Recensione gran torino regia di Clint Eastwood USA 2008
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Recensione gran torino (2008)

Voto Visitatori:   8,49 / 10 (600 voti)8,49Grafico
Voto Recensore:   7,50 / 10  7,50
Miglior film straniero
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locandina del film GRAN TORINO

Immagine tratta dal film GRAN TORINO

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Immagine tratta dal film GRAN TORINO

Immagine tratta dal film GRAN TORINO
 

La Ford Torino, nata nel 1968, fu una delle automobili di punta del gruppo Ford, e deve il suo nome all'ambizione degli americani di fare di Detroit la Torino d'America: come la Fiat ha rappresentato per l'Italia il motore, il simbolo e l'orgoglio della vita produttiva di una nazione, analogamente la Ford, insieme alla General Motors, è diventata emblema del cuore pulsante e produttivo degli Stati Uniti.
Ma in presenza di una delle più grandi crisi economiche che la storia ricordi, anche la mitica industria automobilistica segna il passo; la Detroit della grandi industrie non c'è più, e gli operai abbandonano i grandi quartieri dormitorio delle periferie lasciandole alle nuove comunità orientali. Quel simbolo di produttività diventa l'emblema di un'America in decadenza, impaurita dalla nascita di nuove superpotenze (Cina su tutte) e incapace di aprirsi al mondo.

Ma cosa rimane oggi della storia e della cultura americana? Cosa rimane dei valori che hanno unito un popolo e che su questi ha saputo costruire la propria identità?
A queste domande Clint Eastwood cerca una risposta, confermandosi non solo come un grande autore, ma anche come uno stakanovista della macchina da presa, riuscendo a confezionare ben quattro film in due anni.
Magari si può accusare il suo cinema di essere classico, eccessivamente attento a non urtare la sensibilità del suo pubblico, ma resta il fatto che questo grandioso cineasta è riuscito a coniugare quantità ad alta qualità, qualcosa che almeno per il cinema odierno risulta essere unico.

Dopo "Changeling", "Gran Torino" rappresenta il testamento spirituale di Eastwood, una vera summa del suo cinema, marchio di fabbrica della sua straordinaria carriera registica.
Clint Eastwood ripropone i suoi personaggi degli anni '70, violenti e ribelli, che gli hanno fatto guadagnare l'appellativo di fascista e razzista e, quasi a voler rispondere alle accuse che hanno accompagnato parte della sua vita, li ripropone nella figura di Walt Kowalski .
Walt Kowalski è un uomo rude e chiuso che ha vissuto all'ombra di una moglie a cui ha delegato la crescita dei figli e sostenendo in solitudine i fantasmi del suo passato.
Divenuto vedovo, trascorre le sue giornate bevendo birra e guardando furtivamente i suoi vicini orientali che mal sopporta.
Proprio nella parte iniziale Eastwood dà il meglio di sé: Kowalski non è un razzista come erroneamente si potrebbe pensare; essendo egli stesso di origine polacca, va visto più come un tradizionalista, e come tale difensore delle proprie certezze.
L'avvicinamento che porta Kowalski a rapportarsi con il mondo e sopratutto con quegli ingombranti vicini è quasi casuale, ma proprio l'universalità di quei valori che la società Occidentale sembra aver dimenticato lo rimette in contatto con il mondo, grazie all'amicizia con Thao, di cui diventerà mentore e modello di vita.
La costruzione iniziale del film è veramente originale; la presentazione del protagonista è talmente ben delineata e ironica da creare una perfetta empatia con lo spettatore.

Clint Eastwood ci regala la sua ultima (?) grande interpretazione, intensa ma mai sopra le righe, dimostrando anche una notevole autoironia e capacità di saper cogliere le immense possibilità che la terza età può dare al cinema.
Eastwood si muove in quelle strade come un vecchio giustiziere, capace di riportare l'ordine per il semplice attaccamento ai quei valori sociali del vivere insieme.

