Recensione il leone del deserto regia di Mustafa Akkad Libia, USA 1981
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Recensione il leone del deserto (1981)

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locandina del film IL LEONE DEL DESERTO

Immagine tratta dal film IL LEONE DEL DESERTO

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Siamo nell'anno 1929 e il dittatore fascista Benito Mussolini (interpretato come in altri film da Rod Steiger) deve contrastare la ventennale guerriglia libica dei beduini senussi che si battono per l'indipendenza.
La presenza italiana, nonostante gli impegni di sviluppo e di aiuti presi dal Duce, è ritenuta dai libici solo una colonizzazione forzata, orientata allo sfruttamento del popolo, dei minerali del territorio, della agricoltura e alla creazione, con le nazioni europee alleate, di un Impero d'Africa.

Dopo i precedenti fallimenti militari contro la guerriglia senussa da parte di quattro governatori italiani, Mussolini nomina governatore il generale Rodolfo Graziani (Oliver Reed), noto per la sua spietatezza e attaccamento al fascismo; l'alto ufficiale viene investito di una responsabilità senza precedenti. Al nuovo governatore, che avrà a disposizione molti più mezzi, è vietato fallire, pena una perdita di credibilità del fascismo nei confronti del proprio popolo.
Per Mussolini Graziani è l'uomo giusto, quello che quando perde non trova mai giustificazioni banali, che sa vincere senza proclami, un uomo privo di scrupoli, disposto a usare ogni mezzo per raggiunger l'obiettivo, ambizioso a tal punto da mettere in secondo piano il rispetto dei diritto umano.

L'obiettivo di Graziani è ristabilire l'ordine in Libia, assicurare tranquillità ai lavoratori italiani presenti; per far ciò il governatore deve annientare i guerriglieri senussi.
A differenza del suo predecessore ora Graziani può avvalersi di seimila nuovi soldati e numerosi mezzi militari corazzati usati per la prima volta in Libia nel caso che Omar-Mukthar (Antony Quinn), capo carismatico della rivolta senussa e insegnante di Corano nelle scuole libiche, rifiuti la proposta di del governo italiano di ritirarsi dalla guerriglia con un vitalizio di 50.000 lire. E' anche deciso a catturare vivo o morto Mukthar.

Come i suoi predecessori del 1911 il governatore libico provoca i guerriglieri con interventi inauditi verso i civili, del tutto disumani, fuori da ogni regola internazionale. La risposta di Mukhtar sarà durissima, ma sul campo di battaglia; il capo senusso distruggerà, con i suoi uomini più addestrati, numerosi mezzi blindati nel deserto e saccheggerà diversi depositi italiani di munizioni e mine situati nei punti di maggior conflitto.
I guerriglieri senussi possiedono solo armi leggere ma si avvalgono della straordinaria conoscenza del territorio e quando Graziani deciderà di stanare i ribelli marciando vero le colline di Kufra, i libici, con la loro capacità di mimetizzazione e forti degli gli esplosivi rubati agli italiani, procureranno a Graziani in alcune battaglie umilianti sconfitte.

Fino a quando i ribelli riusciranno a resistere e, se il capo Mukthar verrà preso, come verrà giudicato? Un rivoluzionario degno del riconoscimento delle armi, quindi non condannabile a morte, o un cittadino qualsiasi che ha trasgredito, con gli omicidi, alle leggi libiche stabilite dagli italiani?

Moustapha Akkad, di origine libica, gira un film (1980) con l'ambizione di svelare verità scomode su alcune importanti vicende della lunga rivolta libica contro l'esercito italiano in Libia. All'inizio del film il regista premette che il suo racconto è intessuto di fatti veri.
L'Italia aveva invaso la Libia nel 1911-1912 col pretesto delle violenze subite dai cittadini italiani in Cirenaica e Tripolitania e l'esercito italiano sconfiggerà dopo dure resistenze i Turchi, del tutto inferiori di mezzi ma capaci di infliggere dure perdite alle nostre truppe come nella famosa battaglia vinta dai Turchi, subito dopo l'occupazione italiana di Tripoli e Bengasi, in cui perirono quattrocento bersaglieri, fatto che mandò fuori di testa i nostri generali a tal punto da farli decidere per una spaventosa rappresaglia contro i civili libici, un fatto gravissimo che stupì e indignò attraverso la stampa tutto il mondo civile.

