i figli del fiume giallo (2018)

Quello di Jia Zhang-ke è un film di difficile analisi, sicuramente altalenante nella gestione del ritmo (la digressione sugli UFO è francamente inutile), ma alquanto stratificato e impregnato di amarezza, colori e odori. Un racconto che parte come una storia d'amore mescolata al racconto criminale tipicamente orientale, per poi mutare in affresco onesto e minimalista dell'alienazione e dello stoicismo cinese nel XXI secolo. Relegati sullo sfondo, gli splendidi paesaggi rurali e industriali hanno molto da raccontare sulle trasformazioni tecnologiche e sulla crisi ontologica di un paese diviso tra ricchezza delle tradizioni e ostinato inseguimento del progresso globalizzato: in tal senso è importantissima la rigorosa alternanza di formati Super35 e Digital Intermediate 4K. Ovviamente, senza l'inflessibile ed emotiva prova di Zhao Thao (che da sola regge l'attenzione), il film avrebbe smarrito molto della sua complessità.

Troppe lungaggini narrative a discapito di un finale che appare frettoloso e che non mi ha convinto del tutto. In sostanza, un film interessante per come si dipana, con un buon cast e una regia calibrata, in un racconto di vita che assume, via via, i contorni di una fotografia ingiallita dal trascorrere del tempo.
Una storia per certi versi semplice e ordinaria ma capace, a mio avviso, di rendersi abbastanza appetibile da regalare una visione sufficientemente valida, anche se troppo lunga.

La contaminazione di generi e stili non è un valore intrinseco se non s'amalgano. 17 anni e 136 minuti per raccontare che, in definitiva, lo spazio e il tempo non cambiano nulla, al massimo decantano il disfacimento già in corso: quello antropologico, cinese, amoroso, amicale, corporeo. Un interminabile fiume corale ampollosamente immerso nella solitudine geografica dei territori sconfinati e in una cronologia iperdilatata abitata esclusivamente da storie di loser: un tentativo d'epopea fallimentare quanto i suoi personaggi.

Mauro Lanari

Come nei precedenti "al di la delle montagne" e " il tocco del peccato" il regista cinese tira fuori una storia amara e drammatica su una Cina ccontemporenea in un periodo di transizione che la ancora fortemente però al suo passat o tradizionalista e ermetico .
Buona sceneggiatura e fotografia oscura e cupa , musiche occidentali che giustamente stonano nel contesto di feste che tutto sono tranne che quello a cui siamo abituati , bel finale ..
Jia Zhangke forse pecca un pò di originalità battendo il colpo ancora sugli stessi problemi sociali , ma va detto che lo fa sempre bene

Lo spaccato che ci viene dato da questo film è quello di una Cina in grande transizione in tutte le sue dinamiche: da quelle economiche globali a quelle più intime della mafia locale. I livelli si intrecciano e si sovrappongono all'interno di un film stratificato, complesso, non di rado critico verso il complessivo sistema cinese (interessante sapere se è stato approvato dalla censura). In questo documentario umanistico sulla provincia cinese, Zhangke si affida a lunghi piani sequenza per renderci partecipi del tempo reale della trasformazione cinese. E sebbene nella sua parte centrale, forse mal scritta e un po' slegata dal resto, il ritmo cali, nel complesso "I figli del fiume giallo" è un interessante opera che si presta a diverse chiavi di lettura (e che ribadisce, se mai ce ne fosse il bisogno, l'attuale straordinario momento del cinema orientale nel suo complesso).