Voto Visitatori: | 8,77 / 10 (105 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 8,00 / 10 | ||
E' vero: gli amici si scelgono, i parenti no e ancor meno i fratelli. La famiglia spesso nasconde al suo interno torti imperdonabili e oppressioni crudeli. Per questo, da sempre, la creatività di drammaturghi, romanzieri e registi si è ispirata alle sadiche dinamiche famigliari. Anche Henry Farrell scrive un racconto sul tema, da cui Aldrich trae l'omonimo film, "Whatever happened to Baby Jane?", un cult del genere.
Il regista ci narra il difficile rapporto delle anziane sorelle Hudson, indissolubilmente legate a filo doppio da rancori, invidie e sensi di colpa. Jane (Bette Davis) e Blanche (Joan Crawford), carnefice la prima, vittima la seconda (ma non sempre la verità è come appare), convivono rendendosi vicendevolmente l'esistenza un inferno, in un diuturno gioco sadomasochistico, fino al colpo di scena finale che rimescola le carte e rimette ogni cosa in discussione (compreso l'incipit della storia).
Già dai primi fotogrammi, infatti, si respira l'aria del thriller, grazie ad un breve, fondamentale flashback; poi immediatamente il regista ci cala nel melodramma della relazione parentale, fulcro della storia. Ne rimaniamo coinvolti fino all'apice della follia, quando rancori e segreti, a lungo trattenuti, si rivelano, liberandoci dalla tensione.
Il racconto scorre in un ambiente tetro e claustrofobico: una villa, anch'essa decadente, risaltata dalla splendida fotografia in bianco e nero; l'angoscia per il sinistro torpore che avvolge la casa ci spinge, fin dall'inizio, a tifare affinché Blanche riesca a liberarsi. Ma tutto si svolge all'interno dell'oscura dimora: solo qualche sporadica interruzione esterna o la saltuaria apparizione di personaggi secondari (la cameriera, la vicina, il giovane pianista) sembrano interrompere l'isolamento delle sorelle.
Sono loro al centro del dramma, accomunate da un destino beffardo e prigioniere di sentimenti contrastanti. Fin da bambine in competizione per ottenere fama e successo nel mondo dorato ma spietato di Hollywood, soccombono entrambe ad una serie di circostanze infauste, entrambe perdono la notorietà: Jane sprofonda lentamente nella follia; Blanche rimane paralizzata in seguito ad un equivoco incidente.
Aldrich dirige la storia con eccezionale bravura, senza risparmiarci momenti d'autentico sadismo. Costruisce le scene con abilità sorprendente e il montaggio sa dosare i momenti di suspence, elargendo tensione per l'intera durata del film (da brivido la sequenza del ratto nel piatto, pianificata con sublime maestria). E la paura di Blanche è per noi palpabile, quanto l'alienazione di Jane.
Con l'immagine di Jane, maschera di se stessa, Aldrich sfiora l'horror. La vecchia signora, vestita e pettinata come Shirly Temple, risulta patetica e insieme terrificante.
Spaventa per i crudeli eccessi e nel frattempo intenerisce per la fragilità sottesa, propria di chi rifiuta una realtà insostenibile, aggrappandosi con forza al suo passato glorioso. Sullo sfondo, una bambola (altro elemento horror), perfetto clone di Jane-bambina, cristallizza per sempre questo passato di piccola diva, per il quale Jane vive, lotta e uccide.
Bette Davis vinse l'Oscar come migliore attrice protagonista per questa sua straordinaria interpretazione, oscurando la non meno meritevole Joan Crawford, ugualmente magnifica nella parte ambigua della dolce e paziente Blanche. Le due attrici, realmente rivali, ci offrono un duello interpretativo eccezionale, sul quale il regista dirige il macabro gioco, realizzando in tal modo un must del trhiller, dal quale altri autori hanno sicuramente attinto (il vecchio volto di donna, pesantemente truccato, è ripreso da Argento per il suo "Profondo rosso", ad esempio).
A sua volta Aldrich nello studio psicologico dei personaggi si è sicuramente ispirato al grande Hitchcock. Come lui, concentra l'attenzione su poche figure, ma, ben caratterizzate in ogni loro sfaccettatura, sia palese, sia inconscia. Riesce inoltre ad acuire l'angoscia dello spettatore con punte di sadismo sopraffino e a divertirlo con altre di sottile ironia; lo sorprende, infine, con l'ultima scena sulla spiaggia, inopinata sintesi dell'intera storia. La tragedia si compie al momento della confessione di un lontano peccato, e la duplicità si svela.
In una sequenza memorabile riappare Baby Jane: la vediamo danzare felice per il suo pubblico.
L'interrogativo originario ha finalmente la sua macabra risposta.
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Recensione a cura di Pasionaria - aggiornata al 23/01/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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