A supporto della sua ricostruzione storica dei fatti Moustapha Akkad alterna alle scene da lui girate in modo spettacolare documentari d'epoca in bianco e nero di varia origine, che testimoniano lo scrupolo conoscitivo e l'onestà del regista, come ad esempio le immagini dei campi di concentramento costruiti dagli italiani, costituiti da fitte tende sporche e reticolati ad ampio raggio dove venivano brutalmente relegate le popolazioni libiche più ostili agli italiani, o le scene documentario di impiccagione dei civili libici.
Nel film si intende bene come in quel periodo in Italia si osannava, con la pubblicità dei media asservita al capitalismo e al regime di Mussolini, l'impresa fascista in Libia come un atto di civilizzazione superiore utile si all'Italia ma anche all'economia libica, una sorta di missione imperiale necessaria per lo sviluppo generale di una nazione ritenuta non in grado di essere autonoma perché arretrata, di cultura ancora troppo animistica, con un'economia precaria basata su una agricoltura primitiva, una pastorizia povera, un artigianato poco inventivo e arcaico e un piccolo commercio falso e predatorio.

Nella pellicola il generale Graziani, mostrate le sue feroci intenzioni all'esercito, si trovò immediatamente in grande difficoltà con i suoi stessi ufficiali, quelli più sensibili al rispetto delle regole di guerra, ma non cedette mai di un passo al suo cinico disegno tattico e strategico; per mantenere l'ordine compì subito verso i civili delitti e scempi di ogni genere, lasciando intendere che nel futuro avrebbe lasciato ,nella storia internazionale delle guerre, una memoria di sé a dir poco catastrofica, sicuramente paragonabile a quella trasmessa dai responsabili dei peggiori misfatti compiuti dalle dittature nel mondo.

Il governo italiano non ha mai voluto che il film si vedesse in Italia, con la motivazione ufficiale che nel racconto filmico veniva data, attraverso numerose scene negative-estreme, un'immagine dell'esercito italiano dell'epoca non vera e offensiva; la verità è che ancora oggi nel nostro paese ci sono diverse resistenze da parte di alcune componenti politiche a prendere in considerazione ciò che è successo in quegli anni e a divulgarlo criticamente.
I numerosi documentari girati all'epoca testimoniano meglio di alcuni storici e intellettuali politicizzati di oggi quanto è accaduto in Libia, lasciando facilmente immaginare cause, conseguenze e responsabilità di certi atti criminosi, fotografati e filmati con cura da chi sapeva che potevano servire da prove di crimini di guerra.
Su quei fatti è mancato però un processo internazionale, una Norimberga del Mediterraneo, forse per la posizione internazionale e culturale della Libia, sempre emarginata e chiusa in se stessa.
Nessuno ha pagato per quei misfatti e oggi Gheddafi sembra essersi accontentato dei cinque miliardi di euro concessi dal nostro governo per i danni della guerra.

Oggi la censura italiana su questo film non si è allentata, continua a non essere distribuito perché ritenuto imbarazzante, sfavorevole cioè a quei politici che, sostenuti da forze elettorali poco critiche verso l'immagine e considerate quindi povere di spirito elaborativo, si pensa possano essere facilmente strumentalizzabili.
Certamente alcune scene del film, presunte vere dal regista, sono in realtà ampiamente discutibili, come i numerosi atti di vigliaccheria del nostro esercito, l'efferatezza delle camicie nere della milizia da una parte e l'umanità dei componenti dell'esercito regolare dall'altra, il coraggio degli uni e la paura degli alti, le stupidità tattiche di Graziani e le genialità logistiche di Mukthar.
Tutto lascia pensare che il regista, per quanto riguarda la descrizione dei profili psicologici e culturali dei nostri personaggi, abbia volutamente calcato la mano; essi infatti appaiono troppo negativi per essere veri, troppo spaccati con l'accetta per essere credibili, forse Akkad e i produttori libici della pellicola hanno voluto fare loro il processo all'Italia, quel processo a cui la Libia, raggiunta l'indipendenza, aveva diritto e che ormai non si farà più.

Akkad lascia comunque nella storia del cinema un film documento di grande impatto etico in grado di far riflettere e vergognare nello stesso tempo tutta una generazione ancora in vita sui fanatismi ideologici dei loro padri.

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Recensione a cura di Giordano Biagio - aggiornata al 11/01/2011 15.53.00

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