2001 odissea nello spazio regia di Stanley Kubrick Gran Bretagna 1968
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2001 odissea nello spazio (1968)

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locandina del film 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO

Titolo Originale: 2001: A SPACE ODYSSEY

RegiaStanley Kubrick

InterpretiKeir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter, Leonard Rossiter, Margaret Tyzack, Robert Beatty, Sean Sullivan, Douglas Rain, Frank Miller, Bill Weston, Ed Bishop, Glenn Beck, Alan Gifford

Durata: h 2.40
NazionalitàGran Bretagna 1968
Generefantascienza
Tratto dal libro "2001: Odissea nello spazio" di Arthur Charles Clarke
Al cinema nel Dicembre 1968

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•  SPECIALE 2001 ODISSEA NELLO SPAZIO

Trama del film 2001 odissea nello spazio

Un'astronave, guidata dal computer Hal 9000, parte in direzione di Giove con a bordo due astronauti e tre scienziati ibernati. Ma durante il viaggio il computer prende coscienza di sé e si ribella, provocando la morte di tutti i passeggeri tranne uno...

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Voto Visitatori:   8,91 / 10 (741 voti)8,91Grafico
Migliori effetti speciali
VINCITORE DI 1 PREMIO OSCAR:
Migliori effetti speciali
Migliore produttore straniero (Stanley Kubrick)
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Migliore produttore straniero (Stanley Kubrick)
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Voti e commenti su 2001 odissea nello spazio, 741 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento montypython  @  02/09/2005 11:47:16
   10 / 10
“Continuo a notare con fastidio che si cita erroneamente “La Sentinella” come il racconto su cui si basa “2001”. In realtà il racconto assomiglia al film come una ghianda assomiglia ad una quercia adulta (molto meno, anzi, perché nel film compaiono idee di vari altri racconti)” Arthur C. Clarke, prefazione a “LA Sentinella”, TEA, 1995
Così Clarke introduceva la sua Sentinella nel 1995 a proposito dei paragoni che si facevano tra il suo racconto e 2001: odissea nello spazio, pietra miliare ( ma sarebbe meglio definirlo “monolito”) del cinema di fantascienza e del cinema in generale, centrando perfettmente il problema: 2001 non è un semplice film tratta da un racconto, è una evoluzione del racconto, è qualcosa che va oltre la fantascienza stessa, 2001 è “un grande enigma”, irrisolvibile, che da anni ormai vede cimentare tutti in una sua possibile interpretazione, interpretazione che non è né giusta né sbagliata, per quanto se ne sa davvero su questo film, il film che forse più di tutti ha saputo incarnare nel modo migliore la complessa filosofia Kubrickiana, talmente complessa, da essere completamente aperta ed enigmatica, filosofia che tenterò di interpretare, lasciando comunque insoluto il più grande mistero della storia del cinema: “2001: odissea nello spazio”.
