Voto Visitatori: | 6,56 / 10 (8 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Che "Fermata d'autobus" sia una commedia assolutamente deliziosa è un dato di fatto, un classico del periodo d'oro hollywoodiano. Eppure oggi il suo valore sembra travalicare le regole che nel tempo hanno codificato un genere amatissimo, a causa della presenza di un'attrice mitica.
Inutile ribadire quanto Marilyn fosse sottovalutata all'epoca, la bambolona bionda senza cervello capace di esaurire i botteghini di tutto il mondo con le sue prorompenze, la quintessenza del femminino nell'immaginario maschilista, un prodotto di marketing confezionato ad hoc da smerciare per la gloria dello star system.
Fortunatamente oggi conosciamo anche la donna oltre all'oggetto sessuale e sappiamo, non di meno, quanto questa diva infelice e profondamente sola desiderasse ardentemente confrontarsi con un ruolo che potesse rappresentarla non solo come l'ingenua dalle curve mozzafiato.
Nel 1952 la parte drammatica che ricoprì nel film "La mia bocca brucia" di Roy Ward Baker passò tutto sommato inosservata, nonostante che lo straordinario lavoro di immedesimazione dell'attrice risulti, a distanza di anni, quanto meno profetico e toccante; neppure il celeberrimo giallo "Niagara" di Hathaway le permise di offrire grandi sfaccettature ad un ruolo di adultera fortemente stereotipato dalla sceneggiatura.
Tratto da una pièce teatrale di William Inge (futuro premio Oscar per la sceneggiatura di un capolavoro di Elia Kazan: "Splendore nell'erba") di grande successo a Broadway, il soggetto agrodolce di "Bus Stop" fu per Marilyn l'àncora di salvezza dal baratro monocorde dell'oca giuliva (maschera che tuttavia non incontrerà mai più interprete tanto superba), fino ad allora battuto con successo estremo in pellicole come "Gli uomini preferiscono le bionde" di Hawks o "Quando la moglie è in vacanza" di Wilder. Allo stesso tempo fu anche l'occasione per dimostrare il suo enorme talento al più vasto pubblico possibile.
Bo Decker, un giovane cowboy del Montana, parte con l'amico più anziano Virgil per il grande rodeo annuale di Phoenix, in Arizona. In città il ruspante giovanotto non riesce a nascondere una certa goffaggine nell'approccio con l'altro sesso, finché in un saloon incontra la cantante Chérie, della quale si innamora subito alla follia. La ragazza, fragile e bellissima, gradisce la timida corte di Bo e le gentilezze alle quali non è abituata, ma il rifiuto di una fulminea proposta di matrimonio scatenerà nel cowboy un corto circuito sentimentale che lo porterà ad adottare con Chérie gli stessi metodi utilizzati per domare il bestiame ribelle. E' cosi che la ragazza verrà trascinata di peso alla parata per il rodeo e, presa al lazo, messa sull'autobus che li condurrà in Montana. La sosta stradale alla locanda di Grace sarà chiaritrice per tutti.
Il film è una commedia di grande spirito che alterna sapientemente la simpatia alla tenerezza, la risata al dramma, senza lesinare qualche lacrima nel finale.
La contrapposizione cowboy ingenuo-entraîneuse sexy sviluppa interamente la storia, giocata in gran parte sulle doti interpretative di Marilyn e dell'esordiente Murray. Nonostante gli scontri che i due ebbero sul set (legati sempre all'insicurezza cronica di lei, che costringeva l'intera troupe a ritardi e ripensamenti) il loro affiatamento sullo schermo restò splendido, uno degli elementi più irrinunciabili della pellicola.
L'intensità dell'attrice venne unanimemente riconosciuta; una performance di razza, perfettamente bilanciata tra toni comici e sofferti, grazie anche ad un ruolo in cui la stessa Monroe si sentiva molto vicina: una povera montanara con velleità artistiche ("sto cercando di diventare qualcuno") alla ricerca di un amore incondizionato e sincero.
L'approccio sociologico del regista Joshua Logan è molto meno accentuato che nel precedente "Picnic", in cui forniva un impietoso ritratto dell'ipocrisia della provincia americana. In "Fermata d'autobus" ad essere messo alla berlina è soprattutto il machismo dell'uomo di campagna che si trova spaesato di fronte alle regole di vita della città. In questi termini è una satira piuttosto facile e bonaria che non prevale mai sull'obbiettivo esclusivamente spettacolare del film. Tuttavia lo stile del regista rimane ben visibile nella leggera impostazione teatrale e nella recitazione costantemente sovratono degli attori.
Tanti i momenti indimenticabili: dall'irruente risveglio di Chérie costretta da Bo a partecipare alla parata, fino alla sua presa al lazo alla stazione degli autobus; mentre è storia la sequenza in cui Marilyn entra in scena col suo completino velato e canta con voce afona e tremante "That old black magic" tra il chiasso dei clienti del locale; ed è magia lo sfogo d'amore finale in cui un filo di saliva le cade dalle labbra.
Una commedia spesso esilarante, toccante anche, sempre condotta con estremo gusto e intelligenza, perfettamente conservatasi, ancora bellissima.
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Recensione a cura di atticus - aggiornata al 21/01/2011 12.00.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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