Recensione la casa (2013) regia di Fede Alvarez USA 2013
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Recensione la casa (2013)

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locandina del film LA CASA (2013)

Immagine tratta dal film LA CASA (2013)

Immagine tratta dal film LA CASA (2013)

Immagine tratta dal film LA CASA (2013)

Immagine tratta dal film LA CASA (2013)

Immagine tratta dal film LA CASA (2013)
 

"Andrà tutto bene!"
Shiloh Fernandez

"Certo, come no!"
Carlo Baldacci Carli

Una ragazza è catturata e trascinata in una cantina dove è arsa viva dal proprio padre a capo di un gruppo di suoi fedeli. Quando le fiamme avvolgono il corpo della ragazza, ella rivela la propria reale natura. È un demone che giura di vendicarsi divorando l'anima dei suoi giustizieri.
Dopo questo prologo, un gruppo di ragazzi si reca in uno chalet fra i boschi che appartiene ai fratelli David (Shiloh Fernandez) e Mia (Jane Levy). Lo scopo della riunione in un posto isolato, non è la gita del fine settimana, ma l'intento di aiutare Mia a disintossicarsi dalla droga di cui fa uso. Per questa ragione nel gruppo è presente anche Olivia(Jessica Lucas) che, oltre essere loro amica, è anche un'infermiera.
Purtroppo però, al loro arrivo in loco i ragazzi scoprono che la porta dello chalet è stata forzata e che qualcuno ha tappezzato la loro cantina con gatti morti appesi con del filo spinato. Chiuso in un sacchetto dell'immondizia e avvolto nel filo spinato, trovano un oggetto misterioso insieme a un fucile a canne mozze e una scatola di cartucce. Nell'intimo della propria stanza Eric (Lou Taylor Pucci), l'intellettuale del gruppo, libera dal filo spinato il misterioso oggetto. Si tratta di un libro rilegato in pelle umana e contenete rituali demoniaci. Ignorando i numerosi avvertimenti scritti a mano e in lingua inglese sulle pagine del libro, Eric scopre delle formule che erano state parzialmente cancellate, le riporta alla luce e le pronuncia a voce alta, aprendo così un portale dimensionale che consente a dei demoni di ritornare sulla terra, impossessandosi, uno ad uno, dei ragazzi che occupano il cottage.

Remake non-remake del film "The Evil Dead" di Sam Raimi, questo nuovo "La Casa" è stato pubblicizzato come il film più spaventoso della storia del cinema. Se lo spavento deve discendere dal raccapriccio che uno spettatore appena smaliziato può provare vedendo violare sistematicamente tutte le regole della grammatica cinematografica, allora gli spot hanno colto nel segno, ma se si avesse voluto alludere alla tensione, alla paura e al groviglio di ansia e inquietudine che un film come l'originale diretto da Sam Raimi aveva saputo suscitare, allora si sono assolutamente sbagliati.
Ma procediamo per gradi.
"La Casa"("Evil Dead", 2013) è un film diretto da Fede Alvarez e scritto dallo stesso Alvarez insieme con Rodo Sayagues dal soggetto originale di Sam Raimi "The Evil Dead"(1981). Durante la fase di preproduzione del film era stata accreditata fra gli sceneggiatori anche la famigerata Diablo Cody, che attualmente non risulta presente nei Film Credits. Secondo alcune fonti la Cody si sarebbe limitata a "ripulire e ad americanizzare la pellicola" senza però voler risultare ufficialmente. Dato il risultato finale non meraviglia affatto che Diablo Cody, sempre che abbia davvero collaborato alla stesura o alla correzione di questo scempio, non abbia desiderato figurare neppure nel ruolo di Script Doctor, anche perché con una sceneggiatura simile c'era davvero poco da curare. La sceneggiatura stessa era già ab origine un morto davvero malvagio. Adesso spieghiamone il perché.
L'impianto narrativo in realtà è identico a quello originario del film scritto da Raimi: cinque ragazzi chiusi in uno chalet fra i boschi in balia di forze demoniache. Anche gli elementi di contorno sono gli stessi: Il Libro dei Morti che scatena le forze demoniache, la cantina, la botola eccetera.
Questi erano tutti elementi collaudati ed efficaci, quindi, come avevano funzionato egregiamente nella versione originale della pellicola, avrebbero presumibilmente dovuto funzionare altrettanto bene in questo remake. Purtroppo però così non è stato a causa dell'intervento di molteplici fattori. Il primo fattore che ha scardinato la solidità dell'opera è appunto la sceneggiatura scritta da Alvarez e Sayagues. Essa, purtroppo, non si limita a mutuare gli elementi principali della sceneggiatura originale, modernizzandoli. I due autori uruguayani hanno voluto aggiungere elementi e sottrarne altri, minando così un equilibrio che in origine era già perfetto. Questa operazione non sarebbe di per sé biasimevole se a realizzare i cambiamenti fossero state mani esperte, ma invece i due autori, qui alle prese con il loro primo lungometraggio, dimostrano tutta la loro mancanza di esperienza e la loro faciloneria. Quest'ultima poi non è stata corretta dalle sapienti mani dei produttori, fra cui lo stesso Sam Raimi e Bruce Campbell, per la semplice ragione che essi sapevano che si sarebbe trattato di un'operazione commerciale assolutamente vincente e forse anche perché, ma qui siamo nel campo delle illazioni più maliziose, ci tenevano che anche a distanza di trentacinque anni il loro primo film, realizzato in ristrettezze economiche assolutamente stringenti e con una pochezza di mezzi che farebbe rabbrividire buona parte dei registi odierni, risultasse migliore di un moderno horror realizzato con un budget di circa venti milioni di dollari (mal spesi, ma ben investiti visto il successo di botteghino).

