il lungo addio regia di Robert Altman USA 1972
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il lungo addio (1972)

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locandina del film IL LUNGO ADDIO

Titolo Originale: THE LONG GOODBYE

RegiaRobert Altman

InterpretiElliott Gould, Nina van Pallandt, Sterling Hayden, Mark Rydell

Durata: h 1.52
NazionalitàUSA 1972
Generegiallo
Tratto dal libro "Il lungo addio" di Raymond Chandler
Al cinema nel Gennaio 1972

•  Altri film di Robert Altman

Trama del film Il lungo addio

L'investigatore privato Marlowe (Gould) non crede che il suo amico Lennox, imputato di uxoricidio, si sia suicidato in Messico è inizia perciò un'indagine personale che si rivela però ben presto tortuosa e pericolosa. Un pericoloso bandito inoltre lo bracca, convinto che Lennox gli abbia affidato una grossa somma. Non mancano scoperte inquietanti tra cui l'esistenza di un triangolo amoroso in cui era coinvolta la moglie di Lennox. Finale con doppio colpo di scena. Ben riuscito ""tradimento"" dell'opera di Chandler, dove ad Altman riesce il miracolo di attualizzare lo stereotipo di un personaggio sin troppo abusato quale è Philip Marlowe. Elliott Gould è in gran forma. Adattamento cinematografico di Leigh Brackett, già sceneggiatore per Howard Hawks di un classico tra i film tratti da Chandler: Il grande sonno (1946), con la coppia Bogart-Bacall.

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Voto Visitatori:   7,97 / 10 (34 voti)7,97Grafico
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Voti e commenti su Il lungo addio, 34 opinioni inserite

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VincVega  @  27/11/2020 18:07:45
   8½ / 10
"Il Lungo Addio" per ogni cultore del noir è sempre una bella visione, perchè coinvolge nonostante sia atipico per il genere, sviscerando il tema, probabilmente rivoluzionando un genere e creando il sottogenere "neo-noir". La caratterizzazione di Marlowe è stupefacente, insieme alla grandiosa performance di Elliot Gould, probabilmente nel ruolo della vita. L'umorismo ed il cinismo del detective fanno da contraltare all'inganno nel quale si trova Marlowe. Grande finale e ottime musiche.

Curiosità: piccolissimo ruolo per Arnold Schwarzenegger nei panni di uno scagnozzo di Marty Augustine, in uno dei primi ruoli della sua carriera. Stranezza è che due anni dopo in "Marlowe, il poliziotto privato" ci sarà un ruolo simile per Sylvester Stallone.

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Angel Heart  @  16/04/2020 17:20:18
   6 / 10
Intreccio ingarbugliato e dilatato in scene e dettagli che sembrano fatti così tanto per, alla fine il materiale utile allo svolgimento dell'indagine occupa in tutto non più di una ventina di minuti; ciò che tiene incollato l'insieme e in qualche modo impedisce allo spettatore di abbioccare sono la personalità contemporanea di Marlowe (incarnata dal trasandato alternativo Gould) e l'interpretazione tormentata di Hayden (che durante le riprese pare fosse costantemente ubriaco e fumato... scelta artistica o meno che sia, massimo rispetto ed ammirazione).

Comunque, film lineare e troppo lungo, salvato in corner dai due attori principali.

Nota:
particina di presenza (non accreditata) per Arnold Schwarzenegger.

