Sei un blogger e vuoi inserire un riferimento a questo film nel tuo blog? Ti basta fare un copia/incolla del codice che trovi nel campo Codice per inserire il box che vedi qui sotto ;-)
La "morale" mi ricorda un po' Quelo: "La risposta è dentro di te, e però è sbagliata". Considerato che alla fine Andrea rimane nel convento, mi sembra che questa frase calzi a pennello.
"Per essere tutto nella vita ero arrivato a non essere niente"
Ci vuole coraggio a realizzare una storia di ricerca spirituale e religiosa senza pensare alla Cei e a tutto cio' che sta invero allontanando la gente della chiesa e ancor di piu' dalla "vocazione al mistero di D.i.o.". Il film è un vero e proprio oggetto non identificato del cinema italiano, ed è come se avessimo un po' tutti bisogno di trovare una via dello spirito che sembrava col tempo essersi completamente estinta. Non certo nel cinema: da Bellocchio a Ferrara tutti si interrogano sul senso della Vita, domanda immensa alla quale nessuno sa dare risposte, grande come gli spazi confinati di Costanzo, mentre filma l'isola di San Giorgio e il convento gesuita come se si trattasse di un'illimitata fonte tecnica: il bianco e il nero dominano sulla struttura, le stanze disadorne e pulite, il silenzio (come riflessione interiore) spezzato ogni volta dai contrasti interni ed esterni della vita "terrena" e quella della Rinuncia (scissione?). Straordinario il volto di Christo Jivkov (presente anche nel cast dell'ultimo film dei Taviani), e molto di Bellocchio c'è nel personaggio di Zanna. interpretato da Filippo Timi. Un film che aderisce alla storia quasi imponendo forti dibattiti, come se lasciasse allo spettatore il compìto di condividere o meno certe scelte, ma anche piuttosto laico come testimonianza di ragioni che fanno parte dell'individualità (la paura, la viltà, la debolezza, la codardia, la condanna, la liberazione spirituale). Nei rituali simili a una quotidianità da caserma (come nell'abnegazione della vita dedita al sacrificio e riflessa al culto della stoicità della fede), nelle ombre che minano il pensiero dell'Uomo, nei rumori notturni che mimano gli ingredienti tipici di un noir, "In memoria di me" è un film forse freddo, tecnicamente superbo, che non riesce sempre a trasmettere la lucida alienazione di quei corpi che seguono, poco individualmente, il proprio ritiro dai clamori e dal materialismo del mondo. E proprio per questo il film raggiunge i migliori risultati soprattutto nella cornice tecnica, quando Costanzo è davvero persuasivo nel colmare il "vuoto" e la sobria monumentalità degli interni con diverse velleità sperimentali (cfr. la stanza segreta di Zanna, la fuga all'alba di Fausto, il grido soffocato di Andrea nel silente rigore dei corridoi del convento). Piu' discutibile il finale, con quel senso di velata utopia del Mistero e la consacrazione del (vero) dubbio. Visto che "sopportiamo quello che siamo" (è antitetico al "diario di un curato di campagna" di Bresson) il film ha comunque la forza di esaudire il riflesso della coscienza, senza imporre allo spettatore vere risposte.
Dopo il buon esito di critica del precedente primo lavoro "private", molto apprezzabile per arditezza della trama e delle scelte registiche, il "figlio di costanzo" torna al grande pubblico con un film che affronta il tema della vocazione religiosa, del senso da dare alla vita, del rispetto della propria interiorità. Liberamente ispirato al romanzo "Il Gesuita perfetto" di Furio Monicelli, il film scorre lento, ed è interamente ambientato nell'ex monastero che ora ospita la Fondazione Cini a Venezia. Monocorde, insiste più sui risvolti psicologici immaginati dei protagonisti piuttosto che sui dialoghi. Il risultato comunque appare pretenzioso e abbastanza velleitario, una sorta di tiepida prova di una giovane promessa. La sceneggiatura in diversi punti lascia perplessi (la discesa tardiva del protagonista nel refettorio) e anche i commenti musicali a volte appaiono fuorissimo luogo, con un uso a mio parere inappropriato di temi classici. La vetrata del seminario è inquadrata mille volte, e le espressioni del protagonista si contano in tutto su una mano.... insomma, non è un esperimento ben riuscito, "Private" era più acerbo, meno pretenzioso, più omogeneo...
Alla fine non c'è un messaggio univoco, poichè i due protagonisti scelgono strade diverse ma entrambi appaiono felici.... non si tratta probabilmente di parteggiare o meno per l'appartenenza religiosa, quanto piuttosto di scegliere di seguire la propria strada...