Recensione il nascondiglio regia di Pupi Avati Italia 2007
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Recensione il nascondiglio (2007)

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locandina del film IL NASCONDIGLIO

Immagine tratta dal film IL NASCONDIGLIO

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Immagine tratta dal film IL NASCONDIGLIO

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"Ricordate che molte cose possono accadere in una notte!"

Pupi Avati (Giuseppe Avati, all'anagrafe) è indubbiamente uno dei più prolifici ed interessanti autori del cinema italiano, a volte sopravvalutato, ma molte altre sottovalutato. Si tratta di un regista che lavora con mestiere e con passione; uno dei pochi capace di coniugare la propria prolificità con una qualità sempre medio alta dei propri film.
Era il 1996 quando Pupi Avati diresse "L'Arcano Incantatore", una fola esoterica delle nostre campagne (come era definita nei titoli di testa) o una fiaba gotica, come sembra il caso di definirla in questa sede. Da allora il regista emiliano ha diretto altri nove film, prima di decidersi a ritornare al genere cinematografico, quello dei suoi esordi, che sempre lo ha appassionato ed interessato.
"Il Nascondiglio" è appunto la decima regia di Avati dopo "L'Arcano Incantatore", ma più che un vero e proprio ritorno alle origini appare essere la Summa dell'esperienza di questo regista, includendo anche la sua lunga attività di sceneggiatore, nel genere del gotico. Eh sì, perché a discapito di quanto affermato da certa parte della critica "Il Nascondiglio" non è un horror, ma al massimo un thriller con venature gotiche. Pupi Avati, infatti, ha così dichiarato in una recente intervista:

"Questo film è riconducibile a un genere cinematografico molto preciso, che ho già frequentato in passato almeno tre o quattro volte e il genere è il genere gotico, racconto nero, cioè il racconto finalizzato essenzialmente a spaventare".

Senza ora perderci troppo nella distinzione fra il genere gotico e quello horror, in questa sede ci limiteremo a spiegare che il rapporto che lega questi generi è quello di genus e species, ossia il genere gotico è quello che racchiude al suo interno vari altri generi, fra cui per esempio il thriller, l'horror, il noir, il giallo, l'hard boiled. Il gotico segue delle regole precise così come le seguono i suoi sottogeneri. Quando un sottogenere, come ad esempio il thriller, ritorna anche a seguire le regole generali del gotico, allora si parlerà di un Thriller Gotico o con venature e con suggestioni gotiche.

In molti hanno accostato la nuova pellicola di Avati a film come "La Casa dalle Finestre che Ridono" (1976) e come "Zeder" (1983). In questa sede ci si allontana abbastanza da questa visione, che si reputa essere riduttiva e finalizzata a rievocare solo due dei film più celebri del regista emiliano.
"Il Nascondiglio" segue piuttosto la scia di film come "Dove Comincia la Notte" (1991) e "La Stanza Accanto" (1994), entrambi scritti ma non diretti da Avati, senza dimenticarci però de "L'Amico d'Infanzia" (1994) e della miniserie televisiva intitolata "Voci Notturne" (1995). E non solo! Esso richiama anche molti film americani, cui rende omaggio, come alcune pellicole dirette da Robert Wise e da Robert Aldrich fra cui "Piano.. piano, dolce Carlotta" (1965).

Andiamo dunque ad analizzare questa pellicola e a spiegare perché si reputa che più che un ritorno alle origini "Il Nascondiglio" consista in una Summa dell'esperienza narrativa acquisita da Avati nel corso della propria carriera.

