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Si parlava, all'epoca, di "contemplazione dell'animo umano" e questo film, amatissimo in Francia, è una di quelle opere che fanno rimpiangere il sottoscritto di non conoscere l'opera omnia di Rossellini, ma solo alcune opere (magari non poche, comunque meno della metà). Quando certa critica dei cahiers affronta la capacità della telecamera di "lasciare allo spettatore di trarre le proprie sensazioni", allora il disagio per la coppia straniera in crisi o per la sola Katherine (che a volte sembra voler salvare soprattutto lei il suo matrimonio) è emblematico: come noterà chi avrà visto anche solo una volta questo film, i bellissimi luoghi campani descritti non sempre possono essere equiparati allo stereotipo locale, ma diventare anche vere e laceranti dimensioni di interiorità: la sequenza dei resti degli amanti abbracciati - credo - a Pompei (o Ercolano?) la cui visione sconvolge tanto Katherine (con un cognome importante come "Joyce") nella sua introspezione analitica del proprio sentimento fallito/tradito, è quanto di piu' devastante abbia mai prodotto il cinema italiano di ogni tempo. Si direbbe quasi che il padre del neorealismo volesse soffocare se stesso, diventando così innovatore in uno schema introspettivo che stava per far piazza pulita degli stereotipi di quel cinema forse già premonitoriamente sorpassato. E' un film che ho amato tantissimo, e che qualcuno vorrà pigramente rileggere come "foriero della crisi matrimoniale del regista", cosa del tutto inesatta. Lo spettro della perdita di sè e del mondo circostante, una ricerca fisica, sentimentale e spirituale che vanta sfumature e contrasti ben piu' profondi di una semplice crisi coniugale autobiografica