primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera regia di Kim Ki-duk Corea del Sud, Germania 2003
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primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (2003)

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locandina del film PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO... E ANCORA PRIMAVERA

Titolo Originale: BOM YEOREUM GAEUL GYEOUL GEURIGO BOM

RegiaKim Ki-duk

InterpretiOh Yeong-su, Kim Ki-duk, Kim Young-min, Seo Jae-kyeong, Ha Yeo-jin, Kim Jong-ho, Kim Jung-young, Ji Dae-han, Choi Min, Park Ji-a, Song Min-Young

Durata: h 1.43
NazionalitàCorea del Sud, Germania 2003
Generedrammatico
Al cinema nel Giugno 2004

•  Altri film di Kim Ki-duk

•  Link al sito di PRIMAVERA, ESTATE, AUTUNNO, INVERNO... E ANCORA PRIMAVERA

Trama del film Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera

Nessuno è immune dal potere delle stagioni e dal loro ciclo annuale di nascita, crescita e declino. Nemmeno i due monaci che dividono l’eremo galleggiante su un laghetto circondato dalle montagne. A mano a mano che passano le stagioni, ogni aspetto delle loro vite si fonde con una intensità che porta entrambi ad una maggiore spiritualità – e alla tragedia.

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Voto Visitatori:   8,34 / 10 (133 voti)8,34Grafico
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Voti e commenti su Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera, 133 opinioni inserite

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tarr97  @  11/05/2020 11:35:09
   10 / 10
Che posso dire di Kim Ki Duk è un regista amato da tutti quelli che adorano il cinema fatto di simbologie ed è odiato da tutti quelli che lo vedono come un maniaco che mette il sesso ovunque. io sto nella via di mezzo (guarda la coerenza nel buddismo esiste la via di mezzo ) ovvero adoro come nei suoi film riesca a far parlare con le immagini senza dialoghi e allo stesso tempo detesto il modo in cui a volte si esprime in maniera eccessivamente retorica. Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera insieme a Ferro 3 la casa vuota è il picco più' alto di qualità raggiunto da Kim Ki Duk. ambientato su un monastero buddista galleggiante sul lago Jusanji in Corea del sud. il film narra delle varie fasi della vita di un monaco tramite le stagioni
Primavera : infanzia
Estate : giovinezza
Autunno: età adulta
Inverno : vecchiaia
E ancora primavera : nuova infanzia
abbiamo varie simbologie come lo scorrere del ruscello che rappresenta la vita
ci sono diversi animali nel monastero in base alle stagioni
nella primavera è presente un cane
nell'estate è presente un gallo
nell'autunno è presente un serpente
nell'inverno non è presente nessun animale
nel ritorno della primavera è presente una tartaruga
ho letto su vari siti buddisti le diverse simbologie e allusioni che ci sono nel film,
le inserisco nella zona spoiler.
in breve un capolavoro del cinema coreano e asiatico
il cinema asiatico mi sta piacendo davvero tanto e spero di fare altre recensioni su altri film che mi stanno affascinando.

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Ultima risposta 11/05/2020 12.09.55
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bulldog  @  16/07/2009 11:32:51
   8 / 10
Inferiore solo a Ferro 3.

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Ultima risposta 05/09/2009 10.23.38
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Gatsu  @  06/01/2009 17:27:12
   8 / 10
Simbiosi completa. Un'opera che avrei voluto fare io!!

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Ultima risposta 28/01/2009 14.16.53
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Ciaby  @  23/12/2008 17:59:24
   9½ / 10
il kim poetico...la vita che passa con lo scorrere delle stagioni...

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Ultima risposta 12/05/2011 18.37.57
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR Invia una mail all'autore del commento thohà  @  29/05/2007 11:47:08
   8½ / 10
Già guardando la locandina si rimane affascinati. La natura, pace, un piccolo tempio. La vita ruota intorno a questa abitazione, le stagioni passano, così come quelle della vita. L'infanzia, ancora priva della conoscenza e crudele, impara. Il bambino, che vive col monaco, ancora cinico e incoscente, infligge delle cattiverie a piccoli animali; cattiverie che il monaco gli farà conoscere infliggendogli le stesse torture degli animali: la vita va rispettata.
Ed ecco che arriva l'estate, la pienezza della vita, l'adolescenza con i suoi turbamenti e le sue ribellioni, la fuga.
Il vecchio monaco conduce, in solitudine, la propria vita, fino al ritorno dell'allievo, ormai uomo.
Ma basta con gli spoiler.
E' un film intensissimo, colmo di spunti di riflessione e di simbolismi, di grande fascino e spiritualità, con una fotografia da sogno.
Penso che noi occidentali possiamo cogliere (almeno io) la metà di ciò che è contenuto nel film: le scritte non tradotte, azioni intuibili, ma non spiegabili, i gesti, il continuo aprire o chiudere le porte, i vari animali.
Per esempio, il gatto credo che volesse dire autonomia.
Ma ci devono essere diversi livelli di lettura che a me sfuggono.
Da non perdere.

