full metal jacket regia di Stanley Kubrick USA 1987
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full metal jacket (1987)

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locandina del film FULL METAL JACKET

Titolo Originale: FULL METAL JACKET

RegiaStanley Kubrick

InterpretiMatthew Modine, Adam Baldwin, Vincent D'Onofrio, R. Lee Ermey, Dorian Harewood, Arliss Howard

Durata: h 1.56
NazionalitàUSA 1987
Genereguerra
Tratto dal libro "The Short Timers" di Gustav Hasford
Al cinema nel Gennaio 1987

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Trama del film Full metal jacket

In un campo di addestramento dei Marines nel South Carolina diciassette giovani civili vengono trasformati in combattenti (macchine da guerra e di morte); partito per il Vietnam, Joker, uno dei diciassette, lavora per un giornale militare e si trova coinvolto nell'offensiva del Tet (1968).

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Voto Visitatori:   8,90 / 10 (662 voti)8,90Grafico
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Voti e commenti su Full metal jacket, 662 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  16/09/2007 15:23:19
   10 / 10
Con Kubrick non si butta via nulla. Tutto concorre al significato del film, in una sinergia perfetta. Nei suoi film mescola tutto: satira, tensione, horror, documentario; usa tutti i tipi di inquadratura, i ralenti, i primi piani. Ogni cosa ha il suo significato, il suo ruolo nel contesto. I suoi film sono esperienze estetiche veramente appaganti per gli occhi, grazie alla varietà e alla perfezione dei mezzi tecnici utilizzati, ma soprattutto per la mente con la grande profondità dei concetti espressi.
Il tema di FMJ è sempre quello tipico di molti suoi film: l’incerto confine fra razionale e irrazionale, fra l’umano e il bestiale. Sono degli squarci di luce nel cervello e nella società umana, per dimostrare quanto tutto sia contraddittorio e intricato. Ma soprattutto come sia difficile o forse impossibile fare affermare la parte “ragionata”, quella che vorrebbe un mondo di rispetto reciproco, solidarietà e pace. Troppi sono gli interessi che vogliono invece tenere sveglia la parte brutale dell’animo umano, la quale, una volta scatenata, ha sempre il sopravvento sulla parte ragionata. La “società” vuole alimentare la bestia dentro l’uomo. E’ questa la denuncia di Kubrick in questo film.
La prima contraddizione è l’uso da parte delle istituzioni “liberali” e “democratiche” dell’imposizione e dell’ubbidienza totale come mezzo per “difendersi”. Si spersonalizza l’individuo, si annulla qualsiasi indipendenza intellettuale e lo si trasforma in una macchina per uccidere, facendo leva sugli istinti più egoistici e sadici. Il marine non ha sentimenti o pensieri, deve solo uccidere e provarci anche piacere. Il tutto accompagnato da esaltazione e sensazione di superiorità. Un gioco difficile e un’arma a doppio taglio. Chi conserva un po’ di razionalità e distacco pure in questo ambiente, riesce a tenere sottocontrollo la Bestia che viene risvegliata. Alcuni “più deboli” con i propri mezzi di controllo, reagiscono in maniera diversa e danno libero corso alla loro parte bestiale. Ecco allora che ritorna inquietante lo sguardo di Shining negli occhi di Palla di Lardo. La Bestia liberata distrugge gli altri, distrugge se stessa, sa solo distruggere.
Una volta vista la formazione della “macchina per uccidere”, la si mostra sul campo. Si utilizza lo stile documentario per mostrare il rovescio della medaglia. Pochi capiscono cosa ci stanno a fare in Vietnam. Tutti si meravigliano che quelli a cui vengono a dare la libertà, non abbiano un minimo di riconoscenza. Chi può cerca di imboscarsi o di farsi congedare, la maggior parte subisce indifferente il destino in attesa di tornare a casa, ma c’è però chi si esalta e prova immenso piacere uccidendo. Il sopravvento di quest’ultimo atteggiamento è mostrato nella scena madre dell’incontro del plotone con il cecchino. La “ragione” nelle vesti di Cowboy direbbe di sacrificare il ferito per salvare tutto il plotone, ma la sete di vendetta, l’odio cieco, l’eroismo fine a se stesso spinge invece a disubbidire e alla fine prende il sopravvento. I morti così diventano tre, a cui si aggiunge quella del cecchino (molto più umano di quanto si pensi). La stessa lotta si svolge anche all’interno del singolo. Joker porta su di sé la contraddizione della natura umana: l’elmetto riporta la sua parte bestiale istintiva e innata (“Born to kill”), mentre all’occhiello fa sfoggio del frutto dei suoi ragionamenti (l’esigenza della pace). Eppure anche lui, arrivato al dunque, cede alla parte più “facile”, quella della distruzione.
Il finale riproduce quello di Stranamore: il contrasto fra spensieratezza e distruzione. Lo scopo è duplice: da una parte si cerca di dare una scossa allo spettatore (“come è possibile essere allegri in una situazione del genere?”), dall’altra si riproduce uno stato di fatto: mentre noi ridiamo, ci divertiamo allegri, in qualche altra parte del mondo si uccide e si distrugge. Bisognerebbe pensarci più spesso.

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1 risposta al commento
Ultima risposta 16/09/2007 19.30.38
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