Voto Visitatori: | 6,41 / 10 (11 voti) | Grafico | |
Voto Recensore: | 9,00 / 10 | ||
Cantore notturno di 'anime salve', di amori borderline compressati nella follia, nell'(auto)distruttivismo di una grammatica slegata dalla logica costituzionalizzata, Leos Carax fonde l'inquietudine dei tratti e delle tonalità del suo cinema a racconti quasi favolistici, a impressioni di vita, e - di nuovo, come sempre - ad un amour fou involuto nelle periferie del dolore e dell'assenza, alla miseria della società che si scontra con il più alto dei sentimenti - astratto e tangibile, materico, carnale. Vedere (e sentire) il capolavoro "Gli amanti del Pont Neuf" per creder-ci. E, prima ancora, questo "Rosso sangue".
Siamo in un film di Leos Carax; siamo in contatto coi fantasmi, siamo a colloquio con le ombre, siamo in un universo percettivo dove la storia è solo un riflesso inconscio, torrenziale, intradiegetico. Dove contano solo alcuni, spuri elementi. E dunque, abbiamo: una banda di malviventi; un ragazzo dall'approccio ai limiti dell'autismo arruolato nella suddetta gang; una storia d'amore dall'armonia bucolica e intermittente, prima, un'altra che è visione notturna afasica e irrequieta, poi. Dei personaggi immersi in un'ambientazione apocalittico-metaforico-metamorfica: si lotta per fermare una malattia estrema, che fa sì che l'unione carnale privata del sentimento provochi la proliferazione della morte. Un po' come punire chi gira senza sentir scorrere il film nelle vene, come chi guarda senza sentir esondare la celluloide nel sangue.
Carax tratta il cinema come un magma pastoso, affranto e inaffrancabile dai propri corpi che si aggrappano alla pellicola come al proprio ultimo soffio vitale, alla dignità e al senso dello stare al mondo, dello stare/esistere (almeno) nella notte, allo stato liquido di racconto mitologico, di epigramma neoromantico, frammento di spleen esistenziale, brano spezzato di note stridule.
Una sintassi butterata e veracemente outsider, una poetica ostentatamente e poderosamente personale, una sceneggiatura che s'infil(tr)a tra le maglie della realtà e dell'onirismo atipico, atemporale e a-spaziale, interpreti che assorbono l'anima straziata di esseri allo sconquasso: "Rosso Sangue" è cinema fino all'ultimo respiro, aggrappato all'epidermide del fato, a rimembranze, rifrazioni dello spirito; è diagramma di colori esausti, di urla contro il cielo e di corse addosso alla terra.
Dentro i film di Carax siamo capaci, alla pari dei suoi personaggi, di vivere la realtà consapevoli di poter essere soltanto immagine, immagine che possiamo solo sfiorare e che ci echeggia nelle viscere e ci fracassa le ossa. Regista estremo e radicale nella propria secca, ruvida, selvaggia inclassificabilità, nella propria attitudine fuori posto e fuori canon(izzazion)e; amarlo vuol dire entrare in un universo che fa della forma un grido di libertà tranciante, avviluppato intorno al sangue, dove l'estetica è una sinfonia che crudelmente ci dà le spalle, poi ci guarda in faccia e ci ferisce più profondamente; bianca e rossa, ad un tempo purissima e lividamente lercia, limpida e squartata, (già) dentro la carne, spezzata nelle vene, dilaniante e mortifera, un vortice intermittente e frammentato, costituito da oggetti e voci narranti che saltano come mine impazzite su un campo tutto ancora da esplorare.
Resta, attaccata addosso, l'impossibilità della cicatrizzazione e della redenzione dalla visione, mentre il sangue continua a scorrere e la ferita rimarrà esposta al sole e ai futuri inesauribili occhi. Resta lo spettro avvolgente dell'erotismo e della natura, i momenti di fuoco e lacrime colti in attimi eterni e terribili, inspiegabili e fuggevoli. Resta la reiterazione di dialoghi ("Stasera no", "Invece sì") e azioni che diviene così autocombustione. Restano l'inafferrabilità e la paura della bellezza, le improvvise torsioni di genere, del dramma gangster che migra in un intimistico impalpabile saggio astratto sull'amore, dove panta rei, dove tutti sono/siamo uno nessuno e centomila. Questo è Carax, un ventriloquo di cui guardiamo e ascoltiamo gli occhi, perdendoci e ritrovandoci infinite volte, nel buio e nella luce, dentro flutti all'apparenza discontinui e insondabili. Con lui di cinema "facciamo il pieno per le notti che verranno".
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Recensione a cura di Fiaba - aggiornata al 05/12/2012 10.15.00
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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