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Ultima risposta 08/10/2012 13.15.29
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Invia una mail all'autore del commento piernelweb  @  28/03/2007 14:43:56
   6½ / 10
Fotografia e ambientazioni mozzafiato in questo "saggio buddista" del regista Kim Ki-duk. Il film è strutturato in 5 segmenti che rileggono nella ciclicità delle stagioni e del tempo, l'ancestrale e perpetua natura dell'uomo. Nella sua integrità, l'opera è perfettamente compiuta e clamorosamente significativa, ma la narrazione soprattutto nella prima parte (primi due episodi) è eccessivamente didascalica e grossolana: troppo esemplificativa la crudeltà punita del bambino, per niente poetica la scoperta adolescenziale del sesso e dell'amore (addirittura imbarazzante nella sua superficialità la lezioncina sulla cura dei mali dell'animo attraverso i piaceri carnali). Per fortuna nei segmenti dell'Autunno e dell'Inverno, il regista coreano ritrova il giusto equilibrio e il racconto torna ad essere in armonia con le immagini. Impattante, come consuetudine per il cinema orientale, la severità dell'autopunizione nell'espiazione delle colpe e il gigantismo del fallimento e del percorso di redenzione. La scalata finale con il pesante fardello si era già vista (con toni più enfatici e coinvolgenti) in "Mission" di Roland Joffé.

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Ultima risposta 28/03/2007 18.31.37
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marco86  @  23/09/2006 16:30:44
   8½ / 10
Film magnifico!
Allora,parlando di una cultura così distante dalla nostra,cioè quella buddista,andrebbero analizzati ad uno ad uno i vari simboli contenuti nel film,come ad esempio gli animali.Ma essendo io ignorante in maniera,preferisco delegare l'incarico agli altri e soffermarmi invece sul significato universalmente riconoscibile della pellicola:il passare del tempo.
E per parlare dello scorrere del tempo,Ki-Duk usa le stagioni e il loro inesorabile e lento (o veloce)susseguirsi.Ad ognuna di queste stagioni corrisponde una stagione della vita del protagonista.La primavera è l'infanzia,caratterizzata da un'immensa voglia di scoprire il mondo;l'estate è la gioventù,l'età della scoperta dell'amore e del sesso;l'autunno è l'età adulta,che nel film viene descritta in una maniera abbastanza negativa.poi viene l'inverno,la senilità,la saggezza.e ancora primavera...

E' il primo film che guardo di Ki-Duk,ma ho voglia di vedermi tutti gli altri.Ovviamente oltre la regia e la sceneggiatura,va lodata la fotografia,praticamente perfetta nel descrivere e caratterizzare le varie stagioni.
Le sequenze più belle del fim sono forse quelle più simboliche,e la cosa bella è che anzichè annoiare per la loro impossibile (per noi occidentali)comprensione,catturano più delle altre il cuore fino a commuovere e spingere a riflettere.Sul tempo che passa.Sulla bellezza della vita.Sulla solitudine.Sul rimorso.Sulla natura.Sull'amore e sul dolore.
Sulla vita.

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Ultima risposta 23/09/2006 16.31.29
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Gruppo STAFF, Moderatore priss  @  02/08/2006 13:49:23
   9 / 10
un film che apre le porte ad un percorso d''autoscienza circolare, in cui ogni azione avrà un peso nel proprio karma.
un fortissimo simbolismo permea ogni tratto della pellicola, in maniera semplice e diretta... inizialmente i vari stadi dell''evoluzione della coscienza con pesce, rana e serpe, il cane come ingenuità, il gallo è esuberanza sessuale, il gatto diviene pigra cura di sé, ed infine l''ambivalenza del serpente come trasformazione e energia, chiaramente legato all''eterno rincorresi della nascita e morte.
le immagini in questo film hanno una splendida resa pittorica (frequenti campi lunghi a rendere il paesaggio un personaggio a se stante), ma non sono semplici illustrazioni dettate dal lirismo del regista, bensì parte di una visione panteistica aricolata e raffinatissima.
bellissimo il rapporto quasi muto fra maestro e discepolo, costruito sull''empatia e la comprensione, misurato in poche efficacissima parole che svaniscono in fretta con lettere d''acqua sulla pietra, ma che tracciano solchi indelebili nell''animo dell''uomo.