Pupi Avati ritorna nel MidWest americano (la medesima regione in cui ha ambientato "L'Amico d'Infanzia" e "La Stanza Accanto") e in particolare nella città di Davenport nell'Iowa (dove era ambientato "Dove Comincia la Notte").
Il teatro della vicenda è una villa ubicata in cima ad una collina poco fuori Davenport e che porta il nome di Snakes Hall. Come in un qualsiasi racconto gotico che si rispetti, questo tetro maniero ha una storia. Fatta costruire agli inizi del novecento da un medico divenuto ricco grazie alla scoperta delle proprietà analgesiche del veleno di alcune specie di serpenti, Snakes Hall non solo rende omaggio ai rettili col proprio nome, con i suoi fregi ornamentali e con i suoi stucchi, ma anche con la propria struttura concepita per ricreare al suo interno un clima ideale per i rettili. Dopo alcuni anni la villa fu trasformata in un gerotrofio affidato ad alcune suore. Ed è qui che la storia prende inizio. È la sera del 22 dicembre 1957 e Snakes Hall rischia di essere isolata a causa di una tormenta di neve. Il regista ci presenta i personaggi che abitano al suo interno e lascia intuire che durante quella lunga notte d'inverno accadrà, o meglio accadde qualcosa di terribile.
La vicenda si sposta poi al 2007 e ci racconta di una donna italiana (Laura Morante), il cui nome non sarà mai pronunciato durante tutto il film e che nella sceneggiatura era semplicemente indicato con la parola "She" (Lei), che dopo essere stata dimessa da un ospedale psichiatrico, dove era stata ricoverata quindici anni prima in seguito alla morte del marito, ritorna a Davenport, nel cui cimitero è sepolto il defunto marito, per aprire un ristorante di cucina italiana. Consigliata dall'agente immobiliare Mueller (Burt Young), Lei prende in affitto una porzione di Snakes Hall, ma con la garanzia che il resto del maniero è disabitato. Appena insediatasi, Lei comincia a sentire strani rumori e strane voci, la medesima patologia mentale da cui era affetta e da cui gli psichiatri le garantiscono però essere guarita. La vedova si convince che in casa con lei c'è qualcuno e comincia ad indagare sulla storia di Snakes Hall e di quello che accadde durante l'inverno del 1957. Intorno a lei si dipanerà un parnaso di strani personaggi, alcuni ostili, altri apparentemente amichevoli che la ostacoleranno o che l'aiuteranno nella propria ricerca della verità.

