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Pubblicato il 21/11/2012 08:36:24 da
The Gaunt
Una web serie attualmente sta avendo un discreto successo in rete:
Kubrick - Una storia porno, che può essere vista comodamente su youtube sul canale The Jackal. Ovviamente si tratta di un piccolo assaggio di tre parti per un totale di circa quaranta minuti. In poche parole quello che può essere definito un pilot televisivo. Interessante è la modalità di approccio, che salta direttamente le forche caudine di produttori e soprattutto distributori, per proporsi direttamente al pubblico e vedere se un certo prodotto può avere o meno riscontro.
Gli indici di ascolto televisivi possono andare a farsi benedire perchè in questa modalità certamente saranno importanti le visualizzazioni e la capacità degli autori di essere esaustivi nei confronti del pubblico. Il contatto diretto con quest'ultimo, fondamentale, elemento è importante perchè ti pone direttamente ad essere messo di fronte ad eventuali critiche negative, come dall'altro lato a ricevere dei suggerimenti preziosi per il miglioramento del prodotto. Vantaggi che comunque compensano gli svantaggi di operazioni di questo tipo.
Perchè Kubrick? Semplicemente un omaggio ad uno dei più grandi cineasti di sempre, che fra i suoi progetti mai realizzati c'era appunto la realizzazione di un film porno in grande stile, con una troupe professionista del cinema "ufficiale" e con un cast di attori che dovevano eseguire le loro performance sessuali senza l'ausilio di professionisti del settore porno.
Si tratta proprio di questo infatti, il porno. Se ne parla, si pratica, si disquisisce in molteplici dibattiti, ma televisione e cinema finora hanno fatto orecchie da mercante nel nostro belpaese. Kubrick – una storia porno non si propone di sdoganare il genere, infatti qui non c'è nulla di porno (non ancora, almeno) ma affrontare una moltitudine di argomenti attraverso uno sguardo inusuale e certamente poco battuto da fiction e cinema italiano.
La storia è molto semplice: tre giovani autori non riescono a trovare fondi per girare dei cortometraggi di impegno sociale, quando all'improvviso ottengono una risposta positiva dai numerosi curriculum inviati. Solo che una volta giunti dal produttore, scoprono che opera nel mondo del porno e gli offre una sostanziosa somma per girare un corto di cinque minuti in 48 ore.
Prende il via una sarabanda di situazioni comiche godibilissime, tra la scelta della location, i provini per la scelta dell'attore maschile (decisamente facile), i provini per l'attrice femminile (decisamente più difficile), la sceneggiatura che deve stare al passo con i tempi ed evitare clichè.
Il formato di questa serie è molto professionale, strizza l'occhio a
Boris, ed offre un cast di attori sconosciuto ma in grado divertire grazie ad una buona caratterizzazione dei personaggi. Un prodotto a cui non manca una certa brillantezza che tiene il livello delle allusioni e dei doppi sensi al minimo consentito e che pone dei buoni spunti di base per trattare temi, come la sessualità in primis, che non sono certo da cestinare. Personalmente non mi è dispiaciuta affatto e dopo queste tre mini-parti, non manca lo "stimolo" per vedere come va a finire.
"Il mondo del porno sta morendo. E' colpa di un virus: si chiama AMATORIALE!" Pubblicato il 17/10/2012 08:39:25 da
The GauntLo so, è come sparare sulla Croce rossa, ma come diceva Corrado Guzzanti alias Rocco Smitherson (regista de paura) "sono sempre 50 punti". Ora in questa sede non è oggetto di riflessione quei mitici titoli che la distribuzione italiana appioppava come il celeberrimo "Non drammatizziamo è solo questione di corna" di Francois Truffaut, ma da profano della materia (la distribuzione cinematografica, appunto) innescare una serie di quesiti che si riprongono ciclicamente ad ogni stagione cinematografica che si possono riassumere in una semplice domanda: perché alcune pellicole non sono distribuite nelle sale cinematografiche?
Sarebbe facile prendere esempi come la produzione orientale che ha trovato e tuttora trova notevoli difficoltà distributive nel nostro paese. Basti pensare, rimanendo comunque nel campo delle ipotesi, all'ultimo vincitore del Leone d'oro all'ultima rassegna veneziana,
Pieta di Kim Ki-Duk. Parliamo di un regista più che affermato a livello mondiale. E se non avesse vinto il Leone? Oppure, peggio ancora, se fosse rimasto a bocca asciutta da ogni tipo di premio? Sarebbe stata così solerte la sua distribuzione subito dopo il festival? Mi limito a porre la domanda ben sapendo tuttavia che in questo caso particolare un distributore piccolo come la Good Films batta il ferro (sic!) finché è caldo.