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Valesco  @  20/05/2006 12:36:20
   5 / 10
L'essenza pura della noia...paesaggi mozzafiato?!? Non direi proprio! Poesia? Non riesco ad intravederla, forse perchè troppo occupata a sbadigliare. Lento, lentissimo.
Non è paragonabile a film come Hero dove i colori, i suoni, i movimenti e i combattimenti che diventano danza sono poesia vera che culmina nel messaggio finale...

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Ultima risposta 17/05/2008 17.04.06
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Gruppo REDAZIONE Pasionaria  @  19/02/2006 10:22:02
   9 / 10
Meravigliosa parabola buddista, semplice nel contempo intensamente simbolica, un soffio di quiete per gli occhi e per l'anima.
Fotografia incantevole.

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Ultima risposta 23/02/2006 15.09.50
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Gruppo COLLABORATORI martina74  @  09/10/2005 14:59:21
   9 / 10
Una vera parabola buddista raccontata da un orientale: Kim Ki-duk ha la capacità di descrivere con molte immagini (assolutamente straordinarie nella loro pittoricità) e molti silenzi l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, le stagioni della vita attraverso i mutamenti della natura e alcuni animali-simbolo della filosofia buddista, gli insegnamenti del maestro (koan) che permettono al discepolo di raggiungere, a costo di grandi sofferenze, uno stato di coscienza tale da divenire egli stesso veicolo di carità.
La contemplazione di questo film è più efficace della lettura di molti trattati, per comprendere l’essenza dell’essere buddista; tutto è rappresentato con una chiarezza adamantina: la punizione e l’auto-punizione, l’espiazione delle colpe, l’esperienza del dolore necessaria a liberarsene, la progressiva spoliazione da ogni desiderio e da ogni passione, l’accoglimento di un nuovo discepolo che permetterà di riprendere l’infinito ciclo della vita.
Una delle immagini più emblematiche e significative della storia è quella del maestro che traccia ideogrammi su una tegola con un pennello intinto nell’acqua: nel subitaneo scomparire dei grafi, subito sostituiti da altri segni, si coglie l’essenza della filosofia che ci viene raccontata.
L’unico limite che posso rilevare al film è la sua freddezza, la distanza emotiva che ho avvertito durante la visione che, ad esempio, non avevo provato con Ferro3.
Ma nel complesso un’opera assolutamente straordinaria, da assaporare con pazienza e su cui riflettere.

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Ultima risposta 30/10/2005 18.04.58
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JoJo  @  08/10/2005 11:21:36
   9 / 10
Quando la semplicità diventa un difetto.
Ki Duk in questo raconto delle quattro stagioni della vita si prende carico del pesantissimo fardello di raccontare il buddhismo (anche) all'Occidente, ben sapendo che l'impresa non è affatto facile, e si dimostra decisamente all'altezza. Dopo che a vario titolo fior di personaggi europei ed americani avevano provato a spiegare cosa fosse (o più semplicemente a specularci sopra), finalmente un asiatico, uno che con quella realtà c'è cresciuto e di essa è almeno in parte figlio, riesce nell'impresa. In questo film non v'è il razzismo intellettuale di Hesse e dei suoi nipotini variamente radical chic sempre e comunque spocchiosamente arroganti nella loro ridicola boria da parvenue dell'illuminazione, non c'è la falsa umiltà del dispensatore di grandi banalità Terzani (ultimo della lunga, lunghissima serie) o la vacua insensatezza del frullato religioso di Coelho, e nemmeno (cambiando forma d'arte) la magnificenza di Bertolucci, autore dell'ennesimo fraintendimento che è andato a fomentare le mistificazioni sul buddhismo sempre alimentante dall'affollatissimo parco dell'arte di stampo spiritistico-intimista. Ki Duk ci da' un'immagine d'un buddhista che non sfoggia il suo classico sorriso serenno e sornione fino al beffardo di chi crede d'aver capito tutto dalla vita, e questa è la sua grandezza: la capacità di descrivere uno spirito magno nella sua disarmante umiltà senza le estasi mistiche tipiche dei santoni che invariabilmente raggiungono il Nirvana in punto di morte. Libero per ovvi motivi dalle catene distorcenti dell'occhio occidentale, il regista coreano riesce a trasmettere lo spirito, l'essenza d'una religione, dimostrando una padronanza del mezzo cinematografico magistrale, una capacità di coniugazione di sintesi, chiarezza e profondità quasi impensabile.
Eppure, paradossalmente, proprio nella semplicità compare la pecca di quest'opera: la pesantezza. Questo difetto si manifesta soprattutto durante l'Estate, dove il regista insiste troppo su certi simboli, continua a soffermarcisi a lungo, dando quasi una sensazione d'esasperazione allo spettatore, ovviamente senza alcuna possibilità di sfogo. C'è anche da dire che proprio quell'episodio è seguito dall'Autunno, che invece è un pezzo di sensibilità unica ed allucinante, decisamente da scuola del cinema.
Il regista coreano comunque da' prova d'un'umiltà intellettuale incredibile, puntando su pochi temi fondamentali e pennellando le situazioni come solo lui sa fare, non commettendo quindi l'errore di sovrabbondare, di cercar di caricare di troppi significati la pellicola come invece farà in La Samaritana, e nemmeno senza lanciarsi nel cripticismo silenzioso di Ferro3: chiarezza e lucidità, pronte a trasmettere allo stesso spettatore una calma quasi zen, queste sono le parole chiave di quest'opera, che in ultima analisi risulta essere ad oggi la miglior prova di Kim Ki Duk.

