confidenze troppo intime regia di Patrice Leconte Francia 2004
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confidenze troppo intime (2004)

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locandina del film CONFIDENZE TROPPO INTIME

Titolo Originale: CONFIDENCES TROP INTIMES

RegiaPatrice Leconte

InterpretiFabrice Luchini, Sandrine Bonnaire, Michel Duchaussoy, Anne Brochet, Gilbert Melki

Durata: h 1.44
NazionalitàFrancia 2004
Generedrammatico
Al cinema nel Dicembre 2004

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Trama del film Confidenze troppo intime

Lei va dallo psicanalista e confida i suoi problemi più intimi all'uomo che spera la possa aiutare, ma lui fa il consulente fiscale e non ha mai avuto il coraggio di dirle che è entrata nello studio sbagliato sin dalla prima volta.

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Voto Visitatori:   6,08 / 10 (31 voti)6,08Grafico
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Voti e commenti su Confidenze troppo intime, 31 opinioni inserite

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Gruppo COLLABORATORI martina74  @  02/05/2006 17:28:33
   6½ / 10
Il meccanismo narrativo di questo film di Leconte è del tutto analogo a quello de "L'uomo del treno": due persone sole che si incontrano e, complice in questo caso un malinteso e il fatto di essere perfetti sconosciuti, iniziano a raccontarsi. Anche qui il rapporto è sbilanciato: uno dei due (qui è la brava Sandrine Bonnaire) è più loquace e, anche quando scopre che lo sventurato Luchini non è psicanalista ma fiscalista, continua a coninvolgerlo in maniera sempre più intima nelle sue vicende, ingenerando una sorta di trasfert al contrario. Buffamente Luchini deve anch'egli cercare l'aiuto di uno psicanalista (stavolta vero) per decidere le future mosse, per tenersi stretta una donna che lo intriga e allevia la sua solitudine fatta di riti quotidianamente ripetuti, in un appartamento-studio che è malinconicamente identico agli altri del condominio.
Due personaggi che dall'esterno sembrano banali e "uguali" a mille altri, grazie alle parole che si scambiano iniziano ad assumere un'unicità che li rende speciali, diversi, interessanti (e interessati l'uno all'altra).
Il meccanismo funziona bene e, nonostante il ritmo "francese" tiene finchè non si inseriscono nella storia i comprimari e finchè non si delinea un finale vagamente stonato.
Buono, ma troppo ricalcato sul lavoro precedente del regista.

4 risposte al commento
Ultima risposta 04/05/2006 17.58.07
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cavo69  @  07/02/2005 19:37:50
   4 / 10
lo si sapeva gia che era stato il maggiordomo..............e poi tutta quella violenza gratis che io non sopporto....la scena della bomba nel minestrone potevano evitarla!!!!!!


26 risposte al commento
Ultima risposta 22/02/2005 19.32.51
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mariolina  @  19/01/2005 19:00:08
   7 / 10
I ritmi effettivamente sono un pò lenti, ma non credo che si possa qualificare come narcotico o soporifero che dire si voglia. Trovo molto appropriata e anche affascinante la definizione di maremare del film come l'incontro tra due solitudini. La condivisione del medesimo stato d'animo aiuta i protagonisti a svelare aspetti della rispettiva esistenza forse fino ad allora oscuri, o probabilmente di non facile presa di coscienza. Ed è bello che da tale consapevolezza assumano entrambi la volontà decisa di iniziare una vita pù vera, perchè ciò accade proprio raramente nella realtà.

15 risposte al commento
Ultima risposta 03/03/2005 14.38.08
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davmus  @  11/01/2005 16:14:49
   2 / 10
Non capisco quale sia il messaggio del film...piatto totalmente. Ho rischiato di dormire!

8 risposte al commento
Ultima risposta 08/02/2005 10.31.57
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Invia una mail all'autore del commento Maria Lucia  @  03/01/2005 11:49:45
   5 / 10
Premetto che non amo i film francesci ma, questo mi sembrava che avesse delle buone basi, validi il regista e gli attori, ottima la sceneggiatura: la solitudine, la voglia di comunicare e di cercare anche se in maniera non molto ortodossa il contatto altrui ma..... NON BASTA, il film non decolla e gli aspetti psicologici sono solo vagamanente trattati...PECCATO !!!

