gran torino regia di Clint Eastwood USA 2008
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gran torino (2008)

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locandina del film GRAN TORINO

Titolo Originale: GRAN TORINO

RegiaClint Eastwood

InterpretiClint Eastwood, Cory Hardrict, John Carroll Lynch, Geraldine Hughes, Brian Haley, Dreama Walker

Durata: h 1.56
NazionalitàUSA 2008
Generedrammatico
Al cinema nel Marzo 2009

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Trama del film Gran torino

Walt Kowalski è un veterano della guerra di Corea, uomo indurito dal tempo e dalla vita, con un pessimo rapporto con la propria famiglia. Quando un gruppo di immigrati asiatici si trasferisce a vivere vicino a lui, l’uomo si troverà costretto ad affrontare i propri pregiudizi.

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Voto Visitatori:   8,49 / 10 (600 voti)8,49Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO DAVID DI DONATELLO:
Miglior film straniero
Miglior film straniero
VINCITORE DI 1 PREMIO CÉSAR:
Miglior film straniero
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Voti e commenti su Gran torino, 600 opinioni inserite

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  Pagina di 1  

Gruppo REDAZIONE amterme63  @  09/08/2009 15:27:53
   8 / 10
I valori fondanti della società americana avranno futuro e verranno tramandati ai posteri solo se si riesce a scavalcare la barriera razziale. Questi valori sono universali, sono il cuore, l’identità stessa della nazione e non sono proprietà privata della “razza” dei bianchi. Anche un popolo immigrato recentemente come quello cino-vietnamita (ma poteva essere qualsiasi altra razza) può prendere in mano questi valori e portarli avanti. Questo è secondo me il messaggio che Clint Eastwood ha voluto mandare agli spettatori cinematografici americani. Per chi non è americano questo film vale come suggerimento che le linee che dividono buoni e cattivi, costruttori e distruttori, sono trasversali ai vari gruppi sociali e soprattutto alle razze.
I valori in questione sono la solidarietà (aiutare una signora che ha rotto la busta della spesa oppure una ragazza che sta per essere aggredita), il lavoro e l’ordine (tenere l’erba sempre rasata, riparare, pulire, essere sempre attivi) e la forza (difendere con tutti i mezzi quello che si è costruito sapendo di essere nel giusto).
E’ questa, secondo Eastwood, l’etica positiva da tramandare ai posteri, bianchi, neri, gialli che siano. Chi ha creato e fatto forti questi valori sta facendo però l’errore di chiudersi in sé e rendere questi valori qualcosa di vuoto. Bisogna assolutamente evitare di pensare solo a quello che succede nel proprio giardino o rinchiudersi in un’altezzosa solitudine; bisogna invece aprirsi e avere fiducia negli altri in base ai valori che si rappresenta. Pur rispettando usi e costumi altrui, va da sé che i valori nazionali sono implicitamente superiori (vedi la ragazzina cinese che confessa che il modo di vivere americano ha ‘qualcosa in più’), anche se occorre sempre tenere presente la lezione degli errori commessi (le guerre sbagliate).
Tanto più che i “bianchi perbene” si sono ormai rammolliti nell’edonismo egoistico e nel culto degli oggetti. Questo film rappresenta quasi una rivincita morale della società pre-sessantottesca. Con i loro slogan di liberazione, edonismo e irresponsabilità, ecco quello che il 68 ha prodotto: gente vana, vuota, futile, viziata ed egoista. Il vecchio Eastwood implicitamente ci dice che la società degli anni ’50 era senz’altro migliore, più sana dell’attuale, nonostante l’errore della guerra in Corea.
La nostalgia di Eastwood non è solo etica ma anche artistica. Il film ricalca un po’ lo schema formale del cinema classico con divisione netta fra personaggi buoni e personaggi cattivi, con il buono che grazie all’esperienza e al sacrificio perviene a migliorare i propri difetti e a trionfare moralmente. E questo secondo me rappresenta un difetto, in quanto il film risulta troppo schematico nei personaggi e programmatico/didascalico nello svolgersi dei fatti.
C’è un’altra sottilissima contraddizione che mina le fondamenta stesse del messaggio etico del film, cioè che buoni e cattivi siano fatti in realtà della stessa pasta, siano facce della stessa medaglia. Per tutti, quello che conta di più è la forza: gli uni la utilizzano per fini altruistici, gli altri per l’esclusivo fine egoistico. Se non si usa la forza non c’è scampo.
A tale proposito è illuminante l’educazione che Kowalski dà a Tao. Formalmente lo fa comportare tale e quale ai ragazzi della gang, solo con un cerimoniale un po’ diverso; gli stereotipi sono però gli stessi: machismo, linguaggio gergale, esibizionismo. Pistole, minacce, durezza sono le stesse da entrambe le parti.
La società è quindi una specie di giungla dove sembra assente ogni ordine morale o civile e dove può trionfare solo chi è più forte. Ma ovviamente ciò è trattato come un’apparenza, in quanto la parte “buona” si differenzia dalla “cattiva” per una specie di fede a priori in un regolamento di conti esterno che prima o poi dovrà venire e che farà finalmente ordine. In questo film Dio e la Polizia brillano per la loro assenza (vedi la figura patetica che fa il prete e l’inefficacia completa dell’ordine pubblico). Eppure sono loro che alla fine risolvono la situazione e rimettono tutti al posto che gli compete. Ma si sa che gli Americani non possono fare a meno della “fede”, anche se è difficile vederne gli effetti.
Nonostante questi piccoli “difetti”, il film coinvolge, appassiona, commuove; è girato e recitato benissimo e quindi è senz’altro qualcosa che vale la pena certamente vedere.

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