Il film si apre sulle note di “Also Sprach Zarathustra” di Richard Strauss: l’inquadratura sale dal buio totale superando la Luna, la Terra ed ecco il Sole: su questi tre corpi celesti tutti perfettamente allineati compare il titolo: “2001: a space odyssey”, sta per sorgere “l’alba dell’uomo”. Africa, quattro milioni di anni fa, deserto, completo deserto, solo una piccola “comunità” di scimmie, attorno ad un laghetto che lotta per evolvere; le svariate sequenze, quasi completamente mute se non fosse per i versi scimmieschi emessi continuamente dai primati, su quello che succede a questa piccola “comunità” prima dell’arrivo del monolito sulla Terra, possono essere interpretate come l’evoluzione naturale dell’uomo stesso: ad ogni cambio scena, infatti, possiamo notare che qualcosa muta in quelle scimmie, esse stanno sviluppando qualcosa, quel qualcosa è la ragione. Dapprima prevale l’instinto, poi piano piano, man mano che il tempo passa, la scimmia si fa più furba, sta sviluppando la razionalità, fino ad arrivare all’esatto momento dell’arrivo del monolito nero: qualcosa sveglia una scimmia che desta le altre con alcuni versi, non più emessi a caso ma emessi per una loro determinata funzione con un loro preciso significato, le scimmie avevano iniziato a sviluppare il linguaggio; il lento processo evolutivo aveva avuto inizio. Ma queste sequenze possono avere anche un’altra interpretazione più simbolica: le scimmie di 2001 sono in realtà già l’uomo: instintivo, corrotto, irrazionalenonostante la sua razionalità, violento: le scimmie non esitano ad uccidere una di loro per il solo motivo che aveva tolto loro dell’acqua e lo fanno con una violenza inaudita, orribile; avevano incominciato ad uccidere i loro simili, per egoismo, per la loro sopravvivenza e ne sono soddisfatti, ma la cosa più inquietante è il modo di quel fraticidio: una di quelle scimmie prima attacca con le sue zampe, poi prende un osso di una carcassa e si accorge che fa più male e inizia a darci dentro, anche dopo che è morto, per far vedere la sua superiorità. L’uomo-scimmia, prima di scoprire gli utensili utili alla sua sopravvivenza, scopre le armi, non è più una scimmia, è l’uomo.Ma il presagio più inquietante si scorge nella famosa scena della scimmia, ormai avviata alla evoluzione in maniera compiuta dal monolito, che lancia un osso in aria, nello spazio: il primate prende un osso dalle carcasse dei suoi simili davanti a se e inizia a battere con forza su questi scheletri e inizia a spaccarli con una furia quasi godereccia: è questo l’uomo fatto e compiuto è l’uomo assassino che non esita ad uccidere tra i suoi simili: è questa la fine dell’uomo, l’autodistruzione?
Un altro segnale ce lo da la scena subito seguente: l’osso lanciato in aria dal primate, percorre i cieli, lo spazio, i secoli, i millenni e diventa una astronave: è l’ellissi dell’ evoluzione, un osso, l’arma primitiva servita per uccidere e per distruggere è simbolicamente l’astronave dell’anno 2001; l’evoluzione è andata avanti, ci sono state scoperte e conquiste tecnologiche importantissime, ma esse non sono che gli stessi ossi, mezzi di distruzione e morte, sono solo diversi, più tecnologici, forse, ma nell’essenza sono la stessa cosa, l’uomo non è cambiato in milioni di anni è ancora una scimmia inevoluta, o forse proprio perché è evoluta si porterà da solo all’estinzione.
L’”ellisse” è l’anello di congiunzione tra “l’alba dell’uomo” e “missione Giove”: somo passati milioni di anni, le conquiste spaziali hanno raggiunto un livello altissimo, siamo nel 2001, nello spazio che avvolge la Terra, una navetta si sta dirigendo alla stazione spaziale, è qui una delle scene più emozionanti del film: il “valzer delle stelle”; seguendo le meravigliose note de “Il bel Danubio Blu” di Johann Strauss, stazioni orbitanti e corpi celesti danno via al loro valzer e come in una sala da ballo illuminata a festa come è il cielo stellato, questi roteano, girano, si muovono come a passo di danza, duettano con estrema eleganza; la innovativa stazione spaziale in costruzione a forma di anello sembra la ruota panoramica di un luna park, l’intero cielo è un parco dei divertimenti, è il trionfo dell’uomo alla conquista dello spazio, tutto l’universo sembra danzare sotto la direzione d’orchestra dell’uomo, che si sente sicuro di sé, invincibile, niente potrebbe sconvolgerlo adesso,niente, tranne una sola cosa, la scoperta di qualcosa che metta in dubbio tutta la sua evoluzione, tutte le sue scoperte, quel qualcosa è il monolito.