Per rimanere su film recenti possiamo vedere i casi di
Killer Joe e
The Way Back. Registi pinco pallino alla loro opera d'esordio? Direi proprio di no. Qui parliamo di William Friedkin e Peter Weir che tutto possono essere, tranne due emeriti sconosciuti al grande pubblico. Eppure faticano a trovare spazio nella distribuzione italiana. Ora, da spettatore medio, quando vedo che due autori di questo calibro non riescono a trovare spazio adeguato nelle nostre sale cinematografiche mi viene facile da pensare che c'è qualcosa che non va.
Prendiamo Killer Joe. Eccellente riscontro di critica e pubblico al festival di Venezia (edizione 2011, precisiamo). Premi zero, ma ingenuamente una persona è portata a pensare che trattandosi di Friedkin, un piccolo spazio distributivo in tempi brevi si può trovare. Che tradotto in soldoni significa poche copie stampate per poche sale e per poco tempo, poi si vede. Il "poi si vede" invece si traduce quasi sempre nel "Hai visto mai che il vecchio passaparola può funzionare ancora?".
Uno spettatore medio spera ma nulla, silenzio per oltre un anno.
Di Killer Joe si sono perse le tracce, nemmeno il sottoscritto ci sperava più e invece.... miracolo! (dal Dizionario online Hoepli, Miracolo: fenomeno sensibile straordinario, che avviene al di fuori delle normali leggi della natura, attribuito all'intervento divino).
Killer Joe, novella Madonna di Lourdes, appare nel listino della Bolero film per l'11 ottobre per la gioia dei quattro gatti che riusciranno a vederlo.
Dopotutto Friedkin era già stato bastonato a dovere dalla nostra distribuzione molti anni indietro con "
Vivere e morire a Los Angeles", non un suo film qualsiasi. Infatti non solo uscì un anno dopo rispetto agli Stati Uniti, ma distribuito nel nostro paese nel mese di giugno. Ovvero come ti ammazzo un film già prima della sua uscita, visto che il giugno italiano non è proprio come il giugno americano.
Altro caso clamoroso, anzi più clamoroso è quello di The Way back. Ad onor del vero, anche la distribuzione mondiale non è stata affatto generosa con questo film, ma ovviamente quando c'è da prendere il peggio da tutto il mondo, l'Italia è sempre in prima fila e si è giustamente adeguata. Il ritardo in questo caso è stato di oltre due anni. Nemmeno il sottoscritto sapeva, fino ad un annetto fa, che Peter Weir aveva fatto un nuovo film. Mancando dai tempi di
Master & Commander (cioè nove anni fa) una persona si abitua alle assenze, peggio si dimentica.
Quello che stupisce è che il distributore italiano è la 01 (leggi Rai cinema). Ora da spettatore medio, in quel ginepraio che è la distribuzione italiana, i massimi attori del mercato della distribuzione sono appunto Rai e Medusa. Fuori da essi sei fregato o al massimo ti becchi le briciole. Avendo nel proprio listino un film di Peter Weir uscito due anni prima, perché è occorso tutto questo tempo per la messa in onda nelle sale? Per far gridare di nuovo al miracolo? Eppure a questi signori non credo che abbiano scarsità di sale. Se la collocazione a giugno in genere è pessima figuriamoci a The Way back uscito nel mese di luglio.
Limitiamoci solo a questi due casi. Il discorso si può allargare a dismisura: da film italiani non distribuiti o mal distribuiti, ai generi ormai scomparsi dalle sale italiane (horror, thriller, tranne la commedia, per carità guai a toccarla!), perfino a pellicole straniere distribuite nel nostro paese, quando all'estero sono già in blu-ray edizione de luxe.
I perchè rimangono sempre inalterati. Da anni.
Firmato
Un umile spettatore medio.
PS: non ho mai menzionato Internet ben conscio che dal ginepraio saremmo passati allo scoperchiare il Vaso di Pandora.
Dopotutto la pirateria è un reato.
L'istigazione a delinquere, pure.