kafka62  @  07/04/2018 11:22:09
   9 / 10
Un anno prima di "Chinatown", Robert Altman ha girato un film che, pur di gran lunga meno conosciuto del capolavoro polanskiano, rappresenta a mio avviso il risultato cinematograficamente più alto e significativo del processo di rivisitazione critica operato dal cinema hollywoodiano nei confronti del genere poliziesco alla Raymond Chandler. Il Philip Marlowe de "Il lungo addio" (interpretato da un grande Elliott Gould) è, non diversamente dal Sam Spade de "Il mistero del falco") un born loser (come gli rinfaccia l'amico Terry Lennox nella fatidica sequenza finale), ma questa sua condizione di perdente viene amplificata da un approccio con il mondo e con la vita assai più problematico e difficoltoso di quello che caratterizzava l'anti-eroe bogartiano: isolato nella sua esclusiva torre d'avorio (un appartamento all'ultimo piano raggiungibile solo in ascensore), senza neppure una donna da amare (ma con un gatto capriccioso che lo costringe a svegliarsi nel cuore della notte per preparargli il cibo), il Marlowe in versione altmaniana è più bonaccione, più disponibile, più scanzonato dei suoi predecessori, ma è anche, rispetto ad essi, più debole e indifeso, maggiormente dominato dagli avvenimenti esterni. Altman sfrutta però la maggiore umanità del personaggio (ottenuta, come suo solito, per mezzo di una serie di piccoli gesti "rivelatori", dal modo di accendere i fiammiferi all'abitudine di commentare con un autoironico "è OK per me" le situazioni più scoraggianti) non tanto per smitizzare iconoclasticamente il genere o destrutturarlo dal punto di vista della costruzione narrativa (sebbene l'ironia un po' buffonesca di Gould da una parte e l'assenza quasi assoluta di tensione emotiva dall'altra sembrano farlo credere), quanto per portare avanti un discorso più ampio sull'amicizia e sui rapporti umani in genere. Marlowe, pur vantandosi di essere un buon conoscitore della vita e delle sue regole, tarda ad afferrare il bandolo della matassa, si ostina contro tutte le apparenze ad andare nella direzione sbagliata e alla fine viene crudelmente beffato proprio dalle persone (l'amico Terry e Eileen Wade) cui ha concesso la sua fiducia: l'uccisione di Terry, degno epilogo di un film malinconico e crepuscolare, è in fondo, più che la esemplare reazione di un uomo tradito nelle cose che ha più care, la sconsolata e caustica ammissione, da parte del regista, della definitiva perdita di senso, in una società cinica e materialista come la nostra, di ogni ideale o valore.
A supportare questa pessimistica concezione dell'esistenza concorre la stessa struttura formale del film. Le matrici stilistiche de "Il lungo addio" sono infatti l'ambiguità e l'incomunicabilità. La macchina da presa di Altman, pur carrellando e panoramicando meno che in altri film, non è mai ferma e (complice anche un montaggio nervoso) crea un vago senso di disorientamento, di perdita dei consueti punti di riferimento spaziali. La struttura ellittica della sceneggiatura non è estranea a queste argomentazioni, ma più importanti ancora sono le invisibili ellissi, gli impercettibili salti di fotogramma disseminati un po' ovunque, che accrescono, subliminalmente, l'impressione di ambiguità della pellicola. Nel film, inoltre, i personaggi hanno modo di accedere con incredibile facilità alla privacy altrui (attraverso una finestra Marlowe assiste all'incontro tra la signora Wade e Augustine e ascolta il colloquio tra il dottor Verringer e lo scrittore, in uno specchio segreto, a sua volta, egli viene spiato dagli uomini della polizia) (*). Questo eccesso di visione non si traduce però in una maggiore comprensibilità della realtà, né in una accresciuta possibilità di comunicazione interpersonale; al contrario, esso segna il definitivo scacco dell'individuo, costretto ad inseguire affannosamente una verità in conoscibile e confinato in una solitudine senza rimedio. Non inquadrato per definizione, Marlowe si scontra invano con un mondo che non ammette conciliazioni (basta pensare al modo sostanzialmente identico con cui sia i poliziotti sia i gangsters accolgono le sue battute umoristiche) e non lascia superstiti dietro a sé (in questo senso, il suicidio dell'unico personaggio che, oltre al protagonista, ancora possieda un residuo di umanità, vale a dire il signor Wade, assume un valore sacrificale). Non è un caso che il solo gesto di amicizia che il detective riceve nel corso del film (il dono di una armonica) è opera di un uomo completamente fasciato dalla testa ai piedi: al di là delle più o meno attendibili interpretazioni della critica (che vede nella mummia soprattutto una sorta di "doppio" di Marlowe), mi sembra che nella sequenza dell'ospedale Altman esprima con crudo e angoscioso simbolismo il grado zero dei rapporti umani (e simbolico è senz'altro anche il personaggio del gatto che, ad un certo punto del film, come fa notare La Polla, "fugge da un buco su cui sta scritto in spagnolo porta del gato, ovvero attraverso quel confine col Messico che varcherà anche Terry di lì a poco").
Anche prescindendo dal suo aspetto filosofico e morale (non moralistico, si badi), "Il lungo addio" è un film straordinario, talmente inventivo e ricco di trovate originali da poter stare senza sforzo alla pari con le più celebrate opere di Altman: dall'atmosfera stralunata di una Los Angeles ricreata dal magico obiettivo di Vilmos Zsigmond (geniale tanto nelle sequenze notturne illuminate dalla luna quanto in quelle girate sotto la luce accecante del sole californiano) agli strambi e insoliti personaggi che fanno capolino qua e là nella storia (il gangster Augustine, ora dolce e premuroso ora isterico e violento, il quale sembra uscito da un film di Fassbinder, il guardiano del residence di Malibù che si diverte a fare le imitazioni degli attori del passato, il detective imbranato che pedina Marlowe), dall'interpretazione eccezionale di Elliot Gould e di Sterling Hayden (il secondo, soprattutto, giganteggia nella scena della spiaggia quando, dopo essere stato schiaffeggiato dal dottore, anziché far esplodere l'ira furibonda che il suo atteggiamento rodomontesco lasciava supporre, diventa inopinatamente un docile agnellino, umiliandosi davanti a tutti gli ospiti) alla struggente canzone di John Williams e Johnny Mercer (che, diffusa dalla radio, cantata dal pianista di un piano-bar o suonata addirittura come marcia funebre, percorre discretamente l'intero arco della narrazione), tutto contribuisce a elevare "Il lungo addio" al di sopra del livello medio e delle convenzioni di un normale film di genere e a restituire Marlowe e compagni, dopo averli sbeffeggiati con affettuosa nostalgia, all'ineffabile sfera del Mito cinematografico.