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Ultima risposta 09/10/2005 14.57.14
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Gruppo COLLABORATORI JUNIOR echec_fou  @  05/09/2005 22:01:27
   8 / 10

Primavera, Estate, Autunno e Inverno sono le stagioni che compongono l'anno, l'arco temporale in cui la natura evolve in tutte le sue sembianze, maturando ogni volta in una fase che sembra nascere dalla morte della precedente. Tuttavia non si tratta mai di una morte totale, definitiva, ma ogni fase sembra trarre il suo significato nel gettamento dei presupposti per una fase successiva...E ancora primavera: neanche la fine di questo ciclo completo può presupporre la fine dell'essenza. E la natura si rinnova ancora, rincorrendosi continuamente verso mete ignote.
Suggestiva e fortemente evocativa la scelta di inquadrare ,nelle fasi iniziali del film, l'anziano maestro di spalle che percorre il sentiero, per poi cambiare inquadratura sul piccolo monaco che lo risale frontalmente.
E' la metafora del continuamento dell'esistenza, riferito non più ad un ambito ristretto come quello individuale, ma ad un ambito più ampio e completo: quello della natura, dell'insieme. Da quello che mostra l'esperienza umana, sembra naturale, quasi scontato, che dal ramo gelido ricoperto di neve nasca ,nel giro di qualche mese, una nuova foglia. Se si potesse entrare nell'anima di ogni foglia, come se avesse una coscienza, forse si vedrebbe nell'inverno solo la fine dell'esistenza, senza percepire il miracolo del proseguimento della vita.
Probabilmente è un processo molto simile a quello che accade alle vite umane. Si rimane intrappolati nella gabbia della soggettività, del proprio contesto e delle proprie esperienze, senza dare importanza all'enorme disegno di cui si fa parte, un disegno che trae forse la sua divinità dall'inconsapevolezza in cui evolve.
Da queste premesse trae origine il significato della vita che ci mostra l'autore: l'immagine di un uomo che trova il senso delle sue esperienze, delle sue sofferenze, che costituiscono la pietra che è costretto a portare, nella scalata faticosa verso una cima. Ma la fatica non è sterile, la ricompensa è grandissima, forse la più preziosa: dalla sommità gli è consentito rendersi conto che il mondo in cui è vissuto era soltanto una vallata con un lago e una palafitta, ovvero una piccola parte dell'immensità spaziale e temporale in cui era inserito.
Sulla cima rimane solo una statuetta del Buddha, l'emblema del Nirvana, dell'illuminazione, che siede sulla pietra che rappresenta il dolore e la sofferenza da cui si è ormai emancipato. E' questo il senso dell'esistenza proposto dall'autore: lo sforzo dell'emancipazione dal soggettivo come strumento per trovarne un significato, inquadrabile solo se inserito in un contesto molto più ampio.
Un altro aspetto molto importante risiede nel valore dell'esperienza. Soltanto attraverso la partecipazione diretta (e questa è una tematica molto affine a quelle trattate dal Siddharta di Hesse) è infatti possibile realizzare una maturazione, impossibile attraverso la sola imposizione di precetti, che assumerebbero altrimenti carattere dogmatico. Per far capire al suo allievo ancora bambino il significato del dolore, il maestro lo mette in condizione di provare sul suo corpo gli effetti dei suoi giochi sadici sugli animaletti. Solamente in questa maniera può trarre insegnamento. é quello che avviene anche nelle stagioni successive della sua vita: il maestro cerca di motivare le scelte del ragazzo, senza abbandonarsi ad inutili critiche, perché è l'unico modo in cui può maturare. Questo non presuppone però la svalutazione dell'insegnamento: la saggezza dell'età deve essere sempre un valido supporto per i giovani, affinché non commettano l'errore di rimanere incastrati nella trappola delle proprie emozioni, per quanto drammatiche possano essere, in quanto parte dell'universo soggettivo dal quale bisogna emanciparsi. La saggezza dell'età diventa così guida per i giovani, nel momento in cui si perdano nel loro cammino, come quando il ragazzo tenta il suicidio perché incapace di sopportare la sofferenza della scoperta di prospettive diverse da quelle che invece immaginava e desiderava. Da qui emerge anche una critica implicita dell'idealismo, visto come la presunzione di conoscere il senso delle cose prescindendo dall'esperienza soggettiva. Il dolore del ragazzo si fonda infatti nell'incapacità d'accettazione di una realtà sentimentale differente da quella che si prospettava. L'ultimo concetto su cui porrei l'accento, sebbene sia conseguenza di quelli espressi in precedenza, è la saggezza dell'astensione dal giudizio: non si può essere giudici degli errori altrui, semplicemente perché questi nascono da un contesto diverso dal proprio.
Gli errori sono inoltre sempre figli dell'inesperienza e si nutrono dell'inconsapevolezza o della cecità della passione. Si può essere solo un supporto o una guida nell'espiazione della colpa e solamente nel caso in cui c'è un riconoscimento dell'errore da parte di chi lo commette.
Anche in questo caso il concetto di errore viene caratterizzato da connotati diversi da quelli convenzionali. L'errore non è mai derivante da scelte che vengono demonizzate a priori, come avviene nella mentalità cristiana-occidentale, ma anche in quella ebraica ( si pensi che c'è proprio la lista dei comportamenti banditi, i dieci comandamenti),ma si fonda sull'analisi delle emozioni di cui le scelte sono portatrici. La scelta diventa errore nel momento in cui si fa portatrice di sofferenza spirituale.
In conclusione, posso affermare che a questo film Kim-Ki Duk tutta la sua potenza evocativa, che riesce con poesia sottile ad immergere gli spettatori in un oceano di immagini e ricercate suggestioni.
Pezzo di rara bellezza.


