Recensione la verita' nascosta regia di Andrés Baiz Colombia, Spagna 2011
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Recensione la verita' nascosta (2011)

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locandina del film LA VERITA' NASCOSTA

Immagine tratta dal film LA VERITA' NASCOSTA

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Immagine tratta dal film LA VERITA' NASCOSTA
 

"Guardatevi dalla gelosia! Essa è un mostro dagli occhi verdi che dileggia il cibo di cui si nutre"
Shakespeare, "Otello".

"La Cara Oculta" è il secondo lungometraggio del regista colombiano Andrés Baiz.

Prima ancora di passare alla sinossi di questo film, è doveroso fare una premessa per quel che concerne la pubblicità optata dalla distribuzione internazionale della pellicola. Purtroppo, essa si rivela una sinossi troppo dettagliata del film anticipando fin dalle prime immagini del trailer tutti, ma proprio tutti, i principali colpi di scena della pellicola rendendone indubbiamente non solo meno appassionante, ma quasi inutile la visione. Oltretutto, nel trailer (sia italiano, sia internazionale) sono presenti scene e dialoghi che nell'opera finita sono fortunatamente stati tagliati o modificati.
Ciò chiarito, si sconsiglia allo spettatore di visionare il trailer di questo film.

Noi intanto cercheremo di raccontare questo film così come si presenta al pubblico in sala e non come è stato presentato dalle pubblicità.

Adrián (Quim Gutiérrez), il direttore d'orchestra della Filarmonica di Bogotà, viene lasciato dalla fidanzata Belén (Clara Lago) che gli lascia solo un videomessaggio d'addio registrato sulla macchinetta fotografica. La ragazza lo prega di non cercarla e di non odiarla per essersene andata.
Adrián affoga il dolore fra le lacrime e la bottiglia di whisky. Così, incontra Fabiana (Martina García) una ragazza che lavora nel bar in cui lui ha deciso di ubriacarsi. Fra i due scoppia una reciproca attrazione da cui nasce una relazione. Fabiana si trasferisce nella casa di campagna che Adrián, che viene dalla Spagna, ha affittato quando è stato nominato direttore della Filarmonica di Bogotà.
Intanto, è in corso un'inchiesta per la scomparsa di Belén e Adrián è sospettato di esserne responsabile. Non lo aiuta il fatto che il poliziotto assistente del pubblico ministero sia un amante respinto di Fabiana e che, quindi, getta ogni ombra di sospetto sul nuovo fidanzato della ragazza. A rendere Fabiana ancora più inquieta sono degli strani rumori e degli strani fenomeni che si verificano in quella casa e che la convincono che con loro alberghi un fantasma.

È inutile dire che chiunque abbia visto il trailer sia già a conoscenza di quale mistero si nasconda dietro la scomparsa di Belén.

Prima di continuare si avverte il lettore che anche nel corso di questa analisi si riveleranno tutti i principali colpi di scena del film, anche se sembra impossibile fare peggio di quanto è già stato commesso in sede pubblicitaria.
Si suggerisce, dunque, a chi non avesse visto il film e abbia avuto la fortuna di non vederne la pubblicità, di astenersi dalla lettura di quel che segue.
Peraltro, si caldeggia la visione di "La Cara Oculta", non tanto per la sua dimensione narrativa che lascia un po' il tempo che trova, ma per la sua dimensione estetica e artistica.

"La Verità Nascosta", questo il titolo italiano del film, è a modo suo una vera e propria storia di fantasmi, ma non di quelli soprannaturali, di oscure presenze secolari che infestano le dimore e bramano il ritorno alla vita, bensì è una storia dei fantasmi della mente.
Per quanto sia profondamente falsa la traduzione optata per il titolo italiano, essa è meno fuorviante di quanto non si possa immaginare. Il richiamo al film "Le Verità Nascoste" ("What Lies Beneath", 2000) di Robert Zemeckis è evidente e non è neppure sbagliato. Ne spieghiamo subito il perché.
Tanto nel film di Zemeckis quanto in quello di Baiz si parla della crisi della coppia, degli egoismi individuali e della gelosia. Ma se nella pellicola di Zemeckis questi fantasmi avevano una consistenza reale e ultraterrena e se fra tutte dominavano in assoluto le tematiche della vendetta, del senso di inadeguatezza e della paura di perdere i propri punti di riferimento sociali e sentimentali, nel film di Baiz a farla da padrona è la gelosia che crea fantasmi concreti e paure sconcertanti che svuotano gli individui e ne straziano l'esistenza. Su questo torneremo fra poco.