(*) Quello dello specchio è un leit motiv ricorrente del film e dà modo a Zsigmond di ottenere virtuosistici effetti ottici, come nella sequenza in cui la macchina da presa assiste dietro la vetrata al dialogo tra i coniugi Wade, riflettendo contemporaneamente l'immagine di Marlowe che gioca con le onde sul bagnasciuga, in una straordinaria sovrimpressione "naturale".

DogDayAfternoon  @  27/11/2017 13:59:06
   7½ / 10
Ottimo film noir di Altman basato su un romanzo di Chandler. L'interpretazione di Elliot Gould è perfetta, degna continuazione di quella di Bogart ne "Il grande sonno".

La storia è a tratti un po' difficile da seguire, ma nel finale diventa tutto più chiaro. Punto forte del film sono a mio avviso i dialoghi e la caratterizzazione di Philip Marlowe, non ho trovato invece all'altezza la colonna sonora dove viene riproposto in continuazione lo stesso motivetto intitolato appunto "Il lungo addio", tra l'altro titolo piuttosto ambiguo che non sono ancora riuscito a ben interpretare. Da segnalare anche l'ottima prova di Sterling Hayden.

Thorondir  @  15/11/2017 11:52:03
   8 / 10
Noir destrutturato, fuori dai classici stilemi del genere, figlio di un regista che andava al di là dei generi, similmente al lavoro che faceva un regista più o meno coevo come Arthur Penn. Decisamente meno oscuro del classico noir, il lavoro di Altman è in quache modo un tramite verso il cinema futuro, che va a pescare senza problemi anche nell'ironia e nell'importanza sempre maggiore che assumerà la componente stilistica e prettamente di "messa in quadro". Concordo con chi dice che non sia un film in grado di piacere a tutti.

david briar  @  03/11/2015 00:19:19
   8 / 10
Roba di classe da studiare nelle scuole di cinema,decostruzione di un genere e di un personaggio fatta con ironia ed eleganza,con un uso dello spazio e delle inquadrature molto simbolico e significativo,spesso meta-cinematografico.
Epico in maniera inversa alle aspettative, nonostante lo scarso successo all'epoca penso sia stato un film decisamente importante per il suo genere. Gould è perfetto per questa variante del ruolo,come gli altri attori, l'intreccio è volutamente sregolato e privo della suspense convenzionale, crea una suspense tutta sua verso la prossima mossa di Altman nel sovvertire i vari stereotipi,non solo dell'hard-boiled.
Capisco che ad uno a cui non interessa questo discorso il film possa risultare noioso e poco interessante,per me rimane un gioiello con un posto preciso nella storia del cinema e per ora il più bel film che abbia visto di Altman..

Filman  @  24/03/2015 22:50:58
   9 / 10
Punto d'intersezione in cui l'immaginario di Robert Altman incrocia il noir, THE LONG GOODBYE porta con se tutta l'anticonvenzionalità dell'ormai sbocciato regista Hollywoodiano, a cui va il merito di aver rinvigorito il genere con una ventata di modernismo e decostruttivismo, radicati nella stesura dei caratteri più significativi, i quali superano i canoni classici a cui il sottogenere rimarrà legato per un paio di decenni ancora fino all'arrivo del noir Coeniano, sopraggiunto grazie all'ispirazione dello stesso capolavoro Altmaniano in questione.
Segno di tale innovazione è l'intreccio narrativo della pellicola, originale nella sua rappresentazione ai limiti del grottesco e di brillante genuinità, spesso composta da tracce verticali e sconnesse fra di loro, carattere riscontrabile in altre opere del regista, poco dedito allo sviluppo della trama e ad una sua uniformità, così come vuole la sua visione cabarettistica del cinema.