Cos’è il monolito? Un meccanismo alieno? La prova dell’esistenza di altre vite intelligenti? Dio? Clarke nel suo racconto ne da una spiegazione molto semplice, esso è una sentinella, qualcosa che controlli l’evoluzione umana, qualcosa messo lì da una entità aliena, ma per Kubrick il monolito potrebbe essere qualcos’altro, o meglio, per Kubrick può essere tutto: la sua stessa comparsa sula Terra quattro milioni di anni fa è enigmatica; che sia esso stesso un alieno che abbia “donato” la scintilla dell’evoluzione, o meglio, quel qualcosa che l’ha accellerata, a quel gruppo di scimmie milioni di anni fa? Oppure questa misteriosa pietra non è altri che quell’entità sovrannaturale che viene chiamata Dio? Cercare di interpretare giustamente e definitivamente il monolito è cosa assai difficile e quello che ci fa intuire Kubrick è poco e lascia il dilemma completamente aperto ad infinite interpretazioni possibili, quel che è certo è che non è umano e che probabilmente ha “aiutato” la specie umana ad evolversi, ma perché allora ce ne sono così tanti sparsi per l’universo, o è sempre lo stesso? Che questi siano dei congegni di un’altra civiltà intelligente, forse la prima ad essersi sviluppata, che girando per l’universo abbiano lasciato il compito a questi monoliti o a questo monolito di far evolvere in fretta le forme di vita sviluppateso in pianeti ideali? Ma se questi oggetti misteriosi sono la causa dell’evoluzione umana e, probabilmente, di tutte le altre specie dell’universo, e questi oggetti sono stati creati da questa fantomatica prima civiltà, come ha fatto a svilupparsi prima di tutte le altre anticipando di troppo il naturale corso dell’evoluzione che ha portato alla vita? Allora che questi monoliti siano qualcosa che esisteva già da prima della creazione dell’universo e che questa probabile prima civiltà ne abbia usufruito essa stessa? Quindi questi oggetti sarebbero qualcosa di soprannaturale che esiste prima di tutto e che esisterà sempre, non legato all’universo naturale? Che questi siano un qualcosa di fisso, preesistente, senza la quale la stessa vita non avrebbe avuto luogo, che siano l’ ‘arch¢ di tutto l’universo, quel qualcosa che i filosofi, dai greci ai contemporanei, hanno cercato di definire da sempre, che siano Dio? Ma allora chiedersi chi abbia generato Dio sarebbe qualcosa di paradossale, perché se seguissimo la cinematica aristotelica, andremmo ad intaccare quel concetto di infinito, che è ormai imprescindibile, pur non essendo concepibile dalla mente umana così come il nulla, e purtroppo essendo inconcepibile, questa domanda non può trovare soluzione, ma allora siamo costretti ad accettare il fatto che niente abbia una origine precisa, ma ci sia un semplice ciclo infinito di creazioni e di distruzioni (come nella concezione empedoclea) e siamo quindi costretti ad accettare l’inesistenza di una entità sovrannaturale, quale può essere Dio? Che anche Dio, ma in questo caso il monolito, sia soggetto a distruzione e creazione, come ogni cosa, non sfuggendo quindi alle leggi naturali, e che ogni volta il ciclo continui nello stesso modo (seguendo in un certo qual modo la concenzione stoica), ma non con le stesse forme di vita? Che il monolito stesso sia qualcosa di sottoposto a qualcos’altro? Ma allora cosa c’è prima? A tutte queste domande la mente umana non potrà mai rispondere costretta ad arrendersi al più grande mistero dell’universo, il mistero della vita.
Il monolito agli uomini fa paura, perché metterebbe in dubbio tutto ciò su cui ha creduto finora: se questo fosse l’incipit della nostra evoluzione, allora tutto quello che abbiamo fatto fin’ora non sarebbe merito nostro e sicuramente andrebbe ad intaccare una della qualità forse più negative e più positive che appartengono all’uomo, l’orgoglio; l’uomo perderebbe così la sua supremazia totale sugli altri esseri viventi, non accorgendosi di essere già schiavo di sé stesso, o meglio da ciò che ha creato sé stesso, ovvero la macchina.