Pubblicato il 12/09/2012 09:04:43 da
The GauntQualche piccola considerazione sui premi principali della 69^ Mostra del cinema di Venezia:
Leone d'oro - Pieta di Kim Ki-Duk
Ovvero quando l'eccellenza c'è e si nota subito. Accade spesso quando il livello dei film in concorso è appena sufficiente e pellicole come quella del regista coreano riescono ad emergere dagli altri, creando anche il non facile compromesso di mettere d'accordo non solo la giuria, ma anche critica (un po' meno) e pubblico (decisamente di più).
Una storia avvolgente, emotivamente intensa e due attori straordinari che il Leone d'oro al miglior film ha probabilmente messo fuori gioco dalle Coppe Volpi.
Leone d'argento migliore regia - Paradies: Glaube di Ulrich Seidl
Un film provocatorio su una donna, tecnico radiologo, e la sua ossessione per la figura di Gesù Cristo, che ha certamente colpito la giuria, parte della critica ma lasciando generalmente freddo il pubblico. Solo un timido applauso di circostanza alla cerimonia di premiazione. Non ho visto questa pellicola, mi riprometterò di farlo, distribuzione permettendo.
Premio speciale della giuria - The Master di Paul Thomas Anderson
La nascita di una setta poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, il suo rapido sviluppo e il rapporto che si crea fra i due personaggi principali, sono perlomeno motivi di interesse per vedere il nuovo film di Anderson. Personalmente non lo ritengo il miglior film del regista americano, ma possiede comunque delle qualità innegabili che volendo, potranno essere apprezzate il prossimo 14 gennaio, data annunciata in conferenza stampa dell'uscita italiana.
Coppa Volpi maschile - Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix per The Master di Paul Thomas Anderson
Qui il presidente di giuria Micheal Mann si è un po' smentito, avendo sottolineato il fatto che la giuria non avrebbe dato premi ad ex-aequo. Ma difficile dare torto a questo tipo di scelta, l'interpretazione della coppia Hoffman-Phoenix fa veramente faville sulla pellicola di Anderson. Sono personaggi talmente complementari che rifiutare il premio ad uno dei due sarebbe stato un errore gravissimo ed un eccessivo demerito dell'uno nei confronti dell'altro. Un premio giusto che frustra anche le ambizioni italiane per Toni Servillo, ma di fronte a questa accoppiata c'era poco da fare. L'unico avversario potenzialmente valido era Michael Shannon di The Iceman, ma non era in concorso.
Coppa Volpi femminile: Hadas Yaron per Fill the Void di Rama Burshtein
Prendo atto di un premio per un film che non ho potuto visionare, ma fra gli addetti ai lavori è stata apprezzata l'interpretazione della Yaron, che ha battuto la concorrenza di Nora Aumor protagonista di Thy Womb e la Petri di Izmena.
Premio Mastroianni per il migliore attore esordiente - Fabrizio Falco per E' stato il figlio di Daniele Ciprì e La bella addormentata di Marco Bellocchio
E veniamo alle (poche) soddisfazioni per il cinema italiano. Fabrizio Falco è un volto interessante che ha dimostrato nelle due pellicole menzionate una certa poliedricità. Stralunato nell'affresco grottesco di Ciprì, quasi un riflesso del Lou Garrel de I pugni in tasca nell'ultima fatica di Bellocchio. Da apprezzare comunque perchè sebbene sia una presenza di contorno nella Bella Addormentata, lascia un segno ogni volta che è presente. E non è cosa da poco, specie per un attore giovane.
Migliore sceneggiatura - Apres Mays di Olivier Assayas
Il classico premio di consolazione per quello che, insieme a Bellocchio, è l'altro sconfitto di questo festival. L'affresco generazionale post-68 di Assayas non ha colpito particolarmente la giuria, forzata con ogni probabilità a dare un riconoscimento per una pellicola apprezzata invece dalla critica. Personalmente è un film impeccabile sotto molti punti di vista, forse un po' freddo e distaccato.
Migliore contributo tecnico: E' stato il figlio di Daniele Ciprì
Diciamo che questo è un premio in fondo cumulativo. Il contributo tecnico (leggasi fotografia) è stato assegnato per E'stato il figlio ma non bisogna dimenticare che lo stesso Ciprì ha curato la fotografia del film di Bellocchio con risultati eccellenti in entrambi i casi.