_Hollow_  @  02/09/2014 03:15:19
   9 / 10
Un po' difficile da seguire (la sceneggiatura lascia molti punti all'intuito da detective dello spettatore).
Gould comunque da una buona interpretazione del Marlowe romanzesco, decisamente diversa rispetto a quella di Bogart ma non per questo inferiore, anzi. Ne salta fuori un personaggio decisamente (post)moderno, non stereotipato secondo i criteri del noir, dal carattere simile ad un Arsenio Lupin o al protagonista di Cowboy Bebop (non solo psicologicamente, ma anche nell'aspetto). Ciò risalta soprattutto nel finale, che è meraviglioso.

"Si, ma non questa volta."

Complimenti a Gould e ad Altman.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR elio91  @  17/05/2012 11:46:42
   8 / 10
Lo premio per il suo essere una continua gara di anticonvenzionalità. "Il lungo Addio" è talmente poco cinematografico e quasi destrutturato da tutte le regole che dovrebbero fare di lui un noir da essere un altro lavoro da ricordare del grande Altman. Tratto da Chandler, con protagonista Marlowe, il rischio è grande ma Altman riesce a demitizzare del tutto in primis il protagonista (eccezionale l'inizio con il gatto, un quarto d'ora di altissimo (non)cinema), poi Hollywood tutta in questa sua battaglia durata tutta una vita.
Un modo di fare cinema difficile da inquadrare ad una prima occhiata, ma che se visto attraverso i giusti filtri può entusiasmare parecchio; ovviamente se si cerca un Marlowe puro secondo la visione di Chandler bisogna andare indietro a quelli mitici di Bogart e Mitchum, ma Gould rappresenta in un certo senso il canto del cigno del personaggio e del genere: un uomo solo, strafòttente ma anche disilluso, che nel finale si prende un'ultima rivincita inaspettata.
Ma per quanto fino ad ora abbia parlato di non-cinema, ovviamente non è la definizione esatta: scene potentissime ce ne sono a bizzeffe, al di là di qualsiasi tono grottesco e satirico assume la vicenda. Altman sapeva il fatto suo; anche la fotografia contribuisce a rendere quantomeno "strano" questo lunghissimo, agonizzante addio di un cinema che già all'epoca aveva fatto il suo tempo. Altman lo aveva capito, Hollywood ovviamente era troppo impegnata a contare i soldi.

ste 10  @  17/12/2011 01:10:26
   7½ / 10
Un noir carismatico e avvincente

Goldust  @  10/11/2011 11:34:46
   7½ / 10
E' un film che nell'andazzo riflette le caratteristiche del suo personaggio, un Marlowe insolito, indolente e sbruffone. Vive di buoni momenti e di un finale - riscritto e difeso da Altman - ad effetto. La confezione è impeccabile, come Elliott Gould che a modo suo non fa rimpiangere Bogarde ma nella visione d'insieme mi è parso però troppo tortuoso ( e anche un pò ambiguo ). Gli ultimi secondi del film mi hanno ricordato il finale

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edmond90  @  23/01/2011 00:47:08
   10 / 10
E' ok per me!

Un classico assoluto della New Hollywood anni'70,da uno dei grandi maestri di ogni tempo,Robert Altman.
Un'operazione riuscitissima,la decostruzione del noir,uno dei generi di punta dell'età dell'oro degli studios.
Privo apparentemente di ritmo,il film cresce di minuto in minuto,pervaso da un'atmosfera sottilmente inquietante e sempre piu coinvolgente fino al folgorante finale,palcoscenico perfetto per l'interpretazione guascona e disincantata di Gould,personaggio decisamente agli antipodi rispetto al Marlowe classico di Bogartiana memoria.
Grande dunque Gould,che rivitalizza e svecchia lo stereotipo dell'investigatore solitario.
Grandi i personaggi di contorno,su tutti un titanico Sterling Hayden nei panni dello scrittore fallito e uno stralunato Mark Rydell come gangster eccentrico.
Grandissima la fotografia di Zsigmond,dai colori tenui,quasi spenti ad esaltare il clima di placido abbandono che si respira nella pellicola.
Ancor piu grandi sono il coraggio e il talento di questo straordinario regista,che con una semplicita'disarmante si erge a perfetto sbeffeggiatore delle sacre convinzioni hollywoodiane.
Grande ed eterno infine Raymond Chandler,cantore insuperabile del moderno mito americano e dell'amicizia virile,decisamente un autore da riscoprire ed apprezzare.
Un film al quale sono particolarmente affezionato,da vedere e far vedere agli amici!