Interessante, anche a questo proposito, è notare come "Gran Torino" riprenda parte della sua filmografia: non possono non notarsi le similitudini quasi citazionistiche con film come "Un mondo perfetto","Million dollar baby" o "Gli spietati".
Proprio a quest'ultimo Eastwood sembra essersi maggiormente ispirato: in entrambi i film abbiamo un personaggio considerato "vecchio e finito", incapace di confrontarsi con la vita, ed in entrambi è presente un debole da difendere (la famiglia cinese per "Gran Torino", le prostitute per "Gli spietati") che ne risveglia l'animo combattivo.
Inoltre, dopo "I ponti di Madison County", quello che probabilmente emergerà dalla filmografia di Eastwood è il viaggio attraverso i rapporti umani, lontano dalle convenzioni sociali che vogliono relegare i sentimenti all'interno di schemi preconfezionati come l'amore e l'amicizia.
È possibile cristallizzare il rapporto esistente tra i protagonisti di "Million dollar baby" o de "Un mondo perfetto" come un semplice rapporto di amicizia?
Così come in "Gran Torino", la vera indagine di Eastwood è quella di dimostrare l'esistenza di rapporti "straordinari" che possono nascere tra le persone, intensi e forti forse di più di quello che genericamente è inteso con la parola "amore".
Un messaggio di rara profondità e ottimismo, che è un filo rosso di tutta la sua carriera e sopratutto svincolato da qualsiasi "coercizione all'amore" di natura religiosa.

I suoi personaggi non sono redenti, non cercano il perdono, vogliono riequilibrare al male che hanno fatto nella loro vita, senza nessuna influenza di una particolare religione, che però è sempre presente in quasi tutti i suoi film.
In "Gran Torino" emerge il comune senso del cattolico, incapace di essere ascoltato e capito da una Chiesa che anche quando sorretta dalle migliori intenzioni, non riesce a mettersi in comunicazione con le esigenze, le paure e le angosce del credente.
A prescindere da qualsiasi valutazione politica ed indipendentemente da ogni polemica riconducibile al rapporto tra laici e cattolici, è difficile riuscire a fotografare con tale lucidità lo stato del credente comune in presenza di un mondo in continuo cambiamento.
Eastwood insegna l'etica laica, quella che non ha bisogno di premi o riconoscimenti ultraterreni per trovare la forza e sopratutto per sapere ciò che è giusto.
I suoi personaggi non sono messianici, redentori misericordiosi, ma persone viziose, negative ed emarginate che, nel momento del bisogno, riescono a trovare il riscatto senza inutili immolazioni fanatiche stile coppia Muccino-Will Smith.

Forse però proprio i punti di forza di questo film ne rappresentano anche i limiti, in quanto tematiche come l'amicizia intergenerazionale e la difesa di ciò che si ama sono state più volte portate sul grande schermo.
Inoltre, come "Gran Torino" contiene tutti gli elementi di forza della filmografia di Eastwood così ne rappresenta anche gli "storici" difetti.
Anche in questo caso, infatti, è evidente una eccessiva semplificazione dei personaggi di contorno, a cominciare dalla famiglia del protagonista - descritta in modo troppo approssimativo e pretenzioso - fino all sguardo sulle gang criminali del luogo, che si riduce alla riproposizioni di sterili cliché senza mai approfondire le dinamiche criminali che caratterizzano le comunità straniere.
Anche la regia di Eastwood è particolarmente asciutta e tradizionale, in fondo Gran Torino è un film che sotto il punto di vista artistico non offre nulla di nuovo e non può essere visto come la conferma del talento del regista californiano.

In realtà per comprendere in pieno i meriti di questo film bisogna in parte andare oltre la mera visione di quello che propone ma cercare di analizzare ciò che invece cerca di rappresentare.
È sotto questo punto di vista che si nota il valore aggiunto di questo lavoro, ovvero la capacità di leggere i tempi, di proporre una storia semplice con personaggi anche abbastanza convenzionali ma proporla nel momento giusto in cui l'America dimostra di aver bisogno di storie così.
Come altro giustificare lo straordinario successo che ha portato gli incassi in patria a qualcosa come 150 milioni di dollari, pur potendo contare su un budget ridotto?
Gli ultimi film di Eastwood non hanno avuto grandi riscontri economici, pur essendo state delle pellicole di ottima qualità.
A opinione di chi scrive, infatti, "Changeling" è un film da considerarsi superiore così come "Lettere da Iwo Jima", sia per l'importanza delle tematiche trattate, sia per la forza narrativa che il regista è riuscito ad esprimere in queste opere.
In realtà il botteghino è un'importante cartina di tornasole per capirne il valore aggiunto.

Kowalski è l'americano medio; la capacità maggiore di Eastwood è quella di saper mettere in scena il sentimento comune del conservatore di oggi e nello stesso tempo lanciare un messaggio positivo di tolleranza, che sebbene possa apparire retorico, in realtà cela una critica all'eccessiva chiusura odierna del partito repubblicano, di cui Eastwood è stato sempre un grande sostenitore.
La capacità non solo di leggere ma di "sentire" le emozioni e le paure di un'epoca, capacità che solo un grande maestro e sopratutto un uomo di rara sensibilità umana come Clint Eastwood poteva fare.

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Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 - aggiornata al 31/03/2009

Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell'autore e non necessariamente rappresenta Filmscoop.it

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