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Ultima risposta 08/02/2005 09.02.35
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driver  @  20/12/2004 20:48:15
   6 / 10
Dopo aver visto Tandem e L’uomo del treno (forse i due film più famosi – e riusciti – film di Patrice Leconte) e soprattutto dopo aver letto recensioni positive, credevo di vedere un ottimo film. E dare la colpa all’aspettativa, come ho già detto, è triste.
L’idea iniziale è eccezionale e molto indovinata: una signora che anziché andare dallo psicanalista, sbaglia porta (apposta? Si chiede qualcuno durante il film: lo psicanalista ha perso una cliente= soldi o dà un’ipotesi di una malattia mentale di una non-paziente o, perché no, ex-paziente?) ed entra da un commercialista. Lei è troppo nervosa, lui è abituato a scenate del genere da parte dei suoi clienti: le loro conversazioni continuano, e continuano e continuano e continuano. E’ proprio questo il problema del film: la storia (dopo l’idea iniziale, come ho detto) non va più avanti.
Non è un film difficile da girare, ed è una sceneggiatura molto a rischio-sopportazione se non è tenuta completamente su dai due bravissimi protagonisti (ma anche dallo psicanalista).
Mancano le sottigliezze e la leggera, ridente ironia de L’uomo del treno. Manca soprattutto la contrapposizione burbero (Halliday) e simpatico vecchietto (Rochefort). In fondo, finanziere e paziente, qui sono uguali.
Un’ultima constatazione: l’avete mai visto un lettuccio da studio psicanalitico dentro uno studio di un commercialista?
“Delusione e togli un po’.”


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Ultima risposta 24/12/2004 17.18.24
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acol  @  20/12/2004 14:01:05
   2 / 10
Sono confidenze talmente intime... che dpo un po' ci si addormenta!

