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Alex Infascelli non è mica rimasto con le mani in mano, nella sua vita. Si è sempre dato parecchio da fare, sin da quando, giovanissimo, volò in america per dar sfogo alla sua fervente passione per la musica. E qui inizia la mirabolante avventura di Alex, che racconta di aver suonato con moltissimi gruppi grunge, tra cui i Nirvana.
E si capisce già di più perché poi Kurt si sia suicidato: forse Alex gli raccontava i progetti che avrebbe voluto realizzare e che (diavolo di un Infascelli) ha realizzato per davvero.
Tra una suonata con i Nirvana e una forse con Elvis, Alex trova anche il tempo di dirigere qualche video per i Kiss e i Pear Jam, e appare ovvio perché i primi siano morti e i secondi sulla buona strada dei primi.
Scartata subito l'ipotesi che Infascelli porti sfiga, se ne potrebbe dedurre che la vita di un genio è perennemente vissuta in uno stato di perenne agitazione che è da sempre terreno fertile per l'artista, il genio e lo studente del DAMS.
Quanto avrà pesato l'esperienza americana sul nostro Alex, perennemente circondato da star, da eccessi, da musicisti rock, ma di quelli della decade giusta?
Secondo noi parecchio; l'America ha fornito un eccellente banco di prova al giovane, le cui abilità han da sempre trovato riparo nelle capienti braccia di qualche arte a caso, tanto per esserci, con una spiccata predilizione per musica e pittura. Gli manca solo di fare il regista e poi è a posto; già, perché lui, quando gli si chiede quale siano le sue influenza in fatto di cinema, cita dei pittori. Logico. Magari la sua musa ispiratrice musicale è Michelangelo, chi lo sa; fatto sta che Infascelli è una di quelle persone che sembra nata apposta per reggere un bicchiere di martini dry con l'oliva mentre ascoltano i Naked City (buon gruppo, ma ascoltarli col martini in mano è simbolo di qualcos'altro).
Purtroppo la storia non può smentire che nel 2000 Infascelli si sia dato al cinema (che accidentalmente non l'ha ancora restituito).
Dirige infatti "Almost Blue" tratto da un romanzo di Lucarelli, per poi delinquere con "Il siero della vanità" (2004), questa volta da un soggetto di Ammaniti. Son film di Infascelli che hanno convinto una sola persona: Infascelli. Critica e pubblico compiono qui quel miracolo che pareva di impossibile realizzazione, ovvero di allearsi per cercar di far capire con le buone ad Alex che forse è meglio che si renda utile in altri ambienti.
Son di questo periodo le numerose invettive che Alex lancia contro produttori e distributori, rei di tarpargli le ali e non lasciargli la giusta libertà che, secondo lui, assicurerebbe il capolavoro. Fortunatamente i produttori e i distributori si distraggono mentre lui dice queste cose, e come per magia Infascelli decide di saltare i canali classici bypassando tutta la catena distibutiva per approdare direttamente nelle migliori edicole.
Correva l'anno 2006, e tale pratica realmente avveniva, delegittimando in una botta sola tutto il concetto di cinema come luogo deputato alla fruizione delle opere cinematografiche. Ma per "H2Odio" facciamo uno strappo, perché in effetti non è né un'opera né cinema. E allora cos'è? Semplice: Puro Infascelli applicato. "I produttori non l'hanno fatto lavorare"? bene, qui non può di certo lamentare mancanza di libertà e di espressione. Ecco, quando Infascelli lavora a briglie sciolte fa 'ste robe.
L'esile trama prevedrebbe una cinquina di ragazze che si recano in un isoletta tutta deserta (si suppone) al fine di subire una notevole "dieta d'acqua". Ovvero nutrirsi di sola acqua. Sul punto le ragazze appaiono un po'confuse, anche perché si rendono edotte di tal pratica in tempo reale, apprendendo le varie fasi della dieta da un libro che leggono man mano.
Uno potrebbe chiedersi perché mai queste ragazze non siano partite con le idee già chiare leggendoselo subito, 'sto benedetto libro, ma poi ci si potrebbe chiedere pure perché mai Infascelli non sia partito pure lui con le idee ben chiare. Accantonata la scomoda domanda, appare subito ovvio che ad una ragazza inizia a girare il boccino. La vediamo scavare per terra alla ricerca di qualcosa, fa sparire l'acqua, fa discorsi strani.
Beh, i discorsi strani li fanno un po' tutti nel film, ma si suppone che sia una cosa voluta. O meglio, forse si sarebbe desiderato che la qualità sul filosofico/pizzaiolo andante la vincesse sulla quantità degli stessi, ma per un crudele scherzo del destino ogni volta che qualcuna apre bocca son risate. Non solo per quel che dicono, ma anche per il doppiaggio da guinnes dei primati, nel senso delle scimmie. Impossibile fare di peggio, quasi da far rivalutare lo sdoppiaggio di "The Killer" di John Woo.