Il film nasce da una sceneggiatura originale di Hatem Khraiche Ruiz-Zorrilla che fu data a Baiz quando stava girando il suo primo lungometraggio, l'interessante "Satanás" (2007). Baiz si appassionò alla storia di Khraiche, che però era solo una prima stesura. Egli la rielaborò e se ne appropriò emotivamente e artisticamente, trasferendo in essa le proprie paure e le proprie angosce.
La storia si articola in tre parti. Le prime due si traducono in due differenti punti di vista degli stessi accadimenti, mentre la terza mette a confronto le due diverse realtà che si sono create e che arrivano inesorabilmente a scontrarsi.
La prima parte è relativamente breve (circa 25 minuti) ed è tecnicamente la più raffinata. La seconda è un lungo flashback (circa altri 40 minuti) che racconta la storia della relazione fra Adrián e Belén, rivelando in maniera didascalica e decisamente noiosa la dinamica della scomparsa della ragazza. La terza parte è la migliore in assoluto poiché è in essa che si materializzano tutti quei fantasmi che Baiz ha preparato con cura soprattutto nella prima parte del film ed è qui che la storia assume un respiro simbolico e metaforico delle dinamiche umane di pregevolissimo livello.
Non c'è un vero e proprio stacco narrativo fra la seconda e la terza parte, il che potrebbe indurre in inganno portando a credere che il film sia suddiviso in soli due segmenti assolutamente sproporzionati fra di loro. Il flashback, che introduce il secondo atto, continua senza soluzione di continuità andando a ricongiungersi col presente nel terzo atto. In quest'ottica si potrebbe credere che la prima parte sia un flashforward, ma tale interpretazione sarebbe fuorviante.
Nella terza parte assistiamo ad alcuni accadimenti che abbiamo già visto durante il primo segmento narrativo, ma li osserviamo nell'ottica ribaltata di Belén.
È qui che lo specchio, elemento fisico e psicologico presente nel film fin dai primi fotogrammi, assurge a elemento narrativo nevralgico e a oggetto, sia simbolico sia allegorico, eccellente.

Prima di analizzare questo aspetto dobbiamo ritornare brevemente su quello che è il titolo originale del film: "La Cara Oculta".
Esso si può tradurre letteralmente come "Il Volto Nascosto" o più liberamente e forse più appropriatamente come "Il Lato Oscuro", scelta quest'ultima, che è stata opzionata in sede di traduzione italiana.
Lo specchio riflette i volti e i corpi dei protagonisti. Se da un lato è simbolo di vanità e di desiderio, dall'altro è simbolo di verità, di quella verità nascosta del titolo italiano. Lo specchio introduce ontologicamente un dualismo della personalità che si traduce su un piano assiologico nella contrapposizione fra il bene e il male, fra la verità e la menzogna, fra l'ego e l'alterego, fra il proprio volto manifesto e quello celato. In questa accezione il confronto fra l'io individuale e l'altro sé, si traduce in una rivalità con il diverso da sé. Nella storia specifica il dualismo si instaura fra Fabiana e Belén. Ciascuna delle due sarà condannata a vedere attraverso lo specchio le proprie colpe. È su questo nesso narrativo che si instaura la tematica principale: la gelosia. La gelosia è una forma esasperata di egoismo che si traduce nel delirio di possedere la persona amata riducendola a mero oggetto del desiderio, a una qualsiasi proprietà, a un'affermazione del proprio ego.
Ed ecco che Baiz trasforma un rifugio salvifico, creato per proteggere l'individuo dalle invasioni del mondo esterno siano esse fisiche o emozionali, in una prigione. Così facendo, Baiz trasmuta la gelosia in una vera e propria prigione fisica che è metafora di quella dell'anima. La gelosia è distruzione e schiavitù. È un fantasma che tormenta la mente e che strazia il cuore, rovinando inesorabilmente la vita di chi ne è investito. Belén ne resta invischiata e col proprio comportamento va a creare l'adulterio temuto ed è obbligata ad assistervi proprio malgrado. Fabiana è vittima della gelosia per l'amore passato di Adrián e lo teme come se fosse ancora presente. E questo è il fantasma che abita la sua casa e la sua mente. Una competizione all'ultimo sangue con una donna mai conosciuta, accompagnata dal compiaciuto egoismo di averne preso il posto.
Il poliziotto è a propria volta logorato dalla gelosia per Fabiana al punto di utilizzare i propri poteri investigativi per distruggere la sua relazione con Adrián. Quest'ultimo, poi, è sì infedele, ma è prima di tutto vittima del delirio di possesso delle donne che frequenta. Le sue non sono lacrime di coccodrillo e la sua non è una condotta biasimevole e, soprattutto, mossa da sentimenti vili quali l'invidia, la meschinità o, appunto, la gelosia.
La gelosia è un male fine a se stesso, un gioco al massacro che distrugge e travolge tutto quel che incontra. Non ci sono vincitori, ma solo persone che hanno perso il loro io più intimo e che sono prigioniere di questo egoismo sfrenato, che è appunto la gelosia, verso cui si nutre un'ingiustificata e un'ingiustificabile indulgenza.
Anche l'inversione finale dei ruoli è indice di quest'ottica. Le ultime azioni compiute da Fabiana non sono dettate da una recuperata umanità, ma da un'insalubre solidarietà verso il male condiviso e questo, che altro non è che una nuova sfaccettatura del suo egoismo, la rende prigioniera a propria volta. È così che i fantasmi di ciascuno diventano concreti, tangibili e letali.
Altri elementi allegorici sono la musica che è la libertà e la chiave che assurge al più potente ed emblematico strumento di segregazione e quindi di negazione di libertà. In tale ottica la forza del simbolo è accresciuta da fatto, narrativamente funzionale, che la prigione sia insonorizzata completamente permettendo ai suoni di entrare, ma non di uscire.
E questa chiave è portata al collo come un pendente a sottolinearne il valore estrinseco. Essa non serve a chiudere e quindi a nascondere oggetti preziosi, ma è essa stessa oggetto prezioso, perché è lo strumento che concede oppure nega la libertà.