6 risposte al commento
Ultima risposta 08/02/2005 09.13.59
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento kowalsky  @  16/12/2004 15:28:38
   7 / 10
(Parlando del titolo del film a un collega, doveva assolutamente convincersi che fosse porno E' per questo che esistiamo anche noi logorroici...)
Con qualche accademismo in meno sarebbe stato il film dell'anno: perchè tutto ciò che ha miseramente fallito l'ultimo Martone attraverso il testo di Parise ("L'odore del sangue") riesce a Leconte. Nell'esibizione morbosa dell'eros, o nel tentativo di lordare l'essenza divistica della Ardant, Martone secondo me ha privato il personaggio della sua interiorità letteraria Il vettore (la Diva, lo star system) diventa promozione di scandalo annunciato. Oltretutto Placido e la Ardant erano imbarazzanti. Leconte verboso, forse, ma un autore prezioso si vede dai gesti, dai particolari Quasi Almodovariana l'inquilina che segue ogni puntata di una soap-opera incentrata sull'attrazione proibita di una donna per un prete Adulterio, tentazione, in più l'uomo si rivela gay, e non puo' amarla in quanto la scelta (scelta? quale scelta?) non glielo permette, ma perchè Lei non è un Lui. In fondo c'è già la chiave di tutto: come l'uomo della storia - tradito da una svista involontaria (la parola "analisee") non può amare Anna non perchè sia una sua paziente ma per l'inganno ("con me lei ha imbrogliato") di cui è imputato, psicanalista per puro caso. A questo punto gli elementi del film diventano ricchissime precognizioni del presente e futuro: la misoginia di un'illuminato che sente di "dover redarguire Luchini sul fatto che la donna non abbia in realtà sbagliato porta", l'immenso bisogno umano di raccontarsi a qualcuno, l'empatica facilità con cui le confidenze intime possono trovare un'exursus privilegiato, o smaccatamente audace, proprio con degli sconosciuti Comunque l'equivoco è chiarito quasi subito, tra lunghe pause che tolgono il respiro ma infondono magistralmente (chi altro è in grado di farlo così bene?) il peso della solitudine, attraverso i due protagonisti - memorabili - o il grigiore monolitico dei condomini francesi, quasi un segno che da qualche parte un film come "lost in translation" è arrivato ben oltre le previsioni. Ma c'è di più: la monotematicità del mestiere dell'uomo, con quegli uffici che - appaltati tra divani in pelle e portali barocchi, ritratti di donne tristi e la polvere lasciata dai ricordi - ricostruiscono il puzzle della febbrile aderenza di chi ascolta gli altri per vivere (psicanalisi o materia fiscale, stessa lunghezza d'onda) Uno stralunato Luchini a tratti cerca effords che lo conducano all'identità della donna, altrove attiva una decomposizione feticista del suo passato: per chi si convince che il suo "vero" lavoro sia un segno esemplare per conoscere la vita e il destino altrui, i giocattoli bellissimi lo riportano alla sua dimensione primaria, evolutiva E' vero ricorda kieslowsky ("Non desiderare la donna d'altri") e Chereau, ma soprattutto è un binario che porta al "doppio sogno" di Schnitzler rielaborato al presente. Il cinema di Leconte appare ogni volta una perfetta antitesi sociale, nel tentativo di elaborare - come già nel suo precedente capolavoro - un'umanità che cerca negli altri la PROPRIA verità Eppure, quando appare il marito al finto Dottor Monier, qualcosa si sovverte, ho avuto la fastidiosa sensazione di un'equilibrio perduto, un pò per l'infausta rimozione del caso o forse per l'eccessivo gigionismo nevrotico dell'uomo, ebbene trovo che quest'elemento esterno non avrebbe dovuto esserci, tantomeno negli schemi noir di un probabile vendicatore da un tradimento ineffettivo. Ma giustamente Laconte evita di trascinarci in un coup de foudre piuttosto scontato, e sovverte ogni cosa: ci riporta perciò al "doppio sogno" concretamente alla realtà Concludendo: in quest'orgia di confessioni e inganni, di tradimenti veri e soprattuto presunti, io ho respirato come raramente mi è capitato al cinema di recente un profondo e radicale impatto con la solitudine, il bisogno inconfessabile di essere e avere, di salvare principalmente se stessi da un fallimento amoroso o comunque di condividere con qualcuno drammi, sensi sessualità dichiarata e affetti mancati. Un abbraccio che ripaga ampiamente di tutto l'amarissimo climax del film, dove appaiono aspre nubili (la fedele e impicciona segretaria, Mullan) e vibratili complessati affetti da crisi di panico Con qualche ambizione in meno sarebbe stata (ma è comunque) una delle esperienze di cinema più larvate dell'anno. Non è un caso che all'uscita del film - pensando a quell'assurda conservazione che è il supporto vinilitico del protagonista (qualche nostalgia per la vecchia puntina consunta del piatto...) ascoltassi "Isolation" dei Joy Division Aihmè in lettore-cd: c'è qualcosa di "moderno" nella solitudine

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Ultima risposta 14/01/2005 18.49.41
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Gruppo REDAZIONE maremare  @  12/12/2004 23:34:36
   7 / 10
Grazioso film di Leconte su di un tema a lui molto caro: l'incontro tra due solitudini.
Inferiore a "L'uomo del treno" rimane pur sempre un film di un bravo regista, capace di creare atmosfere uniche.



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Ultima risposta 11/02/2005 12.27.40
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Prof  @  07/12/2004 23:29:24
   7 / 10
Il giudizio che accompagna il voto 7 è la perfetta sintesi del mio pensiero.
Vale la pena, questo sì, ma non entusiasma. Comunque è sottile ed ironico.

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Ultima risposta 20/12/2004 14.02.37
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Gruppo COLLABORATORI SENIOR Invia una mail all'autore del commento GiorgioVillosio  @  05/12/2004 13:46:58
   7 / 10
Giorgio Villosio da Torino giorgio.villosio@virgilio.it