Da questo momento in poi si sconsiglia la lettura di quanto segue a chi ancora non avesse visionato questa perdibilissima pellicola.

"Evil Dead" si apre con un prologo non presente in "The Evil Dead".
Questo è il primo strafalcione narrativo dei due nuovi sceneggiatori. Questo prologo innanzitutto anticipa già allo spettatore i punti cardine dell'intreccio e dello sviluppo narrativo, sottraendo fin dal principio quella tensione e quella paura che nascono quando ci si trova di fronte a una vicenda dai risvolti inaspettati.
Si tratta di un escamotage narrativo collaudato, ma solo a determinate condizioni che qui vengono a mancare. La prima, fondamentale e irrinunciabile di queste condizioni è che il prologo deve avere degli sviluppi narrativi durante lo svolgimento del film e trovare il proprio coronamento nel suo epilogo. Così non è. Il prologo di Alvarez e Sayagues è un surplus narrativo che non avrà nessun risvolto essenziale nello svolgimento del film. Se esso fosse tagliato e il film incominciasse come l'originale con i cinque ragazzi in macchina che si recano al cottage nel bosco, sarebbe la stessa identica cosa. Anzi sarebbe stato meglio, perché così lo spettatore si sarebbe trovato di fronte a una vicenda meno prevedibile e più allucinatoria.
Un prologo inutile, quindi, che in una qualsiasi sceneggiatura che si rispetti sarebbe stato tagliato.
Ma le sorprese del fantastico duo Alvarez e Sayagues non si riducono a questo. All'inizio del film, infatti, cercano di darsi un tono e di elevare in qualche mondo la loro opera. Questa volta non ci troviamo di fronte al solito gruppetto di adolescenti vacanzieri, ma a un gruppo di amici che si riuniscono in un luogo isolato per aiutare Mia a disintossicarsi. Non è la prima volta che la ragazza ci prova e quindi gli amici sanno a quali difficoltà andranno incontro. L'intento degli sceneggiatori è lodevole, ma di buone intenzioni sono lastricate le strade dell'inferno. Veniamo dunque al primo intoppo che questa scelta narrativa comporta. I ragazzi arrivano allo chalet, scoprono che la porta e stata forzata e che nello scantinato è stato celebrato un qualche rito demoniaco, che un palo è stato bruciato, che c'è del sangue sulla botola e che qualcuno ha riempito la cantina con gatti ammazzati e appesi al soffitto il cui odore nauseabondo ha invaso la casa. La probabilità che chi ha compiuto questa effrazione sia ancora in zona e sia pericoloso è concreta. Questo avrebbe dovuto essere già un elemento sufficiente per richiudere tutto e andarsene, dato che lo scopo della loro permanenza è aiutare appunto Mia a disintossicarsi. Altrettanto dicasi per il momento in cui Mia scongiura i presenti di portarla via e la sua richiesta è puntualmente negata. In una situazione normale, se uno dei vacanzieri avesse reagito così, gli si sarebbe potuto rispondere che non aveva il diritto di rovinare a tutti quanti il week-end per i suoi capricci, ma il contesto voluto dagli sceneggiatori è differente e per questo addirittura più stupido e meno credibile rispetto a quello che avesse visto cinque adolescenti il cui uno scopo fosse stato sesso e spinelli. Mia non sta facendo i capricci, anche senza l'intervento di forze soprannaturali appare come una persona che sta reagendo malissimo a una crisi di astinenza e, per questo, occorre una struttura e qualcosa di più consistente delle punturine dell'infermiera Olivia.
Ancora più ridicola e forzata è la scena in cui Eric apre il libro dei morti e ne pronuncia, senza alcun motivo, alcune formule ad alta voce dopo averle riportate alla luce con l'ausilio di un lapis.