Una storia che si presenta come un cumulo di cliché noti, conosciuti ed inflazionati. E non giova particolarmente il fatto che Pupi Avati abbia reso noto nel proprio libro omonimo da cui ha poi tratto il film, di essersi ispirato a fatti realmente accaduti, poiché questo non serve a fornire originalità ad una storia che ne è di per sé priva.
Con una tale premessa, direte voi, che cosa ci si potrà mai aspettare da un film simile? In realtà molto!
Infatti la prevedibilità, vera o presunta, così come la non originalità del plot narrativo non sono difetti da imputare alla struttura complessiva di questa nuova opera di Pupi Avati.
Lo spettatore noterà come il regista in verità non gli riservi sorprese sconvolgenti, né enigmi difficili da risolvere. La sua regia svela ogni cosa la momento giusto. Si prenda ad esempio in considerazione il mistero che aleggia intorno all'arma del delitto utilizzata durante la terribile notte di quel funesto 22 dicembre 1957: ad Avati è sufficiente una sola inquadratura per rivelare, senza dirlo chiaramente, quale sia stata l'arma utilizzata, anche se i flash back relativi alla plausibile ricostruzione del delitto saranno mostrati assai più avanti. E allora, direte voi, perché un maestro del cinema come Pupi Avati dovrebbe rivelare un mistero come questo con quella inquadratura? Si è forse sbagliato?
Si invita a questo punto i lettori a provare ad osservare il film in un'ottica differente.
"Il Nascondiglio" è un racconto gotico e non un giallo in cui si cerca di scoprire l'identità dell'assassino attraverso gli indizi più o meno nascosti, che vengono disseminati qua e là. Come ha dichiarato lo stesso Avati nella sopraccitata intervista, il fine ultimo di una storia gotica è quello di spaventare, ma anche quello di trasmettere emozioni forti come la disperazione, il dolore, la rabbia, le paure più remote. Appare evidente che è proprio questo il taglio che Avati ha voluto dare, riuscendoci pienamente, alla propria regia. Il gioco nel quale egli trascina lo spettatore non consiste nell'indovinare quale sia stata l'arma utilizzata per un delitto così efferato. Il suo gioco consiste nel suggerirlo e nel lasciare immaginare quell'arma all'opera.
Pupi Avati, grazie anche all'eccellente lavoro dei suoi sodali direttori della fotografia Pasquale Rachini e Cesare Bastelli, è riuscito a costruire un'atmosfera cupa, malsana, violenta, claustrofobica, paranoica, in continua oscillazione fra la lucidità e la follia, un confine sottile ed affilato come la lama di un rasoio su cui si trova a camminare la sua protagonista e, insieme con lei, anche lo spettatore.
Per costruire questo clima Avati non si è fatto mancare niente. Ha scelto un maniero cupo, scuro e tenebroso, inquietante al suo esterno e ancora più inquietante al suo interno. Un luogo che miscela sapientemente l'austerità ed il rigore di una Dimora Vittoriana con il gusto del Gotico (questa volta architettonico e non narrativo) con quello del Barocco e con quello del Rococò. Si pensi alle guglie esterne, alla torre, alle finestre ed agli stucchi di Snakes Hall, contrapposte ai colori scuri ed austeri dei legni interni. Si noti il contrasto fra il gusto vagamente Neoclassico dell'ingresso, col suo pavimento di assi di legno scuro, e il Gotico delle scale, delle balaustre e della sala da pranzo, fra l'Art Nouveau delle vetrate e della carta da parati e il modernariato della cucina. Si pensi ai mobili ed alle suppellettili in stile Rococò, alle sedie in stile Chippendale e alla sinuosità delle linee curve, come quella delle scale interne, quella dei fregi ornamentali e quella delle grate di aerazione (linee necessariamente curve, dato che nella stragran maggioranza dei casi esse rappresentano serpenti). Si noti anche il perfetto contrasto fra la Snakes Hall ed il secondo locale, luminoso, semplice, spoglio e moderno, che Muller fa visitare alla vedova.
Avati, dopo essersi affidato alla ricerca accurata del teatro dell'azione, imposta la propria regia sulla focalizzazione di una serie di elementi e di particolari tutti destinati a creare quell'atmosfera malata in cui proiettare i personaggi e il pubblico. Egli si concentra su un uovo di legno che rotola per le scale, che compare e che scompare; su voci querule ed infantili, sinistre e disturbanti; su scricchiolii, su cali di corrente con conseguente sfrigolio di scintille e su inspiegabili scosse telluriche (?) che scuotono la casa fin dalle fondamenta; su topi chiusi in gabbia; su ammassi di vecchi utensili e di vecchi mobili accatastati nelle zone più abbandonate della dimora. Senza naturalmente dimenticarsi della (poco) misteriosa presenza che striscia nei cunicoli della dimora trascinandosi dietro un sacco altrettanto (poco) misterioso.
Per accrescere il senso di claustrofobia c'è anche una quasi totale assenza di tecnologia: telefoni vecchi di oltre cinquant'anni; nessun telefono cellulare; nessuna fonte di luce nitida, chiara, che non lasci angoli bui.
Per quanto concerne invece la ricostruzione del mondo esterno alla villa, Avati disegna una provincia americana fatta di scontri fra poteri forti, di emarginazione del debole, di pressione fisica e mentale. In realtà e contrariamente a quanto altri hanno affermato, non si viene qui a ricreare quel clima di omertà così ben descritto ne "La casa dalle Finestre che Ridono". La comunità di Davenport non protegge un segreto, né protegge degli assassini. Essa desidera piuttosto dimenticare un passato oscuro e doloroso; essa desidera dimenticare un mistero che non è mai stato chiarito e che per questa sola ragione ancora fa paura. I personaggi che aiutano Lei in realtà sono assai più numerosi di quelli (che si potrebbero ridurre ad uno solo e assai ben motivato) che la osteggiano.
L'atteggiamento complessivo della comunità di Davenport è piuttosto quello che viene così ben descritto nei racconti di Poe, di Lovecraft, di King: diffidenza e paura verso una dimora forse infestata dai fantasmi e la conseguente ostilità nei confronti di chi vi si avvicina o di chi la abita. Andare ad indagare e a scavare su avvenimenti accaduti cinquant'anni prima è l'equivalente di andare ad evocare e a scatenare gli spettri del passato.