Film : Confidenze troppo intime
Regia : Patrice Leconte
Testo: P.L.è il regista de “L’uomo del treno”, dove già dava prova di buone capacità narrative, per storie concepite con fredda cerebralità su estrose trovate. Semplice in sè il meccanismo creativo: “invento una vicenda originale e curiosa, e ci costruisco sopra un intero racconto, anche con pochi sviluppi e ritmi molto lenti”. Le “Confidenze troppo intime” sono, nella fattispecie, quelle fatte da una donna sulla quarantina, in crisi matrimoniale, ad un fiscalista da lei creduto erroneamente psicanalista. Scontato il contenuto: i soliti problemi di coppia, caduta del desiderio maschile, e conseguenti depressione e perdita di autostima da parte femminile.
Il fiscalista, psicologo improvvisato, viene coinvolto profondamente dalle storie della donna, fino ad innamorarsene, seguendola, infine, al sud della Francia, dove lei andrà ad iniziare una nuova vita. Il film scorre su binari paralleli con due temi diversamente definiti: il destino fatalmente caduco dell’amore di coppia e gli strumenti vincenti della psicanalisi per spiegare all’individuo le motivazioni profonde del suo comportamento. “La psicologia è il romanzo dell’anima”, diceva Musatti; e, come in un romanzo, il malcapitato fiscalista va scoprendo grazie all’analisi improvvisata, la sua storia personale, insieme a quella dell’ affascinante “paziente” Anna.
E tale viaggio all’interno del sé, lo porterà infine ad una svolta radicale dell’esistenza, cioè al “cambiamento” , tanto predicato dalla psicologia.
Secondo le prime recensioni uscite in proposito, il film starebbe a dimostrare che i professionisti del settore, psicologi e psicanalisti, sarebbero facilmente sostituibili da persone di comune buon senso, o da amici compiacenti; e che l’individuo singolo possa e debba leggere da sé il “romanzo della propria anima”. A mio avviso, invece, il racconto dimostra propriamente il contrario: e cioè che l’individuo non sappia trovare da solo la via dell’autoconoscenza, ma che debba essere maieuticamente pilotato da chi possegga certi strumenti. Tanto è vero che, il protagonista , sedicente psicologo, deve ricorrere per primo ai lumi di un vero professionista finitimo, per arrivare a penetrare l’anima della sua “finta ” paziente( e, senza manco rendersene conto, in primis la sua stessa). Va ricordato che, prima della sistematizzazione della psicologia freudiana, il disegno dell’anima veniva letto e interpretato in prevalenza da pensatori religiosi, che tendevano a specularci per imporre il loro potere; e che, in tal senso, la nascita della moderna psicologia laica, induceva una vera e propria rivoluzione, ridonando all’individuo la padronanza del suo destino.
Nel film, poi, si racconta ancora il fatale “de profundis” dell’amore di coppia. La protagonista, in cerca di appoggio dal finto analista, lamenta la fine del rapporto matrimoniale che lei stessa ha prodotto (addirittura, simbolicamente, cerca di sopprimere il marito investendolo semicasualmente con l’auto). E dopo, quando va a piangere le lacrime del coccodrillo, è senza manco saperlo, in cerca di una palingenesi, di una rinascita in virtù di un nuovo amore; cui arriva, peraltro, dopo avere seguito ipocritamente tutte le strade di un improbabile recupero.
Nulla di Male! Questa è la natura! Ma bisogna averne coscienza, senza nascondersi dietro al dito fasullo di ipotetici amori eterni; l’amore esiste, ma è in continua evoluzione, come tutto ciò che è della nostra specie. E resta una ineccepibile considerazione di base, vero punto di forza del film:
nel doloroso cammino dell’esistenza, il bisogno fondamentale dell’individuo è quello di essere ascoltato e di entrare in relazione col mondo circostante, ottenendo consenso ed ammirazione; in un quadro in cui l’amore di coppia risulta senz’altro “una parte”, ma non certamente “il tutto”.
La verità sta ancor prima nell’interscambio con gli altri; come dimostra nel film la splendida “amicizia-relazione” instauratasi tra il vero e il presunto psicanalista. Ottima l’intepretazione del ruolo di Anne, una intensa e fascinosa Sandrine Bonnaire; forse più convincente di quella del noto comico Fabrice Luchini, qui riciclato in una parte seria, dall’espressione troppo uniforme (quasi un vezzo ,quello del regista, di impiegare intepreti insoliti, come il cantante Johnny Hallyday ne “Luomo del treno”).


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Ultima risposta 13/02/2005 12.33.22
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