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Ultima risposta 13/09/2005 14.55.31
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Gruppo REDAZIONE maremare  @  21/11/2004 21:22:07
   9 / 10
Un film che ti spiega l'essenza del buddismo meglio ti tanti libri.
Ipnotico

1 risposta al commento
Ultima risposta 21/11/2004 21.23.03
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luca  @  18/10/2004 20:16:58
   8 / 10
.........incantelove..........questo film è una poesia in movimento.....

2 risposte al commento
Ultima risposta 11/08/2006 17.35.47
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liu_mi  @  16/06/2004 19:45:52
   8 / 10
Bellissima favola di ispirazione buddista, in cui le immagini e i simboli acquistano maggiore importanza della storia (semplicissima) ma comunque efficace. Il regista non ha studiato cinema, ma pittura, e si vede, ogni immagine sembra un quadro. Il risultato è un film giustamente lento, che dà il tempo di riflettere ed assorbire i significati che vuole trasmettere. La simbologia è molto precisa e ricca, scandita dal susseguirsi delle stagioni della vita; gli animali, soprattutto il serpente, sono riferimenti ai diversi stadi di coscienza (pesce, anfibio e serpente), alla trasformazione e rinascita; il gallo come simbolo dell’energia sessuale e il gatto come prendersi cura di sé, mentre la porta (quella nel tempio) dovrebbe rappresentare la disciplina o l’insegnamento. Comunque, come tutte le favole, va recepita più che “capita”. Mi è piaciuto molto, ma sono di parte…

5 risposte al commento
Ultima risposta 06/07/2004 00.01.19
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Gruppo COLLABORATORI fromlucca  @  15/06/2004 09:47:56
   8 / 10
Ho visto ora questo film. Molto bello, carico di significati e
simboli. Bisognerebbe sapere un pò di simbologia di quelle culture:
significato di porte, serpenti, gatti, galli, ecc...
Fotografia e scenari bellissimi.
Qualcuno potrà trovarlo lento... certo non è il filmone americano sulle
catastrofi o su battaglie epiche...
Menomale: un film fondato prettamente sull' immagine , studiata e bellissima nei colori (l'autunno su tutti), di pochi ed
essenziali dialoghi (l'ultima stagione, con una madre che si presenta
incappucciata, non ha dialoghi eppure si segue molto bene), una gran
musica che lo sostiene nelle scene principali.
Consiglio.

Nicola

4 risposte al commento
Ultima risposta 25/06/2004 12.17.07
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