"Il Nascondiglio" è un film di atmosfera. È stato costruito con massima cura e in alcuni casi riesce a spaventare, mentre in altri riesce davvero a lasciare nello spettatore un senso di profonda inquietudine.
La regia di Avati è straordinariamente asciutta, energica, compatta, precisa come un bisturi. Essa garantisce un ritmo narrativo serrato, fluido e coinvolgente per quasi l'interezza del film.
La continua alternanza fra inquadrature dall'alto e campi medi ripresi dal basso (il pavimento della villa è quasi sempre inquadrato) conducono lo spettatore al fianco della protagonista. Le numerose soggettive, da quella incentrata sulla statuetta dei due sposini fino a quelle che ci trascinano nella profondità dei cunicoli labirintici che si celano fra le mura di Snakes Hall, sono magnifiche ed estremamente funzionali. Esse fanno sì che lo spettatore guardi attraverso gli occhi di Lei.
Il tutto è valorizzato da un sapiente gioco di luci, che alterna abilmente le zone luminose e quelle d'ombra, e da un impatto cromatico visivamente curato.
Se ci dovessimo limitare ad un'analisi tecnica, "Il Nascondiglio" sarebbe sicuramente un capolavoro proprio grazie alle atmosfere che Pupi Avati è riuscito a creare. Si aggiunga anche che gli attori sono tutti perfettamente in parte. Ottima Laura Morante, nonostante qualche nota isterica di troppo. Eccellenti i comprimari a partire da Burt Young, sempre presente nei film horror italiani girati negli Stati Uniti (si pensi a "Amytiville Possession" di Damiani), alla brava e carismatica Rita Tushingham, al piacevole Treat Williams, alla rediviva Yvonne Sciò. Gradevoli anche le partecipazioni cameo di Giovanni Lombardo Radice, di Sydne (Sidney per molti italiani) Rome.
Buone le musiche composte da Riz Ortolani ed ottima la scenografia di Giugliano Pannuti.

Quello che convince meno in questo film sono alcuni sviluppi della storia ed alcuni impasse narrativi su cui non sembra possibile sorvolare più di tanto.
Benché la parte che segue non contenga vere e proprie rivelazione, si suggerisce comunque di leggerla solo dopo aver visto il film.