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Gruppo COLLABORATORI Harpo  @  22/11/2010 11:11:37
   9½ / 10
Un Jelliott Gould in stato di grazia per un noir insolito e riuscitissimo.

Gruppo REDAZIONE VincentVega1  @  23/08/2010 17:31:34
   8 / 10
Noir atipico con un protagonista (il bravissimo Gelli Belli) totalmente diverso dal Marlowe dei film precedenti. Un uomo che è come tutti gli altri, ingenuo ma non per questo stupido, che porta avanti la sua crociata morale verso un amico che non può essere l'assassino.

E di contorno ci sono quei personaggi sciocchi e disillusi degli anni '70, gli hippies e i fott.uti ricchi, la polizia cretina e le donne nude.

E per un uomo a cui basta dar da mangiare ad un gatto per vivere sereno la sua quotidianità, quel finale con quel sangue così familiare sarà forse la cosa più difficile da affrontare.

Libss  @  01/03/2010 19:49:16
   10 / 10
Semplicemnete il noir più bello di tutti i tempi.

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  30/10/2009 22:25:21
   7½ / 10
Un altro atto nella riscrizione da parte di Altman dei generi cinematografici tradizionali americani. Stavolta viene rivisitato il noir, prendendo come soggetto uno dei suoi grandi protagonisti, l’investigatore privato Marlowe, frutto della penna di Chandler e già portato ai fasti del grande schermo grazie a Humphrey Bogart e Hawks.
Altman svuota completamente il genere dalla sua atmosfera tipica fatale e morbosa, un po’ gotica e espressionista. Fin dai primi fotogrammi la vicenda appare immersa nella banale, banalissima vita quotidiana, con i suoi atti anche insignificanti, come dare il mangiare al gatto, andare al supermercato, dialogare con i vicini di casa, aiutare un amico in difficoltà.
Le storie “poliziesche” non vengono usate da Altman per creare suspense, tensione nello spettatore o per farlo evadere nel mondo speciale dei personaggi, forti, duri, temprati dalla vita. Servono piuttosto per creare uno spaccato abbastanza critico della società, con gli hippies già chiusi nelle loro stranezze, la gente comune con i suoi vizi consumistici, i ricchi con i propri problemi psicologici e l’infedeltà sessuale, la polizia vista come ottusa e burocratica.
Le trama in sé è quasi secondaria, le vicende “poliziesche” stanno sullo sfondo e tutto si svolge con facilità, quasi automaticamente. Conta il comportamento e la descrizione dei personaggi e dei luoghi. C’è poca drammaticità o tensione, anzi prevale l’ironia, il sarcasmo. Esemplare è il trattamento che viene riservato ad Augustin con la sua banda di malviventi. Sono persone pericolose, fanno sul serio, ma si comportano in maniera strana, a volte ridicola (come quando si spogliano) e sembrano anticipare i gangster comici di Tarantino.
E’ soprattutto la figura di Marlowe che viene rivista completamente. E’ rappresentato come una persona bonacciona, allegra, spiritosa, in sintonia con il mondo, lontanissimo dalle figure tormentate, deluse, serie della grande stagione del noir classico. Sembra vivere la vita senza farsi tante domande, così com’è. Un uomo normale quindi, non un eroe di romanzi o film di genere. C’è da dire che Elliot Gould ne dà una interpretazione superlativa, con la sua faccia tosta da schiaffi, le sue smorfie ammiccanti, il suo sorrisetto ironico, le strizzate degli occhi. Dal punto di vista affettivo sembra tenere solo al suo amico e visto il comportamento finale, l’amicizia sembra qualcosa di più dell’amicizia, sfiorando il vero e proprio amore.
Altman completa la rivisitazione del genere usando tecniche di regia insolite e innovative. Infatti si azzarda a riprendere alcune scene controsole, usa spesso la mdp a spalla, riprende le figure con oggetti davanti, oppure attraverso specchi. La fotografia è molto bella e curata, i colori brillanti e nitidi ma questo si sa, è un marchio del cinema dei primi anni ’70.
L’esperimento si può dire in parte riuscito, grazie all’interpretazione di Gould che da solo regge in pratica tutto il film e soprattutto alla splendida arte registica di Altman. Solo se ci si concentra su questi aspetti artistici si può dire che il film dia grandi soddisfazioni.
Da notare la trasformazione di Sterling Hayden, quasi irriconoscibile nei panni di uno scrittore alcolizzato. Nella scena dello “spogliarello” c’è poi la sopresa di un giovane Arnold Schwarzenegger in mutande.