Nel corso del film vediamo la stessa ragazza svalvolata alle prese con la propria immagine riflessa nello specchio intenta ad estrarsi un dente dalla spalla color fucsia post-punk; e fin qui. Poi la vediamo parlare con sè stessa, stavolta in versione bionda ma senza specchio davanti.
Appare chiaro sin dai primi cinque minuti che questa ragazza farà a pezzi le altre quattro, solo che ciò avviene con un oculato colpo di scena telefonato e faxato proprio negli sgoccioli del film stesso. In pratica assistiamo a circa ottanta minuti di finto climax e poi nulla. Lì dove ci si aspetterebbe perlomeno qualche scena di classe, qualcosa che almeno salvi in extremis il film, e invece niente. Il vuoto. E l'addetto agli effetti speciali è Stivaletti, fatelo lavorare.
Quando tutto sembra finito, una didascalia ha la gentilezza di avvertirci su cosa sia realmente accaduto: ne prendiamo atto e ringraziamo, ma forse sarebbe stato più dignitoso tacere. Tutto viene risolto con la "sindrome del gemello evanescente", il che spiega il dente nella spalla. Roba da veri duri, mica pizze e fichi; per di più si calcoli che lo psichiatra che, assolutamente a caso nel corso del film, ci informa di tale roba da fucilazione senza benda è Platinette in incognito, cioè vestito da uomo normale. Che special guest, il tocco giusto per nobilitare il filmetto. Dal fratello evanescente al film evanescente.
Ma il vero scandalo, ciò che rende risibile "H2Odio", non è tanto la trama, quanto la realizzazione. Infascelli si comporta come se fosse un affermato profeta della videoarte e inizia a girare inquadrature a caso; un po' di alberi lì, una porta vetrata lì, lo scoppiettio del fuoco lì, le ragazze di là. Spesso ciò accade tutto insieme, nel senso che queste inquadrature sono sovrapposte; il che non sarebbe fuor di regola nell'economia della logica del video: spesso i videoartisti concepiscono un montaggio di tipo "verticale", che si piega su sé stesso, non sequenziale ma stratificato.
Infascelli no, lui sovrappone e morta lì, e chissenefrega del risultato. Ma non finisce qui; la sovraesposizione onnipresente, non occasionale ma cifra stilistica del film, è spesso sgradevole, perché finché si sovraespongono acqua e cielo la cosa funziona, ma quando si sovraespone una gran massa di alberi e fogliame l'effetto tende ad essere piuttosto sgradevole. Chiaramente un direttore della fotografia capace affronterebbe il problema in altro modo, ma la presenza di gente competente nel film di Infascelli è proibita per contratto.
Bastasse; e invece no, non basta mai. Per tutto il film lo sventurato spettatore è costretto a sorbirsi una colonna sonora che è molto colonna e poco sonora. Nel senso che la colonna è direttamente proporzionale ai due attributi che, tramite processo orchitico, dovrebbe ingigantire a dismisura. Chi è il colpevole? Steve Von Till, chitarrista dei Neurosis. O meglio, lui avrebbe tanto voluto suonare la chitarra, purtroppo riesce solo a schiacciare qualche tasto nella tastiera, ovviamente senza alcun senso armonico; lo stesso principio con cui Infascelli gira, e si capisce il perché della collaborazione.
Tutto questo va avanti per ben ottantotto minuti di video casuale con colonna sonora randomizzata, condito da spruzzate new age, dialoghi surreal-scopettoni e recitazione da manuale da perfetto "vorrei-ma-non-posso". Sarebbe bello se ci fosse un grammo di suspense, ma manco a pagarla. L'angoscia a volte sale e sorprende addirittura da far arrivare il cuore a diciotto pulsazioni al minuto, ma meno male che ciclicamente qualcosa esplode violentemente e senza principio, così, giusto per risvegliare gli assopiti.
Quasi impossibile fare di peggio, ma Infascelli è la classica persona in grado di superare sè stessa. E' quasi un peccato che il film non sia uscito nei cinema, ma capiamo anche le ragioni di tutti quelli che hanno posato i loro occhi sulla sceneggiatura, e chissà poi che cosa ci sarà mai scritto sulla sceneggiatura di "H2Odio". Azzardiamo: "a questo punto la protagonista cammina" "qui ci sono gli alberi" "riprendete il sole" "qui le ragazze dicono stronzate, fatele improvvisare che a me non esce bene il dialogo".
Con un tale pastrocchio su carta, è subito evidente il perché Il film sia uscito direttamente in edicola, tra un porno e l'altro. La cosa dà da pensare perché il distributore è quella classica categoria che ha torto per definizione, e sia mai che Infascelli fosse riuscito a farla passare dalla parte della ragione.
Solo che un biglietto per il cinema costa mediamente 7 euro, il film in dvd il doppio e ve lo tenete pure. Se acquistate un film decente la cosa è gradevole; se acquistate "H2Odio" no.
Ultima nota; l'artwork del dvd è curato da Ana Bagayan, e appare subito piuttosto angosciante. Sarà un'impressione, ma dopo aver visto "H2Odio" fa ridere pure quello.
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Recensione a cura di cash - aggiornata al 20/10/2006
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it
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