Innanzitutto è assolutamente inverosimile ed improbabile tutta la storia che ruota intorno al personaggio interpretato da Laura Morante. Siamo davvero sicuri che una banca elargirebbe un cospicuo prestito a qualcuno, straniero per giunta, che è stato internato per quindici anni in una clinica psichiatrica? E siamo altrettanto sicuri che l'autorità competente rilascerebbe a detta persona una licenza per un'attività di somministrazione di cibo al pubblico? E perché Lei con tutto quello che accade si ostina a restare a Snakes Hall?
Senza rispondere agli interrogativi, possiamo anche trascurare l'inverosimiglianza di questi elementi, reputandoli strumenti narrativi necessari (anche se la vedova poteva disporre per esempio di un lauto patrimonio lasciatole dal marito, evitando così l'impasse relativo alla banca). Questi elementi poi, contribuiscono a creare un clima di irrealtà della vicenda, che non necessariamente deve essere visto come un elemento negativo.
Quello che convince un po' meno e che non coinvolge è l'ambiguità con cui la storia è stata portata avanti. Infatti Pupi Avati ha diretto due finali differenti e, come si è già detto in precedenti occasioni, questo implicherebbe girare due film differenti, altrimenti si rischia di essere assai disonesti nei confronti dello spettatore oltre che nei confronti della storia narrata. Se si osservano attentamente le fotografie del film esposte nelle sale cinematografiche, nonché la stessa locandina, si noteranno delle scene che invece nella pellicola non ci sono (proprio perché appartenenti a quel finale alternativo).
Questa scelta è stata probabilmente motivata dal voler mantenere un dubbio nello spettatore: quello che stiamo vedendo, accade davvero o è solo frutto della mente, non ancora davvero guarita, della protagonista? In questo non ci sarebbe niente di male, se per arrivarci il regista e sceneggiatore non fosse incappato in un'altra serie di piccole forzature sgradevoli e in un ritmo frettoloso con conseguente perdita di pathos. Si pensi a tutto ciò che concerne la bara del marito di Lei fino alla frase paradossale in cui si dice che è stata trovata "una bara con dentro un cadavere in putrefazione" (dopo quindici anni?). E si consideri anche che la suddetta ambiguità intorno alla sanità mentale, al ruolo e alle sorti della nostra protagonista nell'intera vicenda si manifesta in certa misura piuttosto disonesta e in contrasto con se stessa.
A questo si aggiunga, ed è una delle cose più gravi, che tutti i personaggi secondari sono trattati in modo assai superficiale e il loro profilo spesso e delineato molto male. In particolare piace assai poco il modo in cui è sviluppato il personaggio dell'avvocato Ella Murray (Yvonne Sciò). Si pensi alle circostanze in cui conosce Lei, al momento in cui decide di aiutarla e al fatto che trascini con sé il figlio proprio a Snakes Hall.
Trascuriamo poi alcuni piccolissimi errori come ad esempio una donna morta che strizza percettibilmente le palpebre.
La conseguenza di quanto sopra esposto consiste nella perdita di partecipazione da parte del pubblico.
Il finale del film è molto buono, ma la sequenza di avvenimenti che lo precedono, come accennato, è frettolosa ed appesantita da un montaggio eccessivamente frammentato. Se la pellicola avesse mantenuto quella compattezza e quella sapiente unità narrativa di cui abbiamo detto, avrebbe potuto essere un prodotto quasi perfetto.
Per essere più chiari potremmo dividere il film in due parti.
La prima è quella che riguarda tutti gli avvenimenti che accadono all'interno di Snakes Hall. Questa è perfetta!
La seconda riguarda invece tutti gli accadimenti esterni a Snakes Hall. Questa parte è a tratti noiosa, a tratti gratuita ed inutile, a tratti nociva all'atmosfera malata così sapientemente creata nell'altra parte. Essa inoltre giostra tutta intorno a personaggi piatti e superficiali.
Possiamo dunque affermare che Pupi Avati ha diretto un film dalle atmosfere perfette, suggestive ed inquietanti. Egli riesce a spaventare senza ricorrere a scene truculente e sovraccariche di effetti speciali. Lo script, invece, avrebbe potuto essere curato assai meglio.

Sotto un profilo contenutistico "Il Nascondiglio" si dimostra piuttosto interessante. Benché esso sia quasi privo di contenuti metaforici reconditi o particolarmente profondi, ne presenta alcuni assai efficaci.
È bello il paragone fra i serpenti e gli spettri malvagi del passato che strisciano fra gli interstizi delle pareti della casa. La casa che è il rifugio dell'essere umano, la sua protezione, la sua certezza, è minata da queste presenze malvagie che però potrebbero essere semplicemente la proiezione delle paure interiori o il disperato tentativo di espiare e di esorcizzare le proprie colpe del passato.
Altrettanto affascinante è il dualismo del concetto di intruso. Chi invade il territorio di chi? È anche interessante la costante con cui Avati tratta il male. Anche qui abbiamo una specie di triade demoniaca composta da due donne e un uomo, che uccidono per interesse ma anche per pura eccitazione, proprio come ne "La Casa dalle Finestre che Ridono" e come ne "L'Arcano Incantatore".
E ancora affascina il fatto che, stando alla costruzione originale della storia, la presenza che alberga i cunicoli di Snakes Hall è là per rifugiarsi, per nascondersi (come suggerisce il titolo) dal mondo esterno, di cui ha paura perché teme di dover pagare per i propri misfatti. Ma al contempo è il mondo esterno che ha paura di ciò che si nasconde in quei cunicoli, perché esso è memoria, a sua volta, dei misfatti che hanno sempre insidiato questo mondo esterno e che in esso hanno sempre strisciato sinuosamente proprio come pericolosissimi serpenti.
Si consideri infatti la frase di chiusura pronunciata con quella canonica voce querula da Liuba (Angela Pagano):

"Eppure sono loro ad avere paura di noi".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 21/11/2007

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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