua complessità, ad entrare in un ordine di idee troppo sfumate, molto astratte.
Tra le varie coniugazioni spiccano, per intensità emotiva e intelligenza analitica, quelle che rimangono intrecciate al rapporto tra follia e normalità, come il delirio di onnipotenza che nel film (dopo varie peripezie) confluisce improvvisamente nella morte o il suo contrario, il delirio di impotenza, che strettamente legato all'etica sfocia a un certo punto, lungo un gioco di trasfigurazioni mirabilmente dirette, nella rivalutazione, un po' masochistica, di alcuni valori presenti nella semplice e luminosa vita terrena.

Alla sua prima apparizione, nonostante la sua indiscutibile qualità, il film di Jeunet non ha avuto l'affluenza che i produttori e alcuni critici speravano, forse a causa della sua eccessiva raffinatezza che sembra esigere dagli spettatori un senso estetico superiore alla media, difficilmente riscontrabile all'epoca in cui fu girato.
Le diverse logiche che si intrecciano nel film, alcune dinamicamente costitutive dei desideri umani più oscuri e contraddittori, non portano mai, a differenza delle così dette pellicole commerciali, a un approdo semplice e risolutivo delle azioni, ma preparano un finale lontano dalla banalità e da ogni forma di consolazione, che per certi aspetti rimane sospeso, aperto, suscitando per il futuro nuovi e complessi problemi di etica.

Il film da parte dei media ha avuto il confortante riconoscimento storico di opera cult solo in questi ultimi anni, e forse in virtù dell'interesse che la pellicola ha suscitato nelle nuove generazioni attraverso le riedizioni televisive e i dvd.
Questo trasporto giovanile verso il film ha fatto ricredere anche gli spettatori precedenti che lo avevano in buona parte bocciato; l'entusiasmo dei giovani di oggi per l'opera del francese Jeunet è probabilmente interpretabile come un apprezzamento dell'azione frenetica e dell'intelligenza tematica che il film propone, prese in uno stile invidiabile.
Questi aspetti non sono mai disgiunti da una narrazione colta, densa di messaggi etici sagacemente affabulati e lontani da ogni falsa retorica.

Il film è privo di pause, risultando nel suo complesso esteticamente attraente e suggestivo, anche se qua e là compare del "già visto".
Il tenore recitativo e il montaggio sono costantemente di alto livello, tale a volte da far venir in mente film come il grande "Robocop" o il primo "Alien".
Le invenzioni sceniche lasciano stupefatti per la suspense progressiva che li caratterizza, che appare ben costruita, costantemente al servizio di un finale ad alta tensione.
Indubbiamente anche l'originalità della trama contribuisce a creare un notevole interesse di fondo per tutta la narrazione.

Il film, ambientato nel 2725, inizia con una lunga inquadratura in primo piano di Ripley (Sigourney Weaver), dominata da uno sguardo serioso, assorto, meditativo che dice: "La mia mamma diceva sempre che i mostri, quelli veri, non esistono. Invece esistono!".
Poi viene presentata l'attività nello spazio svolta dalla grande astronave Auriga, facente parte dei Sistemi uniti, composta da 42 militari e 7 ufficiali medici, comandati dal generale Perez.
I medici sono impegnati nell'ottavo tentativo di clonare Ripley, l'eroina di "Alien 3" morta duecento anni prima in tragiche circostanze. L'intento dei militari è di estrarre l'embrione alieno che porta in grembo e allevare così una nidiata di mostri da utilizzare, previo addestramento, per scopi bellici.

La clonazione di Ripley e l'estrazione dal suo corpo dell'embrione alieno riesce perfettamente. Il xenomorfo, molto vivace, viene rinchiuso in una cella robusta controllata visivamente attraverso una finestra di grandi dimensioni; l'alieno cresce sotto la continua minaccia della potente e devastante arma a vapore del freddo, appositamente studiata per lui in grado di spezzare ogni arto del corpo.
L'unico problema, che sgomenta il generale Perez (Dan Hedaya), è che Ripley conserva nella memoria tracce del suo passato, anche se esse appaiono ancora labili e logicamente molto disordinate.
Probabilmente nella sua psiche sono trapassate, attraverso il DNA ereditato, numerose raffigurazioni della vita precedente. Perez teme che Ripley a un certo punto possa riacquistare tutta la memoria e riprendere la lotta contro gli alieni, che per il generale sono un vero e proprio affare, vanificando la missione dell'astronave Auriga.