Premio De Laurentiis per la migliore opera prima - Kuf di Ali Aydin
Purtroppo è un altro film che non ho avuto l'opportunità di vedere. Interessante però la storia trattata, quella di un padre alla ricerca di un figlio, studente universitario, scomparso durante gli anni delle rivolte studentesche. Interessante anche perchè è un altro esempio di come il cinema turco guardi alla storia del suo passato recente già affrontato a livello simbolico (C'era una volta in Anatolia) e come affresco generazionale nell'ancora inedito Sonbahar. Come periodo preso in esame non mancano riferimenti proprio a quest'ultima pellicola.
Pubblicato il 11/09/2012 09:40:04 da
The Gaunt
Il Leone d'oro alla carriera consegnato dalle mani di Giuseppe Tornatore a Francesco Rosi è stato senza dubbio uno dei momenti migliori di questa 69esima edizione del Festival del cinema di Venezia.
Una scelta ineccepibile, motivata tra l'altro dalla dichiarazione del direttore della Biennale Barbera, il quale ha sottolineato giustamente che “Rosi ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema italiano del dopoguerra. La sua opera ha influenzato generazioni di cineasti in tutto il mondo per il metodo, lo stile, il rigore morale e la capacità di fare spettacolo su temi sociali di stringente attualità.”.
Uno di questi cineasti influenzati da Francesco Rosi, Martin Scorsese (non l'ultimo arrivato...) pur non essendo presente fisicamente alla Mostra, ha voluto fare un ringraziamento e un omaggio personale al maestro con una breve clip delle sue pellicole migliori, sottolineando l'importanza a livello formativo delle pellicole del regista napoletano.
Cercando di allargare il discorso, il premio a Rosi oltre al sacrosanto riconoscimento al cinema di denuncia ed impegno civile che ha caratterizzato le sue pellicole migliori, è il premio ad un'epoca in cui il cinema italiano era ai suoi massimi livelli, sia dal punto di vista degli autori (inutile fare un elenco, sarebbe lunghissimo), sia al fiorire di generi che lo caratterizzavano come una delle cinematografie mondiali migliori. Forse è eccessivo affermare che il cinema italiano di quell'epoca dettava legge a livello mondiale, ma possedeva quella solidità, oggi purtroppo persa, ed i segnali di ripresa non sono certo incoraggianti, se consideriamo il caso di Cinecittà con la protesta delle maestranze ai margini del red carpet durante l'inaugurazione della Mostra.
Un premio ad un regista che ha dato tanto al cinema italiano ed ha ricevuto molto. Basta pensare all'Orso d'oro a Berlino per
Salvatore Giuliano, al Leone d'oro per
Le mani sulla città e la Palma d'oro a Cannes per
Il Caso Mattei, una “tripletta” che pochi cineasti al mondo possono vantare. Tuttavia questo deve essere anche uno stimolo per il nostro cinema attuale a ripercorrere una strada perduta da troppo tempo. L'Italia contemporanea ed i suoi problemi offrono una moltitudine di spunti che un regista come Rosi ed aggiungendo nomi illustri come Petri, Damiani, Lizzani, Vancini ecc. avrebbero saputo cogliere. Ci sono pellicole valide come Martone (
Noi credevamo) o Vicari (
Diaz) altre meno riuscite (Giordana,
Romanzo di una strage), ma anche la netta sensazione di assistere a film estemporanei senza nulla di solido ed omogeneo che possa far pensare alla rinascita di un filone. L'Italia ha bisogno di questo cinema.
La riproposizione di un capolavoro come Il Caso Mattei recentemente restaurato dalla Cineteca di Bologna con la collaborazione della Film Foundation di Martin Scorsese, offre il fianco anche al rovescio della medaglia, ad amare considerazioni. Le nuove generazioni hanno la possibilità di apprezzare i film di Francesco Rosi? Purtroppo solo in parte. Il Caso Mattei, spiace ricordarlo, è tuttora inedito su Dvd e blue-ray nel nostro paese.
Eppure è un film che fa parte del nostro patrimonio cinematografico.
Persi nel limbo degli inediti o fuori catalogo ci sono pellicole come
Le mani sulla città,
Lucky Luciano,
Cadaveri eccellenti.
Eppure anche questi sono patrimonio del cinema italiano e fra le migliori pellicole di Francesco Rosi.
Se il restauro del Caso Mattei rappresenta l'inizio di una diffusione maggiore del cinema rosiano ben venga, anche se con colpevole ritardo. In caso contrario si avrà la spiacevole sensazione a posteriori di aver assistito ad una presa in giro. Verso il pubblico, verso tutti coloro che vorrebbero avvicinarsi al cinema di Rosi e probabilmente verso Rosi stesso. E un monumento del genere non lo merita.