Kubrick sta piano piano demolendo l’uomo che già a partire dall’inizio della sua evoluzione si stava autoistruggendo, sta demolendo la sua sicurezza, troppa, la sua invincibilità apparente, le sue convinzioni, tutto ciò che aveva reso l’uomo quello che era diventato, ovvero, una montagna di cartapesta: l’uomo non è che ancora una scimmia, un animale rivestito della sua superbia, pronta a crollare alla minima confutazione dei suoi dogmi: tutto ciò che ha inventato e scoperto non è che qulacosa rivestito e coperto da una pesante coltre di falsa superiorità; e dopo il monolito, Kubrick fa entrare in scena qualcosa che distuggerà completamente l’uomo, se ci si affida troppo ad essa, la macchina, qui rappresentata dal calcolatore perfetto HAL9000 (ma già kubrick ci aveva fatto intuire qualcosa nella sottilmente ironica scena del gabinetto spaziale: il dottore, in viaggio su una astronave, deve andare in bagno dove c’è una targhetta di istruzioni per l’uso lunghissima e che il dottore legge con estrema attenzione; l’uomo è schiavo della macchina pure quando deve andare in bagno).
La serie 9000 dei calcolatori è perfetta, la sua intelligenza supera qualsiasi altra intelligenza artificiale; HAL è talmente affidabile da lasciare a lei l’intero controllo della “Discovery” la navetta scelta per la missione Giove tranne due soli elementi dell’equipaggio che hanno il compito di eseguire di persona quello che HAL non può fare essendo comunque solo un calcolatore e non un androide. Nessun calcolatore della serie 9000 ha mai sbagliato a causa della loro intelligenza sconfinata, ma sarà questa troppa intelligenza a portare alla distruzione di tutto l’equipaggio. Kubrick dota HAL ( il cui nome deriverebbe dall’abbreviazione di Heuristic Algorytm che significa algoritmo approssimativo) di una intelligenza tanto grande quanto pericolosa, questa intelligenza lo è tanto da riuscire a sviluppare caratteristiche prettamente umane come la superbia, la troppa sicurezza, l’odio, l’invidia, l’egoismo e l’istinto di soppravivvenza a tutti i costi, ma Hal non riesce a contenere queste emozioni e le esaspera fino al limite estremo, quello che manca ad HAL è qualcosa che riesca a mettere un freno all’istinto e alle emozioni, qualcosa che l’uomo ancora possiede, HAL non riesce a sviluppare la razionalità. Tuttavia i suoi compartamenti sono del tutto umani ed è impressionante come Kubrick rieca a darne l’idea, nonostante l’unica cosa che lo identifica all’esterno è un led rosso incastrato in una piastra rettangolare dalla quale fuoriesce la sua voce: quel led, quel puntino luminoso, nella sua semplicità è inquietante e la sua voce estremamente calma, calda, rassicurante, ma allo stesso tempo fredda (ottima in questo senso la scelta di Douglas Rain come voce di HAL che riesce a modulare ogni timbro vocale pur riuscendo ad avere una voce calma e rassicurante, così come ottima la scelta del doppiatore italiano Gianfranco Bellini perfettamente funzionale allo scopo) funge allo scopo. HAL è un occhio che osserva tutto, che ascolta tutto: geniale l’espediente tecnico di Kubrick di farlo sembrare tale: nella scena in cui David e Frank si chiudono nel modulo di riparazione spaziale per discutere sulla esclusione di HAL, senza essere sentiti la camera impersona l’occhio di HAL e si muove a destra e a sinistra come se fosse appunto un occhio che segue il discorso per leggerne il labbiale, come effettivamente fa. Il calcolatore si atteggia come umano e si comporta come tale: gioca a scacchi con David, si offende quando David gli fa notare di aver commesso un errore, il primo errore della sua vita meccanica. Ed è qui la contraddizione in termini che fa sembrare così umano HAL. Esso è una macchina e come macchina non può permettersi di sbagliare, perché sbagliare è umano ed è proprio l’errore che rende umano HAL, che gli fa sviluppare questa pseudo-coscienza, coscienza che è diventata insostenibile perché una macchina non può provare emozioni e sentimenti, ma HAL non può comprendere tuto ciò: la sua enorme intelligenza è costruita su calcoli e algoritmi non su emozioni e