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Invia una mail all'autore del commento RadicalGrinder  @  24/07/2009 04:25:08
   9 / 10
Non imparerai mai... perdi sempre.
Sì, ma non questa volta!

Lunatico  @  20/06/2009 22:46:35
   9½ / 10
Invia una mail all'autore del commento wega  @  21/12/2008 20:15:57
   10 / 10
Eccolo il capolavoro di Altman e il genio di questo regista, capace di riscrivere del tutto l' opera di Chandler "The Big Sleep" (vedendo i Neri degli anni '40 non che l' abbia letta) tanto che quel che ne esce fuori non è più un noir ma un giallo. Il Marlowe di Altman è diverso da quello interpretato da Humprey Bogart, Dick Powell o Robert Mitchum (che per l' occasione mi sono rivisti tutti), non è un personaggio disilluso bensì un personaggio con una morale ben precisa, che crede nell' amicizia come valore tanto da vedere cospirazioni, complotti, perdendo il filo di una soluzione più semplice e logica pur di non accettare la sacrosanta realtà. SPOILER Ecco perchè quel sparo finale viene definito "il colpo di pistola più morale della storia del cinema" SPOILER. La sceneggiatura è un po' meno ingarbugliata rispetto a quella di Hawks, ma dai dialoghi altrettanto taglienti, e con un costante humor beffardo; straordinaria l' interpretazione di Elliot Gould in questo senso. Virtuosimo impercettibile e un saggio di regia: la sequenza della fuga con le scale parallela all' ascensore è un esempio di come saper utilizzare al minimo il montaggio con la profondità di campo in piano sequenza. Anche qui non si lascia da parte il metacinema, con "cammei" citazionisti di Walter Brennen, Jerry Lewis e John Wayne. Da antologia l' interrogatorio, indimenticabile il montaggio parallelo dei titoli di testa sulle note di "It's a long goodbye".

1 risposta al commento
Ultima risposta 21/12/2008 20.19.04
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xxxgabryxxx0840  @  20/11/2008 23:35:02
   7½ / 10
Altman riesce a riscrivere Chandler in modo un pò bizzarro ma riuscito. Elliott Gould non è Bogart ma fornisce un'ottima prova. La nostalgia del "vero" Marlowe però si fa sentire

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento matteo200486  @  12/08/2008 00:19:02
   9 / 10
“Nulla dice addio come una pallottola”

Gli Anni 70. A mio parere il decennio in cui Altman diede il meglio di sé come regista, il decennio dei capolavori. Solo per citarne qualcuno M.A.S.H, Nashville, I Compari e appunto Il Lungo Addio. Altman riuscirà a ritornare su questi grandi livelli solo con America Oggi negli anni '90.
Tratto dall'omonimo romanzo di Chandler, Altman non lo segue fedelmente anzi gli si discosta in molti punti. In primis l'ambientazione: non più anni '40 ma i contemporanei anni '70.
Inoltre in altri punti la trama è piuttosto differente, ma The Long Goodbye rimane un film fantastico. Cinico e spietato, ma soprattutto sleale. L'amicizia svanisce di fronte agli interessi personali.
Il finale è bellissimo, significativo e terribilmente chiarificatore. Si gira intorno a 5 personaggi, si riflette sulle loro relazioni e sul mistero che gli avvolge fino a comprendere il tutto con un finale azzeccato.
La regia è ottima, costantemente concentrata a rappresentare le gesta del nostro investigatore privato Marlowe. Alcune scene sono bellissime come l'interrogatorio alla centrale di polizia con un paio di sequenze memorabili.
Ma la cosa che mi ha sorpreso di più è la recitazione. Elliott Gould riesce a rendere l'interpretazione dell'investigatore Marlowe ( già fatta in passato da Bogart e Mitchum) fresca e divertente. L'ironia del personaggio è tagliente (“ Sandwich? No, no grazie non fumo” ).
Questa sigaretta continuamente accesa e quel modo bizzarro di accendere i fiammiferi lo rendono meraviglioso: un investigatore del genere noir trasportato negli anni '70.
Tra gli attori: Schwarzenegger.
La colonna sonora è bellissima, di quelle che si ricordano.
Film splendido, tra i migliori di Altman.

