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I coniugi Ashen vivono lontano dalla loro cittadina di origine, la minuscola Ravens Fair. Una sera gli viene recapitata una scatola contenente un pupazzo di quelli solitamente usati dai ventriloqui. Subito dopo Lisa viene uccisa, e Jamie sospettato dell'accaduto.
Fermamente convinto a provare la sua innocenza e la contemporanea implicazione del pupazzo negli eventi, Jamie decide di tornare alla città natale per indagare su una vecchia leggenda che parla di Mary Shaw, ventriloqua famosa anni prima che era stata uccisa da un gruppo di persone convinte del suo coinvolgimento nella sparizione di alcuni ragazzini.
I pupazzi dei ventriloqui, si sa, sono assai inquietanti. Quasi tutti hanno un'espressione niente affatto amichevole, e viene sempre da chiedersi, guardandoli, come sia possibile che un bambino possa assistere ad uno spettacolo con un pupazzo ventriloquo e continuare a dormire la notte. Anche questo qui non fa eccezione, ha persino una sinistra somiglianza con una marionetta di argentiana memoria. Ed è proprio a partire dall'arrivo del pupazzo che la vita dei coniugi Ashen si complica, anzi in verità diventa proprio un incubo. Lo smarrito Jamie insegue una reminiscenza dell'infanzia fin nel suo paese natio, solo per incontrare il dannato pupazzo dietro ogni angolo, il quale si ostina a tornare anche dopo un seppellimento, complice un poliziotto troppo solerte ed impiccione. Suo padre conosce la storia ma si guarda bene dal parlargliene e Jamie dovrà fare da solo tutta l'indagine che, se da una parte lo scagionerebbe, dall'altra gli darebbe seriamente da pensare circa il suo stato mentale. Naturalmente scopriremo i segreti del paesino non appena Jamie si metterà ad indagare, e non si tratta certo di accadimenti particolarmente originali.
Il punto è proprio questo, è difficile parlare ancora di ventriloqui dopo l'impennata di film sul tema che ha infestato il cinema negli anni passati. Anche di storie su vecchie megere uccise dagli indignati abitanti di un onesto paesino americano non si sentiva certo la mancanza, se poi vogliamo aggiungere i film con un sospettato di un omicidio che per scagionarsi deve trovare il colpevole, allora siamo a rischio di essere sommersi dalle pellicole.
Lo svolgimento del plot si dipana così senza grossi colpi di scena, e neanche particolari guizzi di regia, se è per questo. James Wan ci accompagna semplicemente sottolineando qua e là le cose su cui si richiede l'esercizio della memoria e senza traumi ci manda incontro al finale a sorpresa, tanto di moda nel recente cinema horror.
La recitazione è un onesto omaggio ai b-movie degli anni passati, con una particolare menzione per lo stralunato poliziotto, un Donnie Wahlberg un pò ruvido ma molto efficace.
Le luci e la fotografia vengono presto dimenticate, segno inequivocabile di un lavoro svolto bene ma con una certa tendenza di fondo alla routine.
E se è pur vero che non saremo quasi mai in ansia per il destino del protagonista, bisogna tenere presente che la colpa non è tutta della sceneggiatura poco originale, ma semmai di un eccesso di aspettative sul nuovo lavoro del creatore del film più imitato negli ultimi anni, "Saw".
Ma l'originalità del primo "Saw", presto soffocata dalle copie apocrife e dai sequel, era tutta nel plot inspiegabile e nella sua rivelazione nel corso degli ultimi minuti di film, cosa vera quest'ultima anche per "Dead Silence", ma purtroppo non abbastanza da reggere il peso di un intero film.
Suggerito sin dai titoli di testa, con il ritrovamento del manuale "come lo feci" redatto dalla strega in persona, il colpo di scena finale è certamente simpatico, ma lungi dall'indurre più di un ammirato sorriso, non basta certo da solo a giustificare l'ora e mezza che avremo speso a guardare la versione anni duemila dell'ennesimo mostro di Frankenstein.
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Recensione a cura di Anna Maria Pelella - aggiornata al 24/06/2009
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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