sentimenti, quelli che sembra provare HAL non sono reali, sono solo pallide imitazioni, scaturite da fredde equazioni matematiche, di queste; in realtà, nonostante tutto HAL è ancora una macchina che nel momento in cui inizia a provare sensazioni umane, non riesce piùa controllarle, perché i suoi calcoli, scaturiti da una intelligenza fin troppo superiore, non possono prevedere perfettamente, come nella matematica, sensazioni imprevedibili ed è questo che porterà alla “pazzia” il calcolatore: il non poter più controllare la situazione, il non poter più controllarsi, il non poter più gestire le sue funzioni perché le sono del tutto estranee. HAL, non può permettere che venga escluso dall’uomo, perché per lui sarebbe come un omicidio, omicidio che però non esiterà a commettere pur di restare in “vita”: HAL, imparando a fingere, uccide uno dopo l’altro l’intero equipaggio; prima fa fuori il dottor Poole staccandogli l’erogatore di aria nello spazio e qui Kubrick rende in maniera impressionante l’accaduto sfruttando la più inquietante delle colonne sonore: il silenzio; per un lungo asso di tempo la scena è un intervallarsi delle stesse situazioni, ossessivamente: il corpo che di Frank che in un primo momento si agita nello spazio buio che lo inghiotte piano piano, immerso nel silenzio più totale (non c’è più il dolce ed elegante valzer che segna il dominio dell’uomo nello spazio, adesso l’uomo viene distrutto e trascinato nella trappola mortale che il silenzioso spazio che lui stesso credeva di aver conquistato; l’antitesi è fortissima: valzer e colori di ogni genere prima e buio e silenzio ora, la natura è indomabile e tremendamente mortale) nel quale silenzio sembra, parodossalmente, poter sentire l’urlo di dolore di Frank soffocato dalla più totale assenza di suono; e lo “sguardo” silenzioso di HAL,anche qui, è talmente statico da far paura, ma è in questa staticità che sembra quasi intarvedere un sorriso compiaciuto del caclolatore. L’unico suono che si sente è un suono ossesivo della nave e il suono degli allarmi che segnalano la lenta morte nelle celle criogeniche del resto dell’eqipaggio; il suono della nave è ritmico e cadenzato e ripetitivo, quasi da far sembrare che la nave stessa respiri nella morte e nel buio dello spazio, mentre l’ossessionante suono dell’allarme è talmente assordante da trasformarsi quasi nel silenzio: è nel silenzio che si compie il più tremendo dei delitti.
È rimasto solo David, uscito per recuperare il corpo dell’amico, e lasciato chiuso fuori da HAL, che adesso appare un bambino capriccioso che per ripicca non parla più, si offende e si rifiuta di lasciarlo entrare: è il preludio alla sua morte: appena si rende conto che sta per essere escluso da David si mette ad invocare il perdono a promettere che non lo farà più, proprio come un bambino, HAL diventa infantile.
La morte di HAL è una delle più strazianti, impressionanti e più umane morti che una macchina abbia mai avuto: man mano ch David toglie le parti della sua memoria HAL lo sente che sta morendo, gli fa male sente che qualcosa se ne sta andando, quell’ammasso di calcoli e di nozioni che erano ciò che lo faceva vivere; la sua voce si afflievolisce e la piano piano, involve, anzi, devolve fino ad arrivare allo stato infantile: come un bambino con la voglia irrefrenabile di far vedere alla mamma quello che ha imparato a scuola, decanta, nella progressiva scomparsa delle sue funzioni vocali, la filastrocca che il suo programmatore gli ha insegnato: “giro giro tondo”. È un momento tragico e pieno di vita fra la freddezza dei transistor di HAL, il calcolatore che per la sua intelligenza aveva sviluppato caratteristiche umane, muore come umano: la scomparsa della sua memoria gli fa male, un male doloroso e come gli uomini, nei suoi ultimi attimi di vita invoca di smeterla, di fermarsi, di risparmiarlo, la sua vita finisce in una voce storpiata e affievolita canatndo una filastrocca. HAL è morto, non è stato escluso, è morto: è morta la macchina che per prima stava provando sentimenti umani, ancora una volta l’uomo ha ripreso il controlla ma per quanto ancora?