“Ehi Lincoln, qui c'è solo il tuo corpo lo spirito è fuori: ci vediamo quando esci”

popoviasproni  @  03/04/2008 19:36:18
   7 / 10
Un film che tarda a decollare con un protagonista dalla battuta e dalla sigaretta facile che "ingombra" tutto il film.
Rimane cmq buona la struttura narrativa così come le caratterizzazioni dei personaggi, funzionali alla storia.
Tanto mestiere.
Buon finale!

benzo24  @  23/03/2008 19:24:02
   10 / 10
il mio preferito di altman.

Gruppo COLLABORATORI SENIOR The Gaunt  @  23/03/2008 18:57:09
   8½ / 10
Ottima rilettura operata da Altman tratta dal romanzo di Chandler. La scelta di Elliot Gould sembra spiazzante, ma il suo fare sottilmente ironico e disilluso si combina alla perfezione con il personaggio chandleriano. L'intreccio passa in secondo piano: il film parla di amicizia e del suo tradimento. Il tono molto crepuscolare del film è reso perfettamente dalla regia di Altman e dalla fotografia di Zsigmond. Bravissimo anche Sterling Hayden.

Gruppo STAFF, Moderatore Jellybelly  @  09/03/2008 14:10:02
   8½ / 10
Altman stravolge Chandler, rendendolo proprio ed adattandolo al suo personalissimo stile: Marlowe diventa così un perdente sdrucito che è l'antitesi di quello di Bogart, un uomo apparentemente mite dall'aria assonnata che si trova travolto da una storia più grande di lui, di cui definirà il contorno solo alla fine.
All'inizio spiazzante, "Il lungo addio" spiccherà il volo col passare dei minuti, fino alla splendida scena finale, in cui tutto verrà nuovamente capovolto; Elliott Gould (che per inciso è il mio sosia...) è fondamentale nel rendere il tutto credibile, con la sua recitazione sorniona ed il suo sguardo sbattuto.
Meritevole di menzione anche il gigantesco ed istrionico Sterling Hayden, vecchio protagonista di tante battaglie.

2 risposte al commento
Ultima risposta 09/03/2008 14.59.18
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Gruppo COLLABORATORI Terry Malloy  @  02/03/2008 14:32:15
   9 / 10
Ritengo questo il film più rischioso e quindi più riuscito della carriera di Altman, o perlomeno quello in cui si è messo più in discussione.
“The Long Goodbye”, un sorriso ironico, ma amaro a un mondo che con Altman ha sempre intrattenuto un rapporto confidenziale e a cui il grande cineasta dice addio…
Dopo peripezie, alti e bassi, divertimento e anti-convenzionalità, il momento catartico dell’addio, l’omicidio di Hollywood, irresponsabile amica.
Meravigliosamente ricostruito il personaggio di Marlowe e interpretato (Elliot Gould), quasi moralistica (in senso fortemente positivo) la scelta di un personaggio che ha reso grande il Cinema americano nei primi anni di Hawks, ma che rappresenta anche la contraddizione della “Happiness Factory”: invincibilità fragile, leggera responsabilità.
E Altman dà vita a un personaggio geniale, splendido e fortemente personale, quasi commovente nel pensare a quanto Robert abbia dato al Cinema.

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Ultima risposta 02/03/2008 14.41.26
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The Monia 84  @  19/02/2008 12:54:42
   8 / 10
Una rilettura aggiornata e intelligente del personaggio Marlowe, un Marlowe diverso da quello di Bogart, ma scanzonato e credibile per gli anni in cui è stato girato questo grande film noir di Altman. Elliott Gould, ovviamente, nella sua interpretazione più riuscita (non c'è una scena in cui compare senza sigaretta). Wade soffre si del complesso di Hemingway ma è, in realtà, un ritratto dello stesso Chandler, amaro e dolente.