A questo punto facciamo un passo indietro e andiamo a ripescare la sceneggiatura scritta da Raimi. In essa tutto era al suo posto. Il cottage era stato preso in affitto. Non c'era stata nessuna effrazione. Nella cantina i ragazzi non trovano niente di così demoniaco se non uno strano libro, un pugnale rituale, che potrebbe essere tranquillamente un oggetto di antiquariato, e un mangianastri.
Non sono i ragazzi a leggere come dei beoti le formule del Libro dei Morti, ma queste sono incise sul nastro del registratore. Il tutto è perfettamente credibile e perfettamente consono al profilo tracciato dei cinque vacanzieri. L'evolversi degli eventi è consequenziale e verisimile. I personaggi sono assai più reali, credibili e genuini. La scrittura è perfetta.

Ma torniamo alla sceneggiatura di "Evil Dead". Probabilmente per Alvarez e Sayagues il tema del sonno dei morti che viene turbato, scatenando la loro furia demoniaca nel mondo dei vivi era una tematica troppo classica, quindi hanno ben pensato di modificarla, introducendo nel Libro dei Morti un misterioso rituale che prevede il sacrificio di cinque anime per consentire a un'entità non meglio definita se non come "abominio" di risorgere dall'Inferno e scatenare la propria furia sulla Terra. Certo che qui siamo davvero a una modificazione narrativa che introduce un tocco di originalità alla pellicola! Così originale che l'abbiamo anche vista recentemente anche se in termini inversi (le cinque anime sacrificate servono a placare la furia dei Grandi Antichi) nel film "The Cabin in the Woods"(2011) di Drew Goddardun. Film che omaggiava il genere horror attraverso una vastissima serie di citazioni a trecentosessanta gradi di tutti i film di genere. Tuttavia, fra i tanti, il film che era più citato era appunto "The Evil Dead" di Sam Raimi. Alvarez e Sayagues sono riusciti a copiare (il termine citare in questo caso è fuori luogo) uno dei film creati in omaggio di quella pellicola di cui loro stavano scrivendo il remake. A qualcuno potrà apparire un espediente arguto, ma a chi scrive appare ridicolo. Inoltre, anche a causa di un improbabile espediente narrativo introdotto solo per allungare un brodo già di per sé insipido, i conti delle anime sacrificate non tornano. Alvarez e Sayagues hanno voluto aggiungere la resurrezione di Mia, elemento già di per sé discutibile e improprio sotto il profilo narrativo. Se Mia risorge dalla morte, ha ancora la propria anima. Gli sceneggiatori hanno fatto tanto per dire che l'abominio mangia le anime, è un ladro di anime, ha bisogno di anime eccetera, quindi facendo risorgere il primo personaggio posseduto, ucciso, purificato e tutto quel che si vuole, essi hanno sottratto un'anima, non una vita, al conteggio finale. Da questo discende il fatto che la pioggia di sangue e la risurrezione dell'abominio non avrebbero dovuto avere luogo. Ma tanto siamo in un film dell'orrore e la coerenza narrativa è un optional.
Anche se non si presentasse attenzione a questa incoerenza narrativa, la risurrezione di Mia è un espediente abusato, forzato, narrativamente decontestualizzato e sostanzialmente appiccicato a un film che fino a quel momento aveva ricevuto ben altra impostazione. Inoltre, la resurrezione di Mia inficia anche la sola chiave di lettura allegorica che avrebbe potuto essere presente dato la volontà degli sceneggiatori di dipingere il suo personaggio come una tossicodipendente che cerca guarigione. In tale ottica, la lotta di Mia contro i Demoni avrebbe potuto simbolizzare la sua lotta contro la droga. Ma la sua morte e successiva risurrezione posticcia, fanno cadere miseramente il tutto (già di per sé poco originale) come un castello di carte al vento.