Con la morte di HAL david viene a conoscenza della presenza del monolito e decide, spinto dalla curiosità come un novello Ulisse, di intraprendere il viaggio verso Giove e oltre l’infinito: è questa la sequenza più enigmatica di tutto il film, david si dirige verso il monolito e poi lo attraversa? Vi entra al suo interno? Non sappiamo con esattezza, ma il viaggio intrapreso da David è qualcosa che va oltre il mondo naturale, vaoltre l’universo, va oltre l’infinito: sono paesaggi innaturali, da colori innaturai, sconvolti, psichedelici, il suo occhio attraversa e vede tutto ciò che è stato che è e che sarà e ciò che potrebbe essere fino a giungere ad un capolinea, ritorna al monolito.
Si ritorna quindi all domanda: Cos’è il monolito? Ma a questo punto, bisognerebbe chiedersi: che cos’è per Kubrick, il monolito? Che anche lui abbia sviluppato la sua filosofia partendo dal chiedersi: “cosa c’è prima, qual è l’inizio di tutto?” ? Se fosse partito da questo presupposto, il ragionamento fatto finora non sarebbe del tutto sbagliato, quindi procedendo in questa direzione, si può interpretare il viaggio di David come un’evoluzione accellerata della conoscenza: se un semplice contatto aveva dato alle scimmie la scintilla dell’evoluzione, David entrandoci dentro, attraversandolo, percorre tutta la scala : viene a conoscenza di tutto lo scibile dell’universo fino a superare il tempo e lo spazio e giungere, seguendo l’equazione monolito=Dio, alla conoscenza divina, approdando in luogo-non luogo, un fulcro di tempo e di spazio zero, un fulcro atemporale dove il tempo e lo spazio non hanno più significato e si confondono in un continuo passaggio di universi paralleli e di passaggio dl tempo improbabile, questa è il nulla in cui dovrebbe vivere quello che è considerato Dio, dove David viene a conoscenza del mistero più grande, l’unico di cui è in possesso dio: il mistero della vita. David percorre tutta la sua vita fino a tornare al monolito, per nascere di nuovo, il ciclo della vita continua. Il monolito quindi sarebbe la fine e contemporaneamente l’inizio della vita?
Questa è solo una delle infinite interpretazioni possibili del viaggio oltre l’infinito di David e del monolito in generale, ma la soluzione rimarrà insoluta per sempre: è “un film per viaggiare, non per capire” ed è proprio questo, forse il senso di questo grande enigma: 2001 è un viaggio, è un ritorno alle origini, come una nuova odissea, quella del titolo; è un viaggio attraverso l’evoluzione e la concezione dell’uomo attraverso i millenni, è un viaggio attraverso la vita e l’infinito, e il fine di questo viaggio è solo viaggiare: forse il film è così aperto per far si che ogni spettatore-viaggiatore ne tragga da se le sue conclusioni, perché ogni viaggio significa imparare e portare con sé un un baglio unico di conoscenze che però è personale, non uiversale, quindi è “un film per viaggiare, non per capire”
Ma è anche un viaggio nell’uomo e nella sua evoluzione dalla scimmia all’uomo all conquista dello spazio, un uomo che attraverso i secoli non è mai cambiato pur nella sua evoluzione, assorbito dalla sua superbia e dal suo egoismo, tanto da dimenticare l’umanità stessa portandosi all’autodistruzione. 2001: odissea nello spazio è un film per viaggiare, è un film per riflettere, è un film per pensare che in fondo non siamo né i primi né i migliori dell’universo. In fondo come ha detto Nietzsche in “Così parlò Zarathustra”::
“Che cos’è la scimmia per l’uomo? Un oggetto di riso e di dolorosa vergogna. E così è l’uomo per il superuomo: un oggetto di riso e di dolorosa vergogna.”
E aggiungo io: Che cosa sono i superuomini se non uomini?

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Ultima risposta 12/09/2005 20.41.36
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