Gruppo REDAZIONE K.S.T.D.E.D.  @  02/07/2007 15:41:44
   8 / 10
Non è che sia propriamente semplicissimo commentare questo film; chiunque avesse letto il romanzo di Chandler, penso, si troverebbe in questa mia stessa situazione. Il Marlowe di Altman è un Marlowe atipico, non semplicemente perché appare del tutto diverso da quello che abita le pagine del libro, ma perché se alle volte sembra effettivamente tutt’altro investigatore, completamente opposto, con una sua storia, un suo passato, altre volte, invece, sembra proprio il M. cartaceo; cosa più importante, però, è che questo dualismo vive nel personaggio interpretato da Elliot Gould (lasciatemelo dire, strepitoso) senza che si avverta il benché minimo contrasto. Per la riusctita della pellicola, questo, è un aspetto fondamentale ed altro non è, in altri termini, che la maestria, nonché il coraggio, di Altman e Brackett (sceneggiatore) di prendere un indiscusso capolavoro hard-boiled e rivisitarlo in modo sostanziale, stravolgendo alcuni dei codici fondamentali del genere e riuscendo, al tempo stesso, a mantenere intatti i legami con lo stesso.
Questo Marlowe ha la battuta pronta e riflette fra sé e sé ad alta voce, come quello Chandleriano, ma al contrario di quest’ultimo è molto meno disilluso e affronta la vita con più leggerezza, senza esser troppo duro né con se stesso né con gli altri; un personaggio ha sempre degli elementi che lo contraddistinguono e che lo rendono unico: il M. del film, al contrario dell’originale, ha un gatto che ben presto, grazie a pochissime battute, diviene il suo gatto, il gatto di M. appunto, ma ha anche elementi caratteristici del M. dei romanzi, come la tipica risposta all’osservazione del cliente “non abbiamo parlato del suo onorario”, “50(40) dollari più le spese, niente anticipo” .. il tutto a favore del distacco-continuità precedentemente detto e che, ripeto, a mio avviso è il punto di forza di questa pellicola. Tutto si svolge al presente e ciò significa che Altman non ricorre alla narrazione al passato e quindi non al flashback, strumento caratterizzante il noir più classico (importante elemento, questo, di distacco che implica una rivisitazione non solo del romanzo ma più ingenerale del genere stesso); anche le atmosfere non sono poi così cupe come nel nero anni ‘40, bensì più sostenibili e molto meno dure. Non lo definirei neanche un noir.
Quando ci si rivolge ad un libro per un proprio film, o lo si porta fedelmente sullo schermo a mo’ di tributo oppure, laddove se ne abbiano le capacità, lo si rivisita e gli si dà un’anima propria e il “Il Lungo Addio” ne è un esempio perfetto.

La regia, ottima, è in gran parte ferma ed essenziale, inframmezzata solo ogni tanto da una certa ricercatezza (che si concretizza in riprese che sfruttano il riflesso di un vetro o lo spazio visivo lasciato da una pianta) e gli attori principali, dal canto loro, rispondono con una prova perfetta; Gould, lo ribadisco, è strepitoso (mezzo voto in più solo per la sua interpretazione) e Sterling Heiden, benché irriconoscibile per chi come me fa riferimento alla sua interpretazione in “Giungla D’asfalto” o “Rapina a Mano Armata”, risulta perfettamente calato nella parte dello scrittore ormai vuoto, irascibile.. alla deriva.
Unici aspetti negativi, a mio avviso, sono il finale e il non approfondimento del rapporto d’amicizia Lennox-Marlowe che avrebbe spiegato il significato e avrebbe dato più forza di/a determinati atteggiamenti del protagonista e avrebbe, in generale, conferito più pathos all’intera pellicola. Anche la caratterizzazione del cattivo di turno, in realtà, non è particolarmente convincente e, limitatamente alla versione italiana, il doppiaggio dello stesso è orrendo.

3 risposte al commento
Ultima risposta 02/07/2007 16.01.56
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento emans  @  23/03/2007 15:57:09
   6 / 10
in questo film fa molto l'interpretazione del simpatico protagonista(e la produzione ne aveva scelto un'altro in origine) perche la storia è abbastanza semplice e senza colpi di scena...il personaggio dello scrittore in crisi l'ho trovato poco interessante e a tratti fastidioso...insomma una storia abbastanza classica confezionata bene!

Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Requiem  @  08/07/2005 21:51:49
   10 / 10
Secondo me "il lungo addio" è il miglior film di Altman in assoluto. Uno degli esempi migliori di come un soggetto possa essere modificato a proprio piacimento secondo le esigenze , da un altro vero artista come il Robert Altman di quel periodo.
Tratto da un romanzo di Raymond Chandlar, Il Gould - Philip Marlowe è l'esatto contrario di quello di Bogart. Un perfetto antieroe interpretato magistralmente da Elliot Gould.

Alla fine ne esce un capolavoro, per la regia di Altman che trasforma il romanzo hard boiled in un ritratto amarissimo dai toni però leggeri, per gli attori, bravissimi e la fotografia magistrale.
Ripeto, secondo me è uno dei punti pù alti della carriera di Altman, sicuramente il mio preferito.


PS: notate, in un cameo, Arnold Swarrzenegger, credo che sia una delle sue primissime apparizioni al cinema...

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