il diario di un curato di campagna regia di Robert Bresson Francia 1950
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il diario di un curato di campagna (1950)

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locandina del film IL DIARIO DI UN CURATO DI CAMPAGNA

Titolo Originale: LE JOURNAL D'UN CURÉ DE CAMPAGNE

RegiaRobert Bresson

InterpretiClaude Laydu, Nicole Maurey, Joan Riveyre

Durata: h 1.50
NazionalitàFrancia 1950
Generedrammatico
Tratto dal libro "Il diario di un curato di campagna" di Georges Bernanos
Al cinema nel Gennaio 1950

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Trama del film Il diario di un curato di campagna

Un giovane parroco frequenta un castello il cui padrone, un conte, inganna la moglie con grande pena del figlio. Il prete si attira l'ostilità di entrambi. Malato di cancro, va a morire in casa di un prete spretato.

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Voto Visitatori:   8,80 / 10 (10 voti)8,80Grafico
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Voti e commenti su Il diario di un curato di campagna, 10 opinioni inserite

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Invia una mail all'autore del commento wega  @  15/08/2009 21:08:31
   10 / 10
Il cinema francese, tra i tanti, ha avuto anche l' antimoralista Renoir, l' intimista Truffaut, e lo spiritualista Bresson. Se nei film di Renoir i suoi protagonisti si scaricavano sulla società, pur essendo personaggi genuini e sinceri (ecco perché si può parlare di antimoralismo), quelli di Bresson, al contrario, sono come spugne che assorbono le angherie di un male sociale, che per Bresson, è ufficialmente incurabile. E' il caso del prete - malato di cancro - di quest' opera che è il primo capolavoro assoluto del regista, dove, ne "Il Diario di Un Curato di Campagna", per parossismo può sembrare, è più grande il dolore morale inferto da un amico morto suicida che il dolore fisico del cancro stesso; o dell' ufficiale francese di "Un Condannato a Morte è Fuggito", successivo capolavoro, l' asino di "Au Hasard Balthazar", altro capolavoro assoluto, la Santa Giovanna d' Arco o la ragazzina Mouchette. Se si parla di spiritualismo è inevitabile l' incontro con la religione e la fede in Dio. Tutti gli "eroi" di Bresson - chi più, chi meno - sono stati toccati da questa condizione: Giovanna d' Arco si sentiva addirittura prescelta da Dio, ma altri, dichiaratamente, come a molti succede poi nella propria vita, "pregavano solo nei momenti peggiori". Questo film del 1950 invece, rappresenta con "Nazarin" di Bunuel, l' atto estremo di fede mai apparso su pellicola. E punti in comune tra le due opere non saranno pochi.
E' la storia tratta dall' omonimo romanzo di Georges Bernanos di un giovane curato di campagna di Ambricourt, che nonostante tutti i buoni propositi collezionerà fallimenti a destra e a manca, ritrovandosi a morire poi, solo, di cancro allo stomaco, a casa di un prete spretato. La purificazione e la Grazia attraverso un percorso cristologico - come Nazarin - dove la mise en scène bressoniana è rigorosa ed essenziale espressione della sofferenza interiore del protagonista, condannato in una algida solitudine (al di là del cancello a sbarre, metafora che ritornerà, facile ma appena suggerita) scandita dal racconto in prima persona dell' Io (spirituale) del curato attraverso le annotazioni sul diario, che se non sbaglio, vengono riportate fedelmente dal testo da cui è tratta l' opera. Uno dei capolavori massimi della Storia del Cinema.