Un altro difetto fondamentale della sceneggiatura, che poi sarà drammaticamente aggravato dalla regia, è la disomogeneità.
Un sceneggiatura per definizione deve essere un'articolazione strutturale solida sulle cui basi si costruisce un film. Qui invece le scene sono disomogenee, senza nessuno studio delle valenze e dei tempi cinematografici. Sostanzialmente si riducono a un collage di scene appiccicate sotto uno stesso titolo, ma assolutamente indipendenti e a sé stanti: sostanzialmente inutili. Più e più volte abbiamo visto come la prima scena di un film, così come la prima parola di un libro, debbano essere costruite per preparare l'impression finale dell'opera stessa. In "Evil Dead" tutte queste regole della grammatica cinematografica, così come una vera e propria costruzione di un reale percorso emotivo dei personaggi, sono assolutamente assenti. Gli unici elementi cinematografici presenti in questo pasticcio scritto da Alvarez e Sayagues sono quelli che erano già presenti nella sceneggiatura originale scritta da Sam Raimi.

Anche se sembra di infierire su un minus abens, non si può non rilevare un ulteriore elemento. È doveroso ricordare che in una sceneggiatura che si rispetti l'esaltazione di un particolare oggetto spesso è necessaria. Tale oggetto, poi, diventerà elemento imprescindibile, simbolico o di svolta dell'azione.
Alvarez e Sayagues hanno introdotto una collana che David regala a Mia e che è assai simile a quella che Ash regala a Linda in "The Evil Dead". Mentre nel film di Raimi essa diventa uno strumento di salvezza oltre che simbolo d'amore e, per estensione, simbolo del Bene, nel film di Alvarez resta un oggetto fine a se stesso, un orpello inutile. Questo elemento caratterizza in forma essenziale tutte le differenze fra una sceneggiatura ben scritta, come quella originale, e una scritta malissimo, come questa.

I dialoghi sono addirittura peggiori della struttura complessiva della sceneggiatura. Al più sono inutili, se non deleteri o addirittura fastidiosi. In nessun modo essi contribuiscono a caratterizzare i personaggi, le cui individualità sono infatti assenti. Le stesse battute potrebbero essere pronunciate da uno qualsiasi dei personaggi, maschio o femmina che sia, e nessuno si accorgerebbe della differenza. Inoltre, ci sono una serie di battute da spacconi, che, tenuto conto della situazione complessiva, sarebbe stato meglio sopprimere, lasciando parlare le immagini e magari limitandosi a far urlare i personaggi.
Fra tutte, le due pessime battute finali di Mia:
"Sbrana questa, bastarda!" e "Torna all'Inferno, puttana".
Nei dialoghi oltre all'assenza di personalità e caratterizzazione, non c'è nessuna emozione, nulla che possa essere trasmesso a un pubblico che non sia assolutamente abboccato.

In alcuni casi, quando una sceneggiatura è mal scritta e sostanzialmente disunita, la regia può assorbirne alcuni difetti limitando il loro impatto. Non è questo il caso.

La regia di Fede Alvarez è assai mediocre. Se già la fallacità della sceneggiatura non aiutava a creare il benché minimo scampolo di tensione, la regia ne distrugge anche gli ultimi rimasugli.
Le trovate visive sono inesistenti. Si passa dall'abusatissimo specchio del mobiletto del bagno che prima di essere aperto riflette un'immagine e che, quando è richiuso, ne riflette una mostruosa, alla classica comparsa di un'immagine orrifica repentina accompagnata da musica a tutto volume. Per il resto la regia si limita a seguire i personaggi e a in quadrare dettagli.
È solo grazie alla buona fotografia e all'ottimo montaggio che sotto il profilo meramente visivo, questo film non si dimostra un disastro. Inoltre, le sole riprese davvero interessanti, a costo di doverci ripetere per l'ennesima volta, sono quelle copiate dall'originale "The Evil Dead".

Per aver l'esatta misura dell'imperizia di Alvarez, si pensi a come ha saputo giocare il giovanissimo Raimi con la macchina da presa, mostrandoci solo la testa debitamente truccata di Ellen Sandweiss sporgere da una botola, alternando soggettive, inquadrature dal basso e controcampi sempre funzionali e assolutamente inquietanti. E di come la tortura fosse sia fisica sia psicologica. Si pensi sempre al personaggio della Sandweiss che, intrappolato nella botola, tormenta Ash toccando i suoi punti deboli e il suo amore per Linda.
Raimi ha saputo giocare con i personaggi e con gli attori costruendo tassello dopo tassello un'opera davvero terrificante.
Alvarez non ha saputo giocare neppure con la macchina da presa.