Come accennato, la sceneggiatura non è esente da difetti, specie per quanto riguarda la costruzione del secondo segmento narrativo. La scelta di narrare una storia d'amore e di gelosia attraverso la struttura del thriller non è nuova, ma spesso si è rivelata vincente.
Ma purtroppo il ritmo narrativo non è sempre sufficientemente serrato e convincente, scivolando in quelle spiegazioni didascaliche accennate sopra e in picchi di noia.
Malgrado questo ci sono film il cui valore artistico complessivo è comunque superiore al livello qualitativo medio dell'opera stessa.
Se la sceneggiatura si slava parzialmente grazie alla dimensione psicologica ed allegorica di cui abbiamo parlato finora.
A riscattare completamente questa pellicola è la sua dimensione artistica. È inutile esaltare le virtù di un'ottima regia che sa dedicarsi completamente al servizio della storia narrata senza mai essere statica né inappropriata e valorizzando tanto i dettagli quanto le interpretazioni dei protagonisti. È inutile, dicevamo, perché queste virtù colpiscono direttamente gli occhi dello spettatore così come l'eccellente fotografia cupa ed elegante, che sa creare le giuste atmosfere, riflettendo lo stato d'animo dei personaggi.
Inoltre, Baiz si concede molte citazioni proprio al film di Zemeckis e quindi indirettamente anche alla filmografia di Hitchcock. Le più emblematiche sono la scena del ritrovamento della chiave sotto una piccola grata nel pavimento della stanza, le scene della vasca da bagno e il frequento ricorso all'inquadratura del soffione della doccia.

Tutti gli attori sono convincenti, ma in particolare è semplicemente magnifica l'interpretazione della bella Martina García, che dà vita a un personaggio complesso e ambiguo, capace di sedurre con la sua spensieratezza infantile e di spaventare per la propria indifferenza verso il dolore altrui. La sua è una recitazione fatta di sguardi, di ammiccamenti e di lievi, ma percettibili, mutamenti espressivi, così naturali da apparire spontanei.

"La Verità Nascosta" è un film che non presenta una particolare originalità né un ritmo narrativo sempre coinvolgente e convincente, ma grazie ai suoi contenuti metaforici e alla propria dimensione estetica e artistica si dimostra un'opera degna considerazione e che non lascia indifferente lo spettatore.
Forse, complessivamente, è un film più adatto a una visione domestica per quanto la visione cinematografica ne esalti indubbiamente le qualità visive. In ogni modo, a casa o al cinema, è una pellicola che merita di essere vista.

"Se un uomo piange è perché ha fatto qualcosa di male".

"Beh, non sempre!".

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Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli - aggiornata al 14/02/2012 11.42.00

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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