La proposta e la volontà di Perez di eliminare Ripley non incontra l'approvazione degli scienziati medici, che sono molto incuriositi dall'eccellente risultato della clonazione e desiderano vedere come si comporterà scientificamente Ripley nelle settimane successive.
Nel frattempo gli esperimenti si allargano su più vasta scala; giungono sull'astronave Auriga, con la navetta Betty, dei contrabbandieri di corpi umani criogenizzati, sistemati incoscienti in appositi tubi del freddo. Sono operai cui è stato promesso un lavoro nello spazio ubicato a una distanza dalla terra proibitiva, ma che in realtà i contrabbandieri vendono come merce al miglior offerente, in questo caso al generale Perez per i suoi esperimenti di biotecnologici.

La testa dei malcapitati operai , impossibilitati con il corpo a compiere qualsiasi movimento, viene sistemata a pochi centimetri dalle spore, le quali, una volta avvertita una presenza umana nelle vicinanze, attaccano, con un'accurata preparazione, il volto dei prigionieri, facendo saltare sul loro viso una varietà di sanguisughe dai tentacoli robusti, che si asserragliano violentemente sulle teste degli operai iniettando nel loro corpo il germe di un alieno.
L'embrione crescendo sfonderà a un certo punto lo stomaco delle vittime, diventando in brevissimo tempo un mostro spaventoso dai poteri sovrumani.

Tra i contrabbandieri si nasconde però una spia, è Annalee Call (W. Rider), una giovane donna che è in realtà un robot costruito da altri robot, appartenente all'ultima generazione, la più avanzata tecnologicamente, quella che sembra provare anche emozioni vere amando addirittura la propria vita.
Il suo scopo è di contrastare l'azione del generale Perez e contribuire all'eliminazione degli alieni impedendo che possano raggiungere la terra.

Il film prosegue quindi in modo originale con due protagoniste, Ripley e Call che, seppur all'inizio sembrano andare in opposte direzioni, trovano a un certo punto solidi motivi di alleanza, soprattutto quando Ripley visita inavvertitamente gli orrori presenti nel laboratorio dell'astronave in cui venivano fatti gli esperimenti di clonazione umana
In esso Ripley scopre anche se stessa, l'essere-sosia della sua precedente fallita clonazione, un corpo che vive in uno stato vegetale, in agonia per l'eccessiva deformazione dei suoi arti.
Ripley accoglie la pietosa richiesta della donna-sosia di essere uccisa e piangendo la elimina con un lanciafiamme.

Nel frattempo l'astronave è già popolata da 12 mostri alieni, tutti inferociti, riusciti a fuggire dalla prigione grazie al sangue acido di un alieno ucciso da un suo compagno, che ha perforato il pavimento metallico della cella creando un grosso buco.
Liberi, i mostri uccidono il generale Perez e altri membri dell'equipaggio. I contrabbandieri e le due eroine capiscono che per avere salva la vita e preservare il pianeta Terra dall'invasione dei mostri devono fuggire su una navetta di salvataggio e far esplodere l'astronave Auriga con tutti i suoi alieni.
Ripley, seppur amareggiata per dover lottare contro la regina aliena estratta dal suo ventre (che nel frattempo si è evoluta in senso umano producendo un figlio dalle sembianze semiumane direttamente dall'utero), usa la sua seduzione di madre contribuendo insieme a Call alla distruzione totale degli alieni.
Il salvataggio sulla navetta riesce all'ultimo minuto dopo numerose peripezie di gran valore visivo ed emotivo, così pure le manovre per far esplodere l'Auriga.

Il film termina in modo inquietante, con la navetta di salvataggio sospesa sopra il pianeta terra pronta a compiere le necessarie manovre per entrare nell'atmosfera ed atterrare sul pianeta.
Straordinaria l'inquadratura delle acque della terra con le nuvole sopra di esse, il tutto, posto in primo piano sembra preannunciare all'equipaggio la possibilità di una nuova vita.
Ripley è stupefatta da tanta bellezza ma sembra presagire un nuovo pericolo, una minaccia oscura, forse teme nuove e devastanti applicazioni bio-tecnologiche e ciò la porta a dire (come se volesse chiarire a se stessa un'impossibilità di integrazione sulla Terra e la necessità quindi di rimanere in uno stato di allerta combattiva) "Io qui sarò una straniera".

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 17/11/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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