4 risposte al commento
Ultima risposta 20/08/2009 20.39.48
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Gruppo REDAZIONE amterme63  @  28/12/2007 23:36:10
   9 / 10
Molto affascinante e profondo. Porta alla ribalta una storia particolare, non facile da interpretare. Un giovanissimo curato prende possesso della sua parrocchia nella povera campagna francese. Si tratta di un’anima molto tormentata e che vive totalmente di spirituale, tanto da trascurare tutto ciò che è materiale, compreso il proprio nutrimento. Si ciba infatti solo di pane e vino (guarda caso i simboli dell’eucarestia). Qualsiasi pensiero o azione è sottoposto a riflessione e sviscerato nel suo significato religioso, tanto da diventare quasi un tormento continuo che lo porta in pratica ad autodistruggersi. Interagisce con poche persone fra cui il curato di Torcy, che rappresenta invece l’aspetto più terreno della vocazione religiosa. E’ infatti un bel prete tondo e rubicondo, di carattere energico e pratico. Ci sono poi una serie di presenze femminili conquistate dal fascino (anche profano) che promana il giovane curato, fra cui Chantal, la figlia del Conte, presa anche lei da un sentimento fortissimo, ma di natura opposta rispetto a quella del curato (voglia di passioni forti e intense di natura terrena). Completa il quadro la Contessa, ossessionata dalla perdita del figlio e un vecchio medico ateo anche lui tormentato dalla mancanza del suo lavoro. Entrambi faranno una brutta fine.
Questa storia può essere vista in due modi diversi. Uno puramente religioso e serve per esaltare e nobilitare una grande figura che ha seguito fino in fondo i dettami di Dio, fino a sacrificare il proprio fisico per la fede. Il nucleo centrale di questo aspetto è il colloquio fra il Curato e la Contessa, in cui si proclama la volontà di Dio come volontà assoluta a cui occorre conformarsi nel bene e nel male, le disgrazie come prove di forza per poter comunque andare avanti nella strada disegnata da Dio. E’ questo l’atteggiamento che sosterrà il Curato fino alla fine.
L’altro modo di vedere fa apparire il film come una critica sottile alle ossessioni maniacali, compresa quella spirituale del Curato, anche se la storia tende a esaltare questa figura. E’ la stessa operazione stilistica di Goethe nel romanzo “I dolori del giovane Werther”. Non a caso vengono accostati al Curato le altre figure del medico, di Chantal, della Contessa; tutti con la loro ossessione, come per far capire che la religione è solo un aspetto della psiche umana come tanti altri (può diventare una fissazione, una monomania). Alla fine sono i tipi come il curato di Torcy (i materiali) che sopravvivono e portano avanti le istituzioni. La vita completamente spirituale è quindi una nobile e impossibile utopia.
Il film è una trasposizione del romanzo di Bernanos, fin troppo letteraria. Per tutto il film c’è una voce fuori campo che legge il diario del curato mentre avvengono i fatti. In effetti si ha quasi l’impressione a volte di avere davanti un film muto con la voce narrante al posto delle didascalie. Il film è rigorosamente narrato in soggettiva. Si racconta sempre e solo quello che avviene nell’animo del Curato. Il paese è ostile al Curato, mette in giro voci, ma lo capiamo solo attraverso ciò che viene a sapere lui. Solo alla fine, quasi in punto di morte, quando non riesce quasi più a scrivere, la voce narrante tace e scorrono immagini di un uomo distrutto. L’agonia è raccontata con distacco da terzi. Tutto gira quindi intorno ad un’unica bellissima interpretazione. Bravo l’attore a dare un’immagine indimenticabile del Curato: emaciato, dimesso, con il suo atteggiamento malinconico/triste e tormentato. L’occhio si concede solo qualche bella immagine di chiese e portali gotici. Il resto sono scenografie estremamente semplici e dimesse, proprio per dare il senso di vita staccata dal fisico e dal materiale che conduce il protagonista. Una figura e una vicenda che rimangono senz’altro impressi.

1 risposta al commento
Ultima risposta 30/12/2007 21.40.47
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento goat  @  03/06/2007 14:50:18
   10 / 10
tratto da un romanzo di bernanos.
il libro, ai limiti dell'illeggibile per quanto noioso e statico, è ben più filmico della pellicola di bresson: nel film non tutto cio che è detto viene filmato, ma tutto ciò che è filmato, viene detto.

1 risposta al commento
Ultima risposta 13/06/2007 23.01.22
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