Sono ottimi gli effetti speciali e ci mancherebbe altro visto il budget del film. Tuttavia, forse proprio per la loro bontà, sembra che il regista abbia puntato tutto sulla rappresentazione orrifica dell'effetto speciale, dimenticando completamente come si creano la paura e la tensione in un film. Ogni singola scena splatter è sostanzialmente scollegata dal resto del film. È come se Alvarez avesse diretto una sequela di scene di macelleria umana, dimenticandosi di legarle attraverso un filo emotivo e narrativo. Il risultato di queste scelte è la noia allo stato puro.
Alcune recensioni hanno paragonato per l'uso della violenza questo film a "Martyrs" di Pascal Laugier. Mai paragone fu più inesatto e inappropriato. "Martyrs" ha un'unità strutturale e narrativa perfetta, in cui la messa in scena della violenza è completamente asservita alle finalità narrative. Questo è il paragone fra un film perfetto, o quasi, come "Martyrs" e un filmetto per adolescenti immaturi e troppo assuefatti alla grammatica del videoclip e del videogioco per poter comprendere la differenza fra i due generi di linguaggio.

"Evil Dead" ha anche la pecca di prendersi dannatamente sul serio, quasi fosse davvero un film horror che fa paura e che impressiona.
Alvarez confeziona una pellicola anche assolutamente priva di qualsiasi ironia e di humour nero, mentre questi erano fra gli elementi portanti e una delle cause del successo riscosso dall'opera di Sam Raimi.
Come abbiamo detto, la qualità degli effetti speciali è ottima e senza il ricorso alla Computer Grafica. La scena del taglio della lingua di Mia è in assoluto la più riuscita, ma non si può basare solo su di essa il metro di giudizio dell'orrore che un film può ingenerare, senza tener conto che basta scrivere su un qualsiasi motore di ricerca di Internet le parole "Split Tongue" per vedere una serie di immagini assai più raccapriccianti di quella ripresa in questo film. Inoltre, trattandosi di una delle body modification più discusse dell'ultimo decennio, possiamo dire che difetta anche di originalità.

La messa in scena della violenza non impressiona, perché priva di tensione e fondata tutta solo sulla qualità visiva dello splatter. La violenza che era presente in "The Evil Dead" era incredibilmente superiore malgrado la rozzezza degli effetti speciali. Non si può non citare la scena dello stupro vegetale, che fece incontrare al film di Raimi non pochi problemi di censura nei paesi di mezzo Mondo, o quella in cui Ash infila i pollici negli occhi del suo ex amico ormai posseduto dai demoni. I referenti culturali di Raimi sono evidenti. Essi vanno dalla filmografia di Romero, Hooper e Carpenter, fino alle contaminazioni dei Manga e delle Anime giapponesi. I referenti visivi di Alvarez, invece, sono inconsistenti e scopiazzati a destra e manca, senza nessuna rielaborazione personale né originale.

Anche il lieto fine risulta assolutamente inappropriato e fastidioso.

Quando Raimi insieme con gli amici Campbell e Tapert, decisero di realizzare "The Evil Dead", erano un gruppo di ragazzi appena ventenni (il film fu fatto fra il 1978 e il 1979, ma uscì solo nel 1981 anche perché la post produzione e, in particolare, la decomposizione degli zombi richiesero un anno e mezzo di lavoro), con pochi soldi, ma con tante idee e tanta professionalità.
"The Evil Dead" era un film per adulti, fatto da dei ragazzi con pochi mezzi.
"Evil Dead", invece, è un film per ragazzi poco esigenti, fatto da adulti, anche se alle prime armi, con scarsa professionalità, con scarsa conoscenza della grammatica cinematografica e fondato sulla ricchezza dei mezzi visivi. Si ricordi che il budget si aggira intorno ai 20 milioni di dollari.
L'operazione commerciale è stata di assoluto successo solo grazie alla fama del film originale, ma di questo remake, ne siamo sicuri, fra anni non si sentirà più parlare.
La valutazione del film non è del tutto negativa solo grazie alla qualità della fotografia, del montaggio e degli effetti speciali. Per il resto, interpretazioni incluse, è un film da dimenticare.

"Groovy", dice Bruce Campbell alla fine dei titoli di coda.

No!

Irritante!

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